Il
Professor Pietro Ichino è uno stimatissimo docente di diritto del
lavoro, autore di numerose pubblicazioni ed iniziative molto
interessanti e rimarchevoli, nonché ispiratore di diverse idee di
riforma, molte delle quali fanno, giustamente, anche “breccia”
nei vari governi e iniziative legislative.Da
qualche tempo, però, il Professore ha assunto il ruolo istituzionale
di denigratore principe di tutto quanto possa essere “pubblico”.Molti
addebitano all’allora Ministro della funzione pubblica Renato
Brunetta la “crociata” contro i “fannulloni”. Ma, non
ricordano che l’ispiratore di essa fu proprio Ichino, al quale si
deve anche l’idea della costituzione di un’autorità per la
valutazione delle “performance”.L’idea
è stata tradotta nella fallimentare esperienza della Civit, dalla
quale a pochissimi mesi di distanza si dimise proprio l’uomo del
centro sinistra che era sostanzialmente stato avviato lì dallo
stesso Ichino.A
distanza di pochi anni dall’istituzione della Civit essa risulta
sostanzialmente smantellata nella sua attività finalizzata a
supportare le amministrazioni nella “valutazione” (che, infatti,
non a caso è ancora uno dei temi delle tante “riforme
rivoluzionarie” della Pa che l’attuale Governo intende produrre)
e sostituita e rigenerata nell’Anac, con finalità anticorruzione.
Ma,
non è questo il tema. Sul suo personale blog, in questa pagina
inserisce un post nel
quale, in sintesi, racconta dell’amara esperienza di un dirigente
scolastico, che, a quanto racconta, non sarebbe riuscito ad ottenere
dal Centro per l’impiego lavoratori da impiegare in attività
pubblica utilità. Non si tratta dei lavoratori socialmente utili in
convenzione tra PA e Ministero del lavoro, ma di lavoratori in
mobilità indennizzata o in Cassa integrazione straordinaria, che
possono essere avviati ad attività per non disperdere le proprie
competenze lavorative, a servizio delle pubbliche amministrazioni. Il
preside di scuola si firma da Mantova.
Ora,
non si è minimamente nelle condizioni di poter confutare quanto
raccontato. Appare oggettivamente strano che proprio in Lombardia,
una delle regioni meglio organizzate nella gestione dei servizi per
il lavoro, un Centro per l’impiego non sia in grado di fornire ad
una scuola lavoratori percettori o sospesi da avviare ad attività di
pubblica utilità.
Non potendo mettere in dubbio la circostanza, appare, tuttavia, opportuno e necessario stigmatizzare che non pare nemmeno corretto, tuttavia, generalizzare l’esperienza di un preside, con un lavoratore di un centro per l’impiego, per trarre la conseguenza che tutte le pubbliche amministrazioni che si rivolgono a tutti i centri per l’impiego trovino i medesimi problemi segnalati con la lettera riportata nel blog del Prof. Ichino.
Non appare corretto, perché non è nemmeno vero. La Provincia di Verona, tramite i propri centri per l’impiego, annualmente avvia verso le amministrazioni pubbliche centinaia di lavoratori per servizi di pubblica utilità. A questo scopo, ha anche stipulato specifiche convenzioni con gli uffici giudiziari, e svolge questa attività ordinariamente con i comuni e gli istituti scolastici del territorio. Come la Provincia di Verona, agiscono in questo modo moltissime altre Province con i loro Cpi.
Prima di emanare la sentenza sull’incapacità dei centri per l’impiego di avviare ai lavori di pubblica utilità i lavoratori in mobilità o in Cigs, forse sarebbe stato meglio che il Prof. Ichino, sempre così attento appunto alla necessità di valutare e verificare con numeri e dati le capacità delle PA e dei dipendenti, acquisisse i dati in merito, per formulare giudizi e valutazioni più ponderate e, soprattutto, aderenti alla realtà, sapendo anche, quanto meno, distinguere tra servizi più o meno efficienti.
Invece, il Prof. Ichino non ha perso l’occasione per rilanciare il suo progetto di “contratto di inserimento”, che altro non è se non ridurre i servizi pubblici per il lavoro in “passa carte” delle agenzie interinali e dei soggetti privati, attraverso un complicato giro per il quale, alla fine, le agenzie non solo acquisiscono la remunerazione dalle aziende per la somministrazione, ma anche risorse pubbliche per un’attività che avrebbero comunque svolto.
Un progetto che ha anche delle prospettive interessanti, ma dimentica che soprattutto le agenzie per il lavoro che svolgono somministrazione non hanno, per giusta e corretta loro impostazione commerciale e di business, alcuna vocazione all’accompagnamento al lavoro e all’intermediazione, poiché la loro funzione principale (e la loro fonte di guadagno) è somministrare nel più breve tempo possibile alle sole aziende loro clienti il personale più adeguato ai loro bisogni. Per questa ragione, i soggetti privati di tale natura gestiscono un mercato del lavoro “chiuso” (quello della loro clientela) e non hanno la possibilità di rivolgere la propria attenzione alle persone in cerca di lavoro che non abbiano una più che evidente ed immediata spendibilità (dunque, profili elevati e contesi nel mercato, senza interventi di supporto).
La continua denigrazione per professione dei Centri per l’impiego fa dimenticare che la Costituzione fonda la Repubblica sul lavoro e prevede una serie di principi a garanzia del lavoro e dei lavoratori. Ciò dovrebbe far comprendere che ai fini dell’attuazione di queste garanzie, è necessaria un’integrazione tra servizi pubblici e privati, non la sola sostituzione dei secondi ai primi, che comporterebbe un’inevitabile segmentazione del servizio rivolta solo a profili elevati e, comunque, un volume di spesa per i servizi (che in Italia, è bene ricordarlo, è pari a 700 milioni annuo, contro i 9 miliardi della Germania) che in ogni caso resterebbe pubblico.
E’ utile qualsiasi contributo di idee al problema dei servizi per il lavoro, utile ad incrementarne la portata. Assai più utile sarebbe prendere atto (basta dare un’occhiata all’ultimo paper Isfol sui servizi per il lavoro in Europa) che non è possibile pretendere che i servizi per l’impiego pubblici italiani possano offrire livelli comparabili a quelli dei Paesi del Nord Europa, disponendo di risorse, personale e strumenti decine e decine di volte inferiori. Ancora più utile, infine, è evitare la denigrazione gratuita, basata su occasionali lettere e circostanze singole fatte assurgere a legge universale.
Non potendo mettere in dubbio la circostanza, appare, tuttavia, opportuno e necessario stigmatizzare che non pare nemmeno corretto, tuttavia, generalizzare l’esperienza di un preside, con un lavoratore di un centro per l’impiego, per trarre la conseguenza che tutte le pubbliche amministrazioni che si rivolgono a tutti i centri per l’impiego trovino i medesimi problemi segnalati con la lettera riportata nel blog del Prof. Ichino.
Non appare corretto, perché non è nemmeno vero. La Provincia di Verona, tramite i propri centri per l’impiego, annualmente avvia verso le amministrazioni pubbliche centinaia di lavoratori per servizi di pubblica utilità. A questo scopo, ha anche stipulato specifiche convenzioni con gli uffici giudiziari, e svolge questa attività ordinariamente con i comuni e gli istituti scolastici del territorio. Come la Provincia di Verona, agiscono in questo modo moltissime altre Province con i loro Cpi.
Prima di emanare la sentenza sull’incapacità dei centri per l’impiego di avviare ai lavori di pubblica utilità i lavoratori in mobilità o in Cigs, forse sarebbe stato meglio che il Prof. Ichino, sempre così attento appunto alla necessità di valutare e verificare con numeri e dati le capacità delle PA e dei dipendenti, acquisisse i dati in merito, per formulare giudizi e valutazioni più ponderate e, soprattutto, aderenti alla realtà, sapendo anche, quanto meno, distinguere tra servizi più o meno efficienti.
Invece, il Prof. Ichino non ha perso l’occasione per rilanciare il suo progetto di “contratto di inserimento”, che altro non è se non ridurre i servizi pubblici per il lavoro in “passa carte” delle agenzie interinali e dei soggetti privati, attraverso un complicato giro per il quale, alla fine, le agenzie non solo acquisiscono la remunerazione dalle aziende per la somministrazione, ma anche risorse pubbliche per un’attività che avrebbero comunque svolto.
Un progetto che ha anche delle prospettive interessanti, ma dimentica che soprattutto le agenzie per il lavoro che svolgono somministrazione non hanno, per giusta e corretta loro impostazione commerciale e di business, alcuna vocazione all’accompagnamento al lavoro e all’intermediazione, poiché la loro funzione principale (e la loro fonte di guadagno) è somministrare nel più breve tempo possibile alle sole aziende loro clienti il personale più adeguato ai loro bisogni. Per questa ragione, i soggetti privati di tale natura gestiscono un mercato del lavoro “chiuso” (quello della loro clientela) e non hanno la possibilità di rivolgere la propria attenzione alle persone in cerca di lavoro che non abbiano una più che evidente ed immediata spendibilità (dunque, profili elevati e contesi nel mercato, senza interventi di supporto).
La continua denigrazione per professione dei Centri per l’impiego fa dimenticare che la Costituzione fonda la Repubblica sul lavoro e prevede una serie di principi a garanzia del lavoro e dei lavoratori. Ciò dovrebbe far comprendere che ai fini dell’attuazione di queste garanzie, è necessaria un’integrazione tra servizi pubblici e privati, non la sola sostituzione dei secondi ai primi, che comporterebbe un’inevitabile segmentazione del servizio rivolta solo a profili elevati e, comunque, un volume di spesa per i servizi (che in Italia, è bene ricordarlo, è pari a 700 milioni annuo, contro i 9 miliardi della Germania) che in ogni caso resterebbe pubblico.
E’ utile qualsiasi contributo di idee al problema dei servizi per il lavoro, utile ad incrementarne la portata. Assai più utile sarebbe prendere atto (basta dare un’occhiata all’ultimo paper Isfol sui servizi per il lavoro in Europa) che non è possibile pretendere che i servizi per l’impiego pubblici italiani possano offrire livelli comparabili a quelli dei Paesi del Nord Europa, disponendo di risorse, personale e strumenti decine e decine di volte inferiori. Ancora più utile, infine, è evitare la denigrazione gratuita, basata su occasionali lettere e circostanze singole fatte assurgere a legge universale.
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