Enti locali: intesa con governo su sanzioni per patto 2014


(ANSA) - ROMA, 26 FEB - Un accordo con Comuni e Regioni per "condividere obiettivi comuni nel contesto degli interventi che il governo riterrà di porre in essere": queste le finalità di una intesa sottoscritta oggi in Conferenza Unificata e che prevede, tra l'altro, la rideterminazione delle sanzioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi del Patto di Stabilità nel 2014.

"In seguito alla modifica dei criteri di patto - recita il documento sottoscritto tra le parti - si procederà a rideterminare l'entità delle sanzioni, prevedendo che tale riduzione si applichi in una misura percentuale rispetto allo sforamento (definito come differenza tra saldo obiettivo del 2014 e saldo finanziario conseguito nello stesso anno)". Tutto ciò perché in particolare "si ritiene necessario passare da un regime di riduzione delle sanzioni configurato in termini di soglia massima commisurata alle entrate correnti (quale quello vigente per gli sforamenti del Patto nel 2013) a uno espresso in termini di percentuale sull'entità dello sforamento, al fine di prevenire possibili comportamenti opportunistici (motivati dal fatto che, col regime precedente, l'entità dello sforamento rischia di divenire irrilevante ai fini della sanzione applicata) e far sì che la sanzione sia crescente in rapporto allo sforamento".
L'intesa fissa anche, e questo è un altro punto di rilievo,gli obiettivi del Patto di stabilità interno dei Comuni per gli anni 2015-2018. Si prevede in pratica "una procedura per l'attribuzione di spazi finanziari ai Comuni in ciascuno degli anni 2015-2018, per sostenere spese per eventi calamitosi, per interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, ivi incluse quelle connesse alla bonifica dei siti contaminati dall'amianto, per esercizio della funzione di ente capofila, per sentenze passate in giudicato a seguito di contenziosi connessi a cedimenti strutturali e, in via residuale, di procedure di esproprio". L'intesa prevede anche l'esclusione,dalla sanzione sul personale, delle proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato. Tutto ciò al fine di "consentire anche alle città metropolitane e alle province che nel 2014 non hanno rispettato il Patto di stabilità interno, la proroga, fino al 31 dicembre 2015, dei contratti di lavoro a tempo determinato per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi e nel rispetto dei vincoli finanziari".
Un altro capitolo dell'accordo è finalizzato, inoltre, ad "eliminare la sproporzione fra l'infrazione consistente nel mancato invio della certificazione attestante il rispetto del patto di stabilità interno e la sanzione che comporta il divieto di assunzione, attraverso la sostituzione della predetta sanzione con altri strumenti".
Passo avanti anche per rendere 'sostenibile' l'armonizzazione contabile: in questo senso si prevede l'avvio in maniera "uniforme - si legge nel documento - delle nuove regole sull'armonizzazione, in modo da permettere a tutti gli enti di utilizzare al meglio gli strumenti a disposizione".
"A fronte dell'attuale situazione parlamentare, fortemente convulsa - ha spiegato il sottosegretario agli Affari regionali Gian Claudio Bressa - volevamo far sapere con certezza agli enti locali che il governo si impegna a dare risposte in una logica di senso comune".

Le Regioni sui servizi per il lavoro


INDAGINE CONOSCITIVA PROMOSSA DALLA COMMISSIONE LAVORO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI
Contributo della IX Commissione della Conferenza delle Regioni e Province autonome 

Roma, 19 febbraio 2015

Premessa
Il presente documento intende tracciare una breve fotografia del contesto regionale di operatività dei servizi per il lavoro e del quadro di riferimento normativo il cui il sistema territoriale è chiamato a sviluppare propri interventi. A completamento di tali aspetti conoscitivi, il documento riporta alcuni orientamenti condivisi dalle Regioni in merito alle proposte legislative di modifica dell’assetto del sistema. 
A monte, si pongono alcune considerazioni preliminari che appaiono imprescindibili per le Regioni per una corretta impostazione dell’approfondimento sul tema.
Le Regioni intendono ribadire le posizioni più volte espresse in merito alle prospettive di profonda riforma del sistema, che si stanno sostanziando nel panorama nazionale, alla luce dei processi di riordino del sistema provinciale e di modifica dell’assetto costituzionale, da un lato, e di riorganizzazione dei servizi per il lavoro secondo i criteri contenuti nella legge delega n. 183 del 2014 (cd. Jobs Act), dall’altro. 
Le Regioni ritengono necessario superare le eventuali inefficienze e l’eccessiva frammentazione nell’erogazione delle politiche attive. In tal senso, le Regioni non sono pregiudizialmente contrarie a un organismo nazionale con funzioni di coordinamento, in particolare per la verifica e l’accertamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle azioni realizzate dai territori regionali, purché siano salvaguardati e valorizzati i sistemi regionali che hanno costruito sistemi efficienti, come previsto dall’art. 1, comma 4 lettere q) e u) della Legge n. 183/2014, e sia comunque mantenuto un forte radicamento dei servizi sul territorio.
Con questo spirito di responsabilità, nell’ambito dell’approfondimento sul testo del Jobs Act, hanno formulato una propria proposta finalizzata alla realizzazione di un modello di sistema nazionale del lavoro, fondato su una Agenzia nazionale per l’Occupazione e su una rete di agenzie regionali, deputate alla gestione sul territorio degli interventi di politica attiva e capaci di integrarsi con le strutture private, valorizzandone il contributo. Tale proposta ha ispirato, di fatto, le richieste regionali di modifica al testo della legge delega intercorse nei lavori parlamentari sul provvedimento, che recepisce questa impostazione di lavoro e che appariva in linea con l’ipotesi di riforma costituzionale approvata dal Senato. 
Peraltro, le Regioni rilevano come ogni processo di riorganizzazione, connesso con le modifiche in corso sul versante dell’assetto istituzionale, richieda comunque un forte investimento nelle risorse umane preposte ai servizi per il lavoro o la definizione di modelli territoriali che assicurino la capacità dei servizi per il lavoro di offrire un adeguato livello di servizi; ciò, tanto più, in un contesto di grande delicatezza per gli operatori del sistema, nella situazione di generale incertezza sul proprio futuro professionale. 
Resta pertanto aperto il tema delle risorse umane dei servizi per il lavoro che oggi in numerose realtà territoriali, è coperto con personale a termine, per cui ogni ripensamento del modello deve affrontare tale questione al fine di rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini, tanto più in un contesto di riforma del mercato del lavoro che vede il nostro Paese collocarsi agli ultimi posti per lo scarso investimento di risorse finalizzate al potenziamento e alla qualificazione dei servizi occupazionali e alle politiche attive, con un rapporto proporzionale tra operatore e utente molto basso (1 operatore/ogni 254 utenti), se paragonato alla media degli altri Paesi europei.
Appare, inoltre, doveroso ricordare il grande sforzo sostenuto dai servizi per il lavoro negli ultimi anni nella gestione delle misure anticrisi, con la presa in carico di centinaia di migliaia di lavoratori sospesi o estromessi dai cicli produttivi. Di fatto, ciò ha portato ad un significativo incremento numerico degli utenti dei servizi, avvenuto a risorse umane e finanziarie invariate, con evidenti problemi di sostenibilità e complessiva tenuta del sistema.
Analogo impegno si registra oggi sul versante dell’attuazione della Garanzia Giovani, in cui i dati di monitoraggio confermano il ruolo essenziale dei servizi per l’accoglienza e il sostegno di migliaia di ragazzi nello sviluppo di percorsi individuali di politica attiva. 
Va inoltre ricordato come le politiche attive, in generale, e i servizi per l’impiego, in particolare, siano stati sostenuti con netta prevalenza dalle risorse della programmazione europea. Dalla legge finanziaria del 2007 lo Stato centrale non ha più stanziato risorse ordinarie per i servizi per l’impiego e gli interventi a supporto della continuità del sistema sono stati realizzati grazie ai fondi addizionali europei. Per contro, nel contesto di crisi economica, è stato lasciato alle Regioni l’onere di finanziare gli interventi di politica passiva, al fianco delle azioni per la ricollocazione occupazionale dei lavoratori, con un inevitabile detrimento della possibilità di investimento complessivo nelle politiche attive e nel miglioramento dei servizi.
D’altra parte, si esprime contrarietà sugli interventi di emendamento al disegno di legge costituzionale C2613, di modifica al Titolo V, Capo II della Costituzione, che nella formulazione attualmente in discussione alla Camera assegna la materia delle “politiche attive del lavoro”, accanto alla “tutela e sicurezza del lavoro – ed ora, nel testo licenziato a fine gennaio, “alle disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale”- al livello centrale, annoverandosi tra le materie di competenza legislativa statale (ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera o), come ipotizzato dall’articolo 31 del disegno di legge costituzionale ), eliminando del tutto le competenze costituzionali delle Regioni in materia di lavoro.
Lo spostamento delle competenze sulle politiche attive per il lavoro a livello nazionale, senza alcun ruolo per le Regioni, determina di fatto una cesura incomprensibile tra le stesse politiche attive del lavoro ed il sostegno ai sistemi economici locali e la formazione professionale, che invece rimarrebbero di competenza regionale. Le politiche attive del lavoro sono invece strettamente funzionali allo sviluppo economico e impensabili senza la formazione professionale.
In questo senso, la dicotomia presente ora nel disegno di legge costituzionale appare incomprensibile su un piano di merito, oltre che di metodo, considerando che sul tema era stato raggiunto un punto di condivisione con le amministrazioni centrali, espresso già in occasione dell’incontro del luglio scorso tra gli Assessori regionali al lavoro e il Ministro del Lavoro Poletti - in cui era emersa la volontà, comune a tutti i decisori, di garantire un disegno organizzativo in cui accanto ad un Agenzia nazionale, con funzioni di coordinamento e indirizzo delle politiche attive, operassero delle agenzie regionali responsabili della loro gestione sul territorio – e coerentemente confermato nell’ambito dell’Osservatorio sul riordino delle Province, in relazione ai processi di attuazione della Legge n. 56/2014 (cd. Legge Delrio). 
Parimenti, la necessità di rilanciare le relazioni tra le politiche passive e le politiche attive per il lavoro, nuovamente confermata oggi come principio direttivo contenuto nella stessa legge delega n. 183/2014, non può portare a spezzare il legame con la formazione, che è una delle componenti fondamentali di politiche attive efficienti.
Infine, si richiama come il quadro di riordino del sistema provinciale, seppur volto a superare la eccessiva frantumazione dei servizi, non può portare ad una nuova centralizzazione degli interventi che non tenga conto della profonda differenza dei mercati del lavoro locali. Le Regioni, come i loro enti locali, debbono certo offrire ai propri cittadini pari opportunità e diritti nell'accesso ai servizi per il lavoro, ma non si possono ignorare le situazioni profondamente diverse, che richiedono interventi articolati e diversificati connessi alle singole realtà. 
1. Una breve fotografia del contesto di attuazione regionale
La centralità riconosciuta ai servizi per l’impiego pubblici e privati, quali strutture primarie del mercato del lavoro, ha caratterizzato costantemente l’attività normativa, programmatica e amministrativa delle amministrazioni regionali negli ultimi due decenni, in linea con gli orientamenti susseguiti nel tempo a livello europeo e con le disposizioni in materia derivanti dalla cornice istituzionale e dalle leggi nazionali. 
Di fronte ad una tematica in forte evoluzione, su cui da ultimo è intervenuta la legge delega n.183/2014 (cd. Jobs Act), le Regioni e le Province autonome hanno svolto nel tempo una rilevante funzione propulsiva, nell’esercizio delle competenze in materia di regolazione e gestione del mercato del lavoro e di programmazione degli interventi di politica attiva che il quadro normativo vigente e la stessa legge n. 183 assegna loro. In particolare, le Regioni hanno attuato nei propri contesti e implementato mediante autonomi provvedimenti le indicazioni europee e nazionali, adeguandole alle specificità territoriali. 
1.1. Quadro di riferimento: regole e funzioni
Come noto, il sistema dei servizi per il lavoro opera su base provinciale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1 lettera a) e lettera e) del D. Lgs. 469/1997 che, nel decentrare le funzioni amministrative inerenti all’incontro tra domanda e offerta di lavoro e all’erogazione delle politiche attive, ha previsto l’istituzione nelle Province dei Centri per l’Impiego (CPI), strutture competenti alla gestione di tali attività. In alcune realtà regionali, peraltro, in virtù dello statuto speciale di autonomia, le funzioni relative ai servizi per il lavoro sono state mantenute in capo alla Regione stessa. Con il D.Lgs. 181/2000 – nelle modifiche apportate dal D.Lgs. 297/2002 e dai successivi provvedimenti intervenuti - alle strutture provinciali di collocamento sono stati affiancati i soggetti privati ed è stata abbracciata una nozione più estesa di “servizi competenti”, comprensiva dei CPI e degli altri organismi autorizzati e/o accreditati a svolgere le funzioni finalizzate all’inserimento nel mercato del lavoro in conformità alle normative regionali. Con il D.Lgs. 276/2003, infine, è stato completato il quadro di riferimento per l’esercizio delle funzioni dei servizi per il lavoro, mediante l’introduzione dei regimi regionali di autorizzazione e accreditamento e la definizione dei criteri per la cooperazione tra il pubblico e il privato, ferme restando le funzioni amministrative svolte in via esclusiva dalle Province. 
Questo assetto ha trovato nelle Regioni e nelle Province autonome una puntuale declinazione, sia sul piano normativo che sul piano più strettamente amministrativo, pur nel rispetto del vincolo dell’attribuzione diretta alle Province del personale e delle risorse operata dal Testo Unico degli Enti locali (D.lgs. 267/2000 e s.m.i.). Pertanto, nell’esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni - esclusive sul versante della formazione e concorrenti in materia di organizzazione del mercato del lavoro e programmazione delle politiche occupazionali, senza tener conto delle richiamate ipotesi di modifica della Costituzione con la revisione del Titolo V - e nell’ambito dei principi generali e degli indirizzi formulati dal legislatore nazionale, si evidenzia che: 
tutte le Regioni hanno fatto ricorso a propri strumenti legislativi (leggi regionali, sovente sotto la forma di Testi unici), dapprima in recepimento dei principi del decentramento amministrativo introdotti dal D.Lgs. 469/1997 e, successivamente, in numerose realtà per l’adeguamento dei propri sistemi alle novità recate dal D. Lgs. 276/2003. In tali provvedimenti si definisce l’assetto del mercato del lavoro locale e l’architettura del sistema dei servizi per il lavoro, nell’ambito delle linee di indirizzo regionale per la messa in atto di politiche integrate in materia di occupazione, sviluppo delle competenze, orientamento, qualità e sicurezza del lavoro;
tutte le Regioni hanno adottato provvedimenti normativi ad hoc (in prevalenza, delibere di Giunta e regolamenti consiliari) o atti di indirizzo per regolamentare le procedure di collocamento e, in generale, il complesso delle attività finalizzate all’incontro tra domanda/offerta di lavoro all’interno dei singoli sistemi regionali di servizi per il lavoro. Tale attività appare tuttora in corso di aggiornamento, a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 92 del 2012 e da ultimo dalla legge n. 78 del 2014;
poco più della metà delle amministrazioni regionali ha definito il sistema di accreditamento per lo svolgimento dei servizi per il lavoro e reso operativi gli elenchi degli operatori privati accreditati, in alcune realtà unitariamente alla disciplina del regime di autorizzazione regionale allo svolgimento delle attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, in attuazione degli articoli 6 e 7 del D. Lgs. 276/2003. Si tratta di provvedimenti che perseguono il fine di identificare le forme ottimali per il raccordo tra CPI, i soggetti privati e gli altri soggetti pubblici autorizzati ope legis all’attività di intermediazione, con il fine di migliorare il funzionamento del mercato territoriale del lavoro, regolamentare in modo rigoroso la partecipazione alla rete degli interventi regionali in materia di politiche attive, garantire adeguati standard qualitativi dei servizi erogati, assicurare ai cittadini l’erogazione di funzioni specialistiche e aumentarne la gamma;
tutte le Regioni hanno condiviso l’impegno alla qualificazione del sistema, adottando Masterplan dei servizi per il lavoro e/o linee di indirizzo collegate alla programmazione del Fondo Sociale Europeo, ovvero provvedimenti amministrativi ad hoc (sovente sotto forma di cataloghi e repertori) volti a definire a livello regionale standard minimi per l’erogazione dei servizi per il lavoro comuni a tutta la rete dei soggetti pubblico/privati, garantendo la trasparenza e la tracciabilità dei servizi di politica attiva offerti e supportando l’attività di monitoraggio e valutazione sui risultati conseguiti. In questi documenti vengono individuate le funzioni, le aree di prestazione, gli standard e degli indicatori che debbono connotare il sistema in termini di qualità (con le connesse implicazioni in termini di risorse strutturali, strumentali e professionali). Tale percorso teso alla qualificazione del sistema e alla standardizzazione dei servizi, seppur con strumenti diversi, si è sviluppato in modo complementare con la riflessione sulle modalità di cooperazione tra pubblico e privato.
Pur nella multiformità delle esperienze, da una lettura di insieme della normativa e della documentazione regionale emerge una sostanziale convergenza rispetto ad alcuni profili organizzativi e funzionali dei sistemi territoriali di erogazione dei servizi per il lavoro. 
A monte, va evidenziato come le Regioni con spirito di responsabilità abbiano condiviso, sia internamente tra di loro che con le amministrazioni centrali, alcuni criteri omogenei per l’implementazione dei servizi sui territori al fine di assicurare, nel rispetto delle peculiarità dei modelli regionali, parità di trattamento dei cittadini e trasparenza, certezza e unitarietà dell’azione amministrativa. Sono intervenuti, in tal senso, fin dal 1999 importanti Accordi in seno alla Conferenza Stato- Regioni e Unificata in materia di operatività dei servizi per il lavoro e delle relative infrastrutture: dai primi Accordi tra il Governo e le Regioni del 1999 e del 2000 sugli standard di funzionamento, all’Accordo sul sistema informativo lavoro del 2002, dall’Accordo in materia di regolazione e gestione omogenea sul territorio nazionale dello stato di disoccupazione, stipulato per la prima volta nel 2003 e da ultimo rinnovato nel mese di dicembre 2013, agli Accordi intervenuti nel 2009 e negli anni successivi in materia di gestione delle misure anticrisi, agli Accordi conclusi nell’ultimo anno sul versante dell’implementazione degli strumenti informatici per la gestione della Garanzia Giovani.
Si tratta, a ben vedere, di una tematica “nevralgica”, su cui il confronto interistituzionale è tuttora aperto e che presenta ricadute notevoli sul sistema complessivo dei diritti e delle tutele dei lavoratori, soprattutto sotto il profilo della costruzione di una reale connessione tra le misure attive che i servizi sono chiamati a porre in essere, gli strumenti di politica passiva fruiti da parte degli utenti dei servizi, le conseguenze in termini di status occupazionale del lavoratore derivanti dall’eventuale mancata adesione o dal rifiuto dei servizi proposti.
Si inserisce, in questo filone, il ruolo fondamentale svolto dai servizi per il lavoro con l’esplodere della crisi economica e occupazionale nella gestione degli interventi di politica attiva connessi alla fruizione degli ammortizzatori sociali, in deroga e non. Come già ricordato, infatti, i servizi per il lavoro hanno svolto una funzione chiave nella gestione degli interventi rivolti ai lavoratori coinvolti nelle crisi aziendali, ovvero licenziati in conseguenza delle stesse, percettori o meno di strumenti di sostegno del reddito, con la finalità di favorirne il reinserimento nel contesto produttivo e la riqualificazione delle competenze per un reingresso nel mercato del lavoro. Tale ambito di impegno, che ha connotato in modo molto forte l’operatività dei servizi per l’impiego degli ultimi anni con un notevole sforzo da parte di tutto il sistema per contenere gli effetti dirompenti della crisi sul bacino occupazionale, ha di fatto costituito per le Regioni un reale terreno di concreta sperimentazione del principio di condizionalità tra le politiche attive e le politiche passive.
Peraltro, un ulteriore impulso alla condivisione interistituzionale di alcuni aspetti riguardanti la standardizzazione dei servizi per il lavoro (pubblici e privati) è stato impresso dal Programma Garanzia Giovani. Il percorso effettivo di attuazione sul territorio della Garanzia Giovani, come declinata nel Programma Operativo Nazionale YEI, fa perno sulla rete territoriale dei servizi competenti per il lavoro, pubblici e/o privati, secondo l’autonoma organizzazione che ciascuna Regione ha definito nei propri sistemi, per poi dipanarsi lungo le filiere complementari dell’accompagnamento all’inserimento lavorativo e del rafforzamento delle competenze, nell’ambito dei percorsi formativi. In questo ambito, le Regioni hanno operato in stretto partenariato con il Ministero del Lavoro per definire una cornice unitaria di riferimento per la declinazione nelle singole realtà regionali delle misure di politica attiva contemplate nell’iniziativa.
Analoga convergenza, peraltro, si registra con riferimento al cuore delle attività svolte dai servizi per il lavoro nella presa in carico e nell’accompagnamento degli utenti, fino all’erogazione degli interventi più specialistici di politica attiva. A titolo esemplificativo, si possono identificare le seguenti categorie di prestazioni: 
Informazione ed accoglienza, per sostenere l’utente nell’acquisire informazioni utili per orientarsi nel mercato del lavoro e per presentare i servizi offerti dalla rete regionale pubblico/privata (a titolo di esempio, comprensiva di informazione sui servizi disponibili per l’accesso al lavoro, su caratteristiche ed opportunità del mercato del lavoro e del sistema formativo, sulle opportunità di mobilità transnazionale).
Presa in carico dell’utente, mediante la ricezione della dichiarazione di immediata disponibilità e la sottoscrizione del patto di servizio o di analogo strumento, come strumento di acquisizione del consenso dell’utente alla fruizione dei servizi per il lavoro e di sottoscrizione dei reciproci impegni.
Orientamento di primo livello, per sostenere l’utente nella costruzione di un percorso personalizzato utile a promuoversi attivamente nel mondo del lavoro e a facilitarne l’inserimento ed il reinserimento (a titolo di esempio, comprensivo di: primo colloquio, valutazione del fabbisogno formativo, definizione del Piano di Azione individuale, quale strumento di pianificazione operativa e di tracciabilità dei servizi concordati). 
Orientamento specialistico, per fornire all’utente un supporto più approfondito all’individuazione dell’obiettivo professionale (a titolo di esempio, comprensivo di: consulenza specialistica, bilancio di competenze).
Accompagnamento al lavoro, per supportare l’utente nella ricerca dell’occupazione e nel rafforzamento delle competenze (a titolo di esempio, comprensivo di: proposta di misure di formazione, tirocini, stage, consulenza per la promozione dell’auto-impiego)
Incontro domanda e offerta di lavoro, per facilitare l’utente nell’incontro con i datori di lavoro che abbiano presentato richieste di personale coerenti con il proprio profilo professionale e con i vincoli dichiarati(a titolo di esempio, comprensivo dell’attività di: acquisizione e gestione delle candidature, preselezione, raccolta e trattamento di auto-candidature, verifica della disponibilità di utenti pre-selezionati per le candidature; azioni di intermediazione/promozione con i datori di lavoro; trattamento e registrazione dati nel sistema informativo)
Servizi per le imprese, per promuovere i servizi verso le imprese come destinatarie del sistema e rilevarne i fabbisogni e le richieste di prestazioni (a titolo di esempio, comprensivo di: erogazione di informazioni, servizi di consulenza normativa, screening dei fabbisogni di servizio e di personale, analisi del mercato di riferimento, orientamento circa le opportunità formative disponibili per l’adeguamento dei profili professionali aziendali ai fabbisogni formativi, preselezione delle aziende e selezione dei profili professionali rispondenti ai relativi fabbisogni).
Su tale versante, le modiche apportate dalla Legge n. 92 del 2012 al D.Lgs. 181/2000 hanno mutato ulteriormente lo scenario di riferimento, introducendo il concetto di livelli essenziali delle prestazioni (LEP) riferiti al sistema dei servizi per l’impiego, senza tuttavia sostanziarne in maniera chiara i contenuti e senza assicurarne, al contempo, la necessaria dimensione di sostenibilità. Si tratta di una questione ampiamente dibattuta tra gli attori istituzionali, con diversi momenti di approfondimento tecnico, e sulla quale in più occasioni si è acceso un vivace dibattito con il livello centrale per le diverse problematiche connesse a tale opera di determinazione dei LEP, prima tra tutte quella relativa alla loro copertura finanziaria in connessione con la loro esigibilità da parte dei cittadini. Si richiede, infatti, un ragionamento complessivo da parte di tutti gli attori istituzionali, per un effettivo adeguamento dei servizi per il lavoro ai parametri individuati dal legislatore nazionale ovvero per una loro modifica. 
Il tema, ad ogni modo, è da ultimo ribadito dalla legge n. 183/2014, che richiama la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi pubblici per l’impiego tra i criteri direttivi per l’esercizio della delega in materia di riordino dei servizi per il lavoro (art.1, comma 4, lettera n). Si tratta pertanto di un “cantiere aperto”, su cui le Regioni rivendicano il pieno coinvolgimento nell’ambito dell’intero confronto interistituzionale sull’attuazione del Jobs Act.
1.2 Situazione del personale 
La situazione del personale preposto ai servizi per il lavoro appare abbastanza variegata, ponendosi come elemento preliminare per la corretta impostazione dell’approfondimento sul sistema dei servizi.
Giova infatti ricordare che le risorse umane addette ai servizi constano, in linea generale: 
-di una parte di operatori in organico presso le Province - salvo in alcuni casi per le Regioni a Statuto speciale - nonché riconducibili ai trasferimenti di personale dalle amministrazioni centrali agli enti territoriali in virtù dei processi di attuazione del D.Lgs. n. 59 del 1997 in materia di decentramento amministrativo;
-di una parte di operatori, altrettanto consistente, in servizio presso le strutture regionali /provinciali in virtù di forme contrattuali flessibili;
-di una parte rilevante di operatori coinvolti nei processi di erogazione delle politiche attive a seguito dell’esternalizzazione da parte dei servizi competenti a enti e società terze di alcuni servizi specialistici, ovvero dell’affidamento degli stessi a soggetti privati, in conformità delle normative regionali in materia di accreditamento, ovvero in virtù dell’attuazione di progetti specifici connessi agli interventi dei servizi per il lavoro (es. programma Garanzia Giovani);
-al personale operante presso le Province, in alcune Regioni si affianca una parte di personale impiegato presso le strutture regionali (ad esempio, le Agenzie regionali per il lavoro), che è considerato una parte integrante del sistema.
Peraltro, occorre rilevare come una componente essenziale degli interventi di politica attiva messi in atto dai servizi per il lavoro fino ad oggi sia stata garantita proprio grazie all’apporto del personale impiegato con forme contrattuali flessibili ovvero proveniente dai soggetti privati, nelle forme sopra ricordate o dalla definizione di modelli territoriali in grado di garantire, attraverso un finanziamento delle azioni di politica attiva, che i servizi per il lavoro offrano un adeguato livello di servizio, secondo uno standard prestabilito. Da una prima ricognizione operata nelle amministrazioni regionali, alla luce dei processi istituzionali in corso sul versante del riordino delle funzioni delle Province in attuazione della legge n. 56/2014, nonché tenendo conto dei vincoli imposti dal rispetto del patto di stabilità interno, si evidenzia che le Regioni potrebbero dover rinunciare ad una parte di questo personale impiegato con contratti a termine e flessibili, il cui contributo al funzionamento del sistema, accanto al ruolo dei soggetti privati, negli anni è stato di primaria rilevanza. 
Ad ogni modo, sul tema del personale è intervenuta sia la Legge di Stabilità 2015 (Legge n. 190/2014, articolo 1, commi 427 e 429), che il decreto legge cd. Mille proroghe (DL n. 192/2014, articolo 14), a cui si è aggiunta nel mese di gennaio la circolare congiunta del Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione e del Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie.
Queste norme, nella more o in seguito al completamento della riorganizzazione delle funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali individuate nella legge n. 56 del 2014, si pongono nella prospettiva di assicurare il regolare funzionamento e la continuità delle attività svolte dai servizi per l’impiego, prevedendo in tal senso la possibilità di finanziare con il FSE il personale impiegato con contratti non solo a tempo determinato e di collaborazione coordinata e continuativa, ma anche a tempo indeterminato, nonché la possibilità di prorogare fino al 31 dicembre 2015 i contratti di affidamento di servizi che risultano in scadenza dal mese di gennaio di questo anno. 
In linea generale, rispetto al portato delle norme, pur comprendendo la necessità di intervenire nel periodo transitorio per dare una continuità finanziaria e professionale alle Province, riorganizzate in enti di area vasta, occorrerà verificare la fattibilità e i limiti tecnici di tali operazioni, che dovranno comunque realizzarsi sempre nel rispetto delle regole comunitarie e nazionali connesse al funzionamento del FSE. Al di là della effettiva finanziabilità di tali operazioni, è necessario che l’eventuale imputazione delle spese a valere sui Programmi Operativi Regionali (POR) sia effettuata in coerenza con le previsioni del POR stesso. Come è noto, infatti, alcuni POR sono stati già approvati e in fase di programmazione degli interventi non è stata presa in considerazione l’evenienza di dover prevedere un apposito stanziamento per il personale dei CPI. La previsione della legge di stabilità rischia, pertanto, di incidere sulla scelta dell’allocazione delle risorse che le Regioni hanno effettuato in sede di predisposizione del POR. Verificata la percorribilità della misura di cui alla legge di stabilità, sarebbe forse più opportuno provvedere alle spese per il personale dei CPI a valere sulle risorse nazionali del FSE, eliminando la previsione della successiva imputazione ai POR.
Peraltro, nell’incertezza del quadro di riferimento istituzionale, in relazione alle competenze delle Regioni in materia di lavoro, le possibili scelte in questa direzione sono legate alla reale disponibilità di risorse per poter garantire almeno per il 2015 la copertura degli stipendi del personale.
Ciò, a ben vedere, in una fase di grande delicatezza in cui i servizi per il lavoro, lungi dall’esaurire il proprio ruolo, sono invece chiamati dalla legge delega n. 183/2014 ad operare con ancora maggiore incidenza per garantire la fruizione delle politiche attive, seppure all’interno di un nuovo assetto organizzativo.
1.3 Modalità di raccordo tra operatori pubblici e operatori privati dei servizi per il lavoro
In relazione alla cooperazione tra operatori pubblici e operatori privati operanti nel sistema dei servizi per il lavoro, si possono riscontrare sul territorio diversi modelli di integrazione, caratterizzati da diversi gradi di partecipazione alla rete regionale dei servizi di politica attiva. Tale integrazione, in linea con il quadro normativo nazionale, si realizza ad un molteplice livello: tra servizio pubblico e soggetti pubblici e privati accreditati, in conformità delle normative regionali, e tra servizio pubblico e soggetti autorizzati a livello nazionale e regionale (tra cui le Agenzie per il lavoro). 
In relazione all’accreditamento, come già ricordato, non tutte le amministrazioni regionali hanno disciplinato il regime regionale di accreditamento per lo svolgimento dei servizi per il lavoro, in attuazione dell’articolo 7 del D. Lgs. 276/2003, e reso operativi gli elenchi degli operatori privati accreditati. In alcune realtà, pur essendo state definite sul piano normativo le procedure necessarie per l’accreditamento, di fatto il modello che si è venuto a delineare sul territorio registra una dimensione di coesistenza/affiancamento, più che una vera integrazione e complementarietà, tra il pubblico ed il privato. In altre Regioni, invece, il processo di integrazione appare maggiormente sviluppato, con una forte sinergia tra pubblico e privato e una sostanziale analogia nelle funzioni, salvo la componente di funzioni prettamente amministrative che attiene in via esclusiva ai CPI.
In questa prospettiva, si pongono anche alcuni modelli territoriali, in cui la governance dei servizi per il lavoro è caratterizzata da una più forte assimilazione tra il soggetto pubblico e il soggetto privato; si segnalano, ad esempio, esperienze in cui in cui i CPI devono accreditarsi al pari delle strutture private per concorrere all’attribuzione delle risorse, erogate tramite strumenti quali la “Dote”.
Ad ogni modo, il quadro di riferimento nazionale è ravvisabile nelle disposizioni del D.Lgs. 276/2003 (articoli 3, comma 2 e 7 comma 1) e del D.Lgs. 181/2000 e s.m.i. che riconducono alla competenza esclusiva dei servizi pubblici per l’impiego le funzioni relative alla certificazione ed aggiornamento dello status occupazionale del lavoratore e monitoraggio quantitativo e qualitativo dei flussi del mercato del lavoro (gestione dell’elenco anagrafico, scheda anagrafica - professionale, sistema di comunicazioni da parte delle imprese). In particolare, ai CPI compete la potestà certificatoria dello stato di disoccupazione e della sua durata, ai fini dell’accesso non solo alle misure di politica attiva, ma anche ai trattamenti previdenziali, nonché alle agevolazioni contributive e fiscali (es. incentivi per l’assunzione di disoccupati di lungo periodo).
È inoltre possibile riscontrare una duplice situazione in relazione ad alcune attività che appaiono comunque connesse alla funzione di certificazione e che rivestono un ruolo centrale nella fase di accoglienza dell’utente dei servizi, in termini di analisi del fabbisogno e di definizione degli interventi di politica attiva, quali la ricezione della dichiarazione di immediata disponibilità del lavoratore ad una ricerca attiva di occupazione resa mediante autocertificazione (dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 46 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445), ovvero la stipula del patto di servizio tra operatore e lavoratore per lo svolgimento delle politiche per l’occupabilità e la verifica del rispetto delle misure ivi concordate. In alcune Regioni, tali attività sono mantenute all’interno dei CPI, mentre in altre realtà si registra lo svolgimento delle stesse anche da parte degli operatori privati accreditati, nell’ambito di modelli organizzativi basati su un maggiore grado di compresenza e di integrazione tra soggetto pubblico e soggetto privato nel sistema lavoro. Resta fermo, ad ogni modo, il dovere del soggetto accreditato di conferire all’amministrazione pubblica le informazioni acquisite nell’esercizio delle stesse, nel rispetto dell’articolo 7 comma 1, lettera d) del D. Lgs. 276/03.
Peraltro, anche rispetto al modello di integrazione tra i soggetti accreditati e i soggetti autorizzati si profilano nelle realtà regionali differenti ipotesi organizzative. In alcune Regioni si verificano “forme di collaborazione attiva” con i soggetti pubblici e privati autorizzati, a livello nazionale e regionale: i soggetti autorizzati si posizionano come soggetti esterni al sistema regionale dei servizi per il lavoro e ne possono entrare a far parte mediante lo strumento dell’accreditamento .In altri modelli regionali il processo di integrazione è più spinto e gli operatori autorizzati a livello nazionale e regionale sono parte integrante del sistema, al fianco degli accreditati. 
I dati disponibili di monitoraggio, compresi quelli relativi al funzionamento del Programma Garanzia Giovani, sembrano confermare, nella maggior parte dei territori regionali e salvo alcune rilevanti eccezioni una grande componente pubblica nello svolgimento delle funzioni dei servizi competenti, in particolare con riferimento alle fasi dell’accoglienza e della presa in carico dei soggetti. L’impegno attuale per le amministrazioni regionali è stimolare una più intensa collaborazione tra le diverse tipologie di operatori del mercato del lavoro, tanto più in un frangente di grande ripensamento dell’assetto complessivo del sistema, in cui appare fondamentale garantire un intervento continuativo ed efficace alle categorie di persone più vulnerabili.
Giova peraltro ribadire come, negli anni, si siano consolidate sui territori costanti forme di collaborazione tra sistema pubblico e sistema privato, mediante un significativo ricorso alle modalità di affidamento di servizi a enti esterni, al fine di una maggiore specializzazione degli interventi di politica attiva.
Nella medesima direzione, peraltro, si pone ora la legge n. 183/2014, tra i cui criteri direttivi per l’esercizio della delega in materia di riordino dei servizi per il lavoro (art.1, comma 4, lettera n) figura espressamente la previsione della valorizzazione delle sinergie tra i servizi pubblici e privatie la definizione dei criteri per l’accreditamento e l’autorizzazione dei soggetti che operano sul mercato del lavoro.
2. Questioni aperte 
Come accennato in premessa, la materia si presenta oggi come un “cantiere aperto”, in virtù di alcuni profondi profili di riforma dell’assetto del sistema che si stanno delineando nel panorama istituzionale. Ai fini di una corretta valutazione di insieme circa il funzionamento dei servizi per il lavoro e delle possibili prospettive di rafforzamento e miglioramento, bisogna infatti tener conto di uno scenario normativo composito e in evoluzione che vede un iter di riordino del sistema provinciale; in connessione, un vasto processo di riforma della Costituzione mediante la definizione di un disegno di legge costituzionale (C2613), che delinea ad un nuovo assetto del riparto delle competenze tra i soggetti istituzionali mediante una revisione del Titolo V, Capo II della Costituzione; infine, un ampio intervento di riorganizzazione dei servizi per il lavoro introdotto dalla legge delega n.183/2014 (Jobs Act).
2.1 Riordino del sistema provinciale.
L’iter di riordino del sistema provinciale è stato avviato con la legge 56/2014 (cd. legge Delrio) e attualmente oggetto del disegno di legge costituzionale C 2613 di revisione del Titolo V, parte II della Costituzione. Considerando che i servizi pubblici per l’impiego hanno una strutturazione provinciale, si è aperta da subito una dirimente questione circa la riallocazione delle loro funzioni, al fine di garantire la continuità delle prestazioni al cittadino. In questa direzione, nell’ambito del percorso di confronto interistituzionale per l’attuazione della Legge Delrio, è stato sottoscritto l’Accordo di Conferenza Unificata dell’11 settembre 2014, ai sensi dell’articolo 1, comma 91 della legge 56/2014, per l’individuazione delle funzioni degli enti di area vasta, diverse da quelle cd. fondamentali codificate dalla legge, ai fini del loro riordino e attribuzione ai diversi livelli istituzionali, secondo il criterio prioritario dell’ambito ottimale di esercizio delle medesime. Le Regioni, per le materie di loro competenza, sono ora chiamate dal dettato normativo e in ottemperanza del punto 9, lettera c) e 10 del citato Accordo ad approvare propri atti legislativi in cui definire l’elenco delle funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali, che saranno differenziate tra Regione e Regione, e regolare la relativa allocazione al livello territoriale più consono. 
Tuttavia, è opportuno sottolineare che, nel rispetto di un principio generale di coerenza dell’ordinamento, il punto 11 dell’Accordo pone una “condizione sospensiva” all’adozione dei provvedimenti regionali di riordino per le funzioni che rientrano nell’ambito di applicazione di disegni di legge delega di riforma organica settoriale, fino all’entrata in vigore delle relative riforme, tra cui si richiama in primis la legge delega sul mercato del lavoro (Jobs Act), allegata al testo dell’Accordo. Le funzioni, al fine di assicurare la continuità amministrativa, fino a tale data continuano ad essere esercitate dagli enti di area vasta o dalle città metropolitane a queste subentrate, ai sensi della legge 56/2014. 
Pertanto, al fine di valutare compiutamente gli effetti sul sistema lavoro dei processi riorganizzativi in atto, le Regioni restano in attesa del decreto delegato di attuazione della parte della legge delega n. 183/2014 che va ad impattare in modo sostanziale sul riordino dei servizi per il lavoro attraverso la costituzione di un’Agenza nazionale per l’occupazione (secondo i criteri direttivi contenuti nell’articolo 1, comma 4 delle legge delega).
Da una ricognizione avviata dalla IX Commissione della Conferenza delle Regioni in relazione agli scenari che si profilano rispetto all’allocazione istituzionale delle funzioni relative ai servizi per l’impiego, risulta che tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 diverse Regioni hanno adottato progetti di legge di riordino delle funzioni provinciali. Tali progetti, in alcuni casi, già prevedono l’imputazione e/o il mantenimento a livello regionale delle funzioni relative ai servizi per l’impiego, con il relativo trasferimento del personale coinvolto. In altre realtà regionali, invece, l’orientamento che emerge è quello di rinviare tale scelta ad un secondo momento, prevedendo un periodo transitorio in cui le funzioni restano in capo alle Province, come enti di area vasta, in attesa che si completi il percorso di attuazione del Jobs Act e, soprattutto, si risolva la questione dirimente relativa alla ridefinizione delle competenze costituzionali.
In altri casi, peraltro, lo Statuto speciale di autonomia ha già a monte disposto l’attribuzione a livello regionale dei servizi per il lavoro, per cui in tali realtà non trova, al momento, applicazione la legge n. 56/2014, ferma comunque la possibilità per l’amministrazione regionale di adeguare fin da ora l’apparato organizzativo ai principi che ispirano le riforme nazionali ovvero che sono stati condivisi tra le Regioni. In connessione con tali aspetti, inoltre, alcune Regioni hanno deciso di costituire, ovvero di mantenere se già esistente, l’Agenzia regionale del Lavoro, come struttura di livello regionale deputata alla gestione dei servizi per l’impiego, articolata anche in strutture periferiche operanti sul territorio. 
2.2 Modifica del Titolo V, Capo II della Costituzione
Il processo di riforma della Costituzione, mediante la definizione di un disegno di legge costituzionale (C 2613), si pone oggi come tema prioritario nell’agenda di lavoro tra lo Stato e le Regioni e ha la finalità di pervenire, tra l’altro, ad un nuovo assetto del riparto delle competenze tra i soggetti istituzionali mediante una revisione del Titolo V della Costituzione. 
Come già ricordato in premessa, nonostante sul testo della nuova Costituzione si fosse sviluppato un lungo processo di confronto tra lo Stato e le Regioni, alla fine del mese di dicembre è stato introdotto in modo inatteso un nuovo emendamento, presentato da una coalizione trasversale delle forze politiche al disegno di legge, che prevede una nuova formulazione dell’articolo 117 della Costituzione, in cui viene del tutto soppressa la competenza delle Regioni in materia di lavoro, mediante l’assegnazione delle “politiche attive del lavoro”, accanto alla “tutela e sicurezza del lavoro” al livello centrale, tra le materie di competenza esclusiva statale (ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera o), come ipotizzato dall’articolo 31 del disegno di legge costituzionale ).
Questo tentativo di nuova centralizzazione delle competenze in materia di lavoro è stato a più riprese stigmatizzato dalla Conferenza delle Regioni. Le Regioni ribadiscono la propria contrarietà ad un disegno di legge costituzionale che, tra l’altro, risulta di fatto incoerente con lo stesso disegno riformatore contenuto nel Jobs Act, in cui la programmazione delle politiche attive resta affidata alle Regioni (articolo 1, comma 4, lettera u) della legge n. 183/2014).
Il punto nodale per le Regioni è rappresentato, come già rilevato, dalla necessità di garantire una coerenza interna all’ordinamento, mantenendo sul territorio le politiche del lavoro, non disgiunte dalle politiche formative e di sostegno ai sistemi economici locali, per un’efficace integrazione degli interventi e per una maggiore aderenza dei servizi ai fabbisogni specifici del mercato del lavoro e delle imprese.
2.3 Legge delega n. 183/2014 in materia di lavoro (cd. Jobs Act).
Con la legge delega n. 183/2014 si introducono i criteri direttivi per una profonda riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale ed assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative (articolo 1, comma 4).
Rispetto all’intero impianto della norma, la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome ha svolto un’approfondita istruttoria, finalizzata a ricondurre la norma in un quadro rispettoso delle competenze regionali. In particolare, i rilievi delle Regioni si sono concentrati sulla previsione della costituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione come organismo posto sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e partecipato da Stato, Regioni e Province Autonome, cui vengono attribuite competenze gestionali in materia di servizi per l’impiego, politiche attive e ASpI. Tali rilievi sono stati puntualmente tradotti in richieste di emendamenti all’articolato, che sono stati assunti dalle Regioni come condizionanti l’espressione di un parere positivo sulla norma in sede di Conferenza Unificata. 
Nel corso dell’iter parlamentare di esame del disegno di legge sono stati accolte le principali richieste delle Regioni e superati i profili di manifesta invasività sulle competenze regionali. La formulazione finale del testo, in questo senso, rappresenta un soddisfacente punto di equilibrio tra le funzioni del livello nazionale e quelle del livello regionale, nella misura in cui si limita, correttamente, l’attività di razionalizzazione degli uffici agli enti strumentali ed agli uffici dell’amministrazione centrale (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali) e si delimitano i compiti della costituenda Agenzia nazionale, che andranno ad integrarsi con gli interventi complementari di gestione delle politiche del lavoro messi in atto dalle Regioni. La nuova formulazione dell’articolo 1, comma 4 della lettera e) e lettera u) della legge 183/2014 preserva, infatti, il ruolo di programmazione delle Regioni e di gestione delle politiche e degli interventi sul territorio, al fine di garantire la necessaria aderenza dei servizi ai bisogni espressi dal contesto locale.
Al contrario, un modello di trasferimento di funzioni allo Stato, o comunque di ricentralizzazione delle funzioni in materia di lavoro, come quello che si sta profilando adesso e su cui già in passato i risultati non sono stati positivi, di fatto comporta rischi di eccessiva burocratizzazione e allontanamento dei servizi dalle problematiche dei cittadini e delle imprese.
Alla luce di tali rilievi, è necessario e costituzionalmente corretto che il percorso di attuazione della legge delega avvenga attraverso un effettivo coinvolgimento delle Regioni su un tema così centrale nell’ambito delle politiche per l’occupazione e su cui tanto si è investito nei sistemi regionali, da più di un decennio, in termini di competenze professionali e risorse finanziarie, maturando un bagaglio di esperienze che, seppur diversificato sul territorio, non deve essere disperso. 
Un primo terreno positivo di esercizio, in tal senso, è stato rappresentato dal confronto avvenuto sulla prima bozza di decreto attuativo in materia di riordino degli ammortizzatori sociali, rispetto al quale le Regioni hanno formulato i propri rilievi e proposte emendative, condizionanti l’espressione dell’intesa in Conferenza Stato – Regioni sul testo (in particolare, in relazione agli articoli 7, 15 comma 10, 16 comma 5 e 17). Le Regioni, in tale ottica, sono intervenute sul testo per assicurare che l’attuazione delle norma avvenisse nel rispetto dei diversi modelli organizzativi regionali e per ricondurre l’istituto del contratto di ricollocazione, ivi previsto, nel quadro delle competenze in materia di politiche attive che la Costituzione vigente ancora assegna al livello regionale. A tal proposito, le amministrazioni centrali in sede di Conferenza Stato – Regioni hanno accolto le richieste emendative delle Regioni, condividendone sia la ratio migliorativa e la maggiore rispondenza al quadro costituzionale vigente, sia valorizzando, in tale ottica, il ruolo delle amministrazioni regionali in merito alle politiche attive e nell’attuazione del principio di condizionalità tra le stesse e gli interventi di sostegno del reddito. Il 12 febbraio 2015, pertanto, è stata sancita l’intesa sul provvedimento.
3.Proposte delle Regioni e Province Autonome
Le Regioni intendono rilanciare una propria funzione propulsiva sul tema dell’organizzazione dei servizi per il lavoro, a partire dalla condivisione con l’amministrazione centrale di un’agenda condivisa e tempestiva di lavoro. 
In questa direzione, il modello di governance proposto dalle Regioni è un Sistema nazionale del lavoro, basato sulla necessità di un quadro di riferimento comune a livello nazionale che può essere declinato a livello territoriale, nel rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni che devono valere, senza discriminazioni, su tutto il territorio nazionale.
La proposta di riforma dovrebbe salvaguardare le soluzioni organizzative adottate a livello regionale, laddove efficaci, in termini di risultati misurabili. Il modello dovrebbe prevedere la funzione di programmazione e gestione dei servizi in capo alle Regioni che sono responsabili dell’organizzazione degli interventi sul territorio, con il coinvolgimento degli operatori pubblici e privati accreditati. 
In questo modello sono ben definite le competenze e i compiti integrati dello Stato e delle Regioni, a partire dall’attribuzione al livello centrale dei compiti relativi alla garanzia, verifica e controllo a livello centrale dei LEP e degli standard dei servizi, che siano comprensivi del personale preposto e delle risorse finanziarie necessarie alla sostenibilità del sistema, tenendo conto dei processi riorganizzativi in atto, e del mantenimento in capo alle Regioni delle politiche attive.
In particolare, sono competenze del livello centrale:
  • i livelli essenziali delle prestazioni dei servizi competenti;
  • gli standard minimi dei servizi, il personale minimo che deve essere garantito e le risorse da destinare;
  • i principi fondamentali per l’accreditamento degli operatori pubblici e privati;
  • i criteri per l’accertamento e la perdita dello stato di disoccupazione;
  • la disciplina degli ammortizzatori sociali;
  • i principi e i criteri direttivi per l’implementazione di un sistema nazionale informativo in materia di lavoro;
  • il sistema di monitoraggio e valutazione degli interventi e dei risultati ottenuti;
  • l’assistenza tecnica alle Regioni;
  • in casi eccezionali, la possibilità di un affiancamento da parte del Ministero del Lavoro e delle sue Agenzie strumentali e eventuali condivisi interventi di sussidiarietà. 
Andranno affrontati, inoltre, i problemi del ruolo e delle funzioni di Italia Lavoro e Isfol all’interno del Sistema Nazionale del lavoro.
D’altra parte, una volta definiti a livello nazionale tali obiettivi e standard da perseguire, le funzioni di programmazione e attuazione degli interventi inerenti il mercato del lavoro e l’occupazione debbono rimanere appannaggio delle Regioni, in modo da renderli coerenti con le caratteristiche dei sistemi produttivi locali e le dinamiche domanda-offerta di lavoro a livello territoriale.
Nell’ambito delle proprie prerogative in materia di organizzazione, ciascuna Regione può istituire Agenzie regionali, di diretta emanazione dell'ente Regione, o altro modello di governance anche attraverso una rete di soggetti accreditati, in grado di assicurare un adeguato livello di servizi per lo svolgimento delle seguenti funzioni:
a) i servizi connessi alle funzioni e ai compiti relativi al collocamento e all'incontro fra domanda e offerta di lavoro; 
b) i servizi connessi ai compiti di gestione in materia di politiche attive del lavoro; 
c) gli interventi di prevenzione della disoccupazione; 
d) le attività di orientamento e quelle relative all’obbligo di istruzione;
e) la gestione del sistema informativo del lavoro regionale nel quadro degli standard e delle procedure definite per il sistema informativo nazionale;
f) la collaborazione con le altre agenzie regionali, con il Ministero, con altri enti pubblici e istituzionali.
Le Agenzie regionali o la governance di soggetti accreditati sarebbero pertanto chiamate a dare attuazione alle politiche del lavoro e ad assicurare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni nei rispettivi territori, nonché all’articolazione territoriale dei servizi.
Appare indispensabile mantenere a livello regionale anche le funzioni in materia di formazione, visto il ruolo fondamentale delle Regioni in materia di formazione e lo stretto legame con le politiche attive del lavoro; come già ricordato, infatti, la dicotomia tra i servizi occupazionali e i servizi formativi, ora replicata nei progetti di riforma costituzionale, non appare comprensibile e giustificabile su un piano di efficace funzionamento del sistema.
Puntando inoltre all'obiettivo di semplificazione e di miglioramento della qualità del servizio rivolto ai cittadini, in via inizialmente sperimentale e poi progressiva, anche alla luce delle previsioni del Jobs Act in merito all’Agenzia nazionale, le Agenzie regionali potrebbero gestire anche le politiche passive, integrandosi con la costituenda Agenzia nazionale, nonché stipulando specifici accordi con l’INPS, al fine di orientare i lavoratori alla ricollocazione e di sostenere con forme di sostegno al reddito chi si trova fuori dal mercato del lavoro. Si tratta di un passaggio necessario ai fini di realizzare il principio di condizionalità tra politica attiva ed erogazione di un sussidio, così come avviene nella maggior parte dei Paesi europei.
La costituzione di un sistema nazionale del lavoro potrebbe essere l’occasione per affrontare le criticità attualmente presenti in termini di risorse umane e finanziarie. Criticità che purtroppo non trovano risposta nella previsione del Jobs Act che il riordino del sistema debba avvenire a parità di risorse, nonché tenendo conto degli stanziamenti previsti dall’articolo 1, comma 107 della legge di stabilità 2015 per il sostegno complessivo dell’intero provvedimento.
Ciò appare del tutto incoerente con l'obiettivo di dare al nostro paese standard europei nelle politiche attive e nei servizi per il lavoro, considerato che l’Italia mostra il più basso rapporto tra numero di operatori dei servizi per l’impiego e disoccupati (come ricordato, 1 operatore/ogni 254 utenti), con differenze molto rilevanti rispetto agli altri Paesi europei con caratteristiche simili alle nostre, quali la Germania, la Francia e il Regno Unito. Analoghe differenze, peraltro, si riscontrano anche in relazione alla spesa pubblica destinata ai servizi per il lavoro, che ha registrato negli ultimi anni livelli significativamente più bassi (nel 2011, pari al 0,03 % del PIL) di quanto avvenuto in ambito europeo, dove al contrario sono state investite risorse finanziarie per le politiche attive e per i servizi di collocamento.
La nuova governance dei servizi per il lavoro richiederebbe nuove risorse e un investimento sul personale operante nei servizi per il lavoro, di cui una componente non certo marginale è costituita da lavoratori con elevate e specifiche professionalità, ma impiegati con contratti a termine. Allo stesso modo vanno valorizzati i modelli di governance territoriale che offrono un adeguato livello di servizi con un’organizzazione in cui concorrono operatori pubblici e operatori privati.
Su questi aspetti il legislatore nazionale dovrebbe intervenire con urgenza, piuttosto che mettere mano al quadro delle competenze costituzionali.
Dovrebbe affrontare il nodo delle risorse necessarie per il riassetto ed il rilancio dei servizi per l'impiego, a partire dal tema centrale delle modalità attraverso le quali risorse di bilancio e risorse umane delle Province saranno trasferite ai nuovi gestori dei servizi, superando la situazione di profonda incertezza che da tempo vivono questi lavoratori. 
Alcune Regioni stanno predisponendo il passaggio di competenze, approvando leggi che prevedono l'istituzione dell'Agenzia regionale del lavoro nella quale far confluire competenze e personale dei servizi per l'impiego provinciali, che potrebbe divenire il soggetto unico per la gestione delle politiche attive e della formazione. 
L’auspicio è, comunque, di evitare ritorni al passato e centralismi che spesso, invece di aiutare ad una crescita unitaria e dei servizi in tutto il paese, producono un livellamento verso il basso delle prestazioni e che si possa arrivare ad un sistema nazionale del lavoro profondamente radicato nei territori. In tale direzione, si può garantire la massima efficacia degli interventi, la continuità dei servizi del lavoro, oltre che il pieno coinvolgimento e l’integrazione con la rete dei soggetti privati e istituzionali necessaria per la promozione dell’occupazione. 
Le Regioni colgono l’occasione per sollecitare l’immediata apertura del confronto con il Governo sulla definizione dei contenuti del decreto attuativi del Jobs Act relativamente al sistema nazionale del lavoro.
In particolare, le Regioni ritengono necessario intraprendere da subito un percorso condiviso con il livello centrale per trovare soluzioni omogenee finalizzate a garantire, nell’immediato, l’effettiva funzionalità dei servizi per il lavoro per il 2015 e la messa a regime di un sistema nazionale del lavoro, in cui siano chiariti e specificati i ruoli di ciascun soggetto istituzionale e siano affrontate le problematiche relative alla copertura finanziaria del sistema. 
A tal riguardo, fermo restando la necessità di verificare l’effettiva disponibilità delle risorse del FSE per interventi specifici e di durata limitata, si ribadisce che l’utilizzo di tali risorse dovrà essere coerente con i vincoli tecnici posti dalla normativa comunitaria, da verificare in prima battuta in un confronto con il Governo e, se del caso, con le istituzioni europee; ad ogni modo, le Regioni richiamano l’attenzione sul carattere certamente non risolutivo del contributo che può derivare da tali risorse. 

Provincia di Chieti: un’amministrazione allo sbando!...


Pescara, 10 febbraio 2015

L’Amministrazione Provinciale di Chieti, in quest’ultimo periodo, soffre di amnesie. La vertenza dei lavoratori a tempo determinato dell’Ente provinciale, retribuiti con i fondi sociali europei e utilizzati nei centri per l’impiego, è stata talmente emblematica che non può essere sottaciuta. 
Il Consiglio Provinciale di Chieti, con delibera del 18 dicembre 2014, stabiliva la proroga di tutti i contratti dei lavoratori a tempo determinato. Ebbene, questo provvedimento di proroga, il 22 dicembre, a distanza di 4 giorni, è stato revocato con delibera, sempre dello stesso Consiglio Provinciale. Tale annullamento della proroga dei contratti a tempo determinato si rileva in aperto contrasto anche con la circolare del Ministero della Funzione Pubblica, che prevede e consente un prolungamento dei suddetti contratti, andando anche oltre i 36 mesi. 
Una vicenda singolare e peculiare della Provincia Teatina, giacché le altre tre Amministrazioni provinciali abruzzesi non hanno assunto quest’atteggiamento di chiusura e di rigidità verso la possibilità di proroga dei lavoratori a tempo determinato.
Questa contraddittorietà nelle decisioni ha creato notevoli disagi sia all’organizzazione dei servizi dei centri per l’impiego che un danno palese agli stessi lavoratori. La CISL FP ha denunciato più volte il comportamento anomalo dell’Amministrazione Provinciale di Chieti, sia in sede locale che durante i lavori dell’”Osservatorio regionale per la riforma delle province”. 
L’anomalia della mancata proroga dei lavoratori a tempo determinato non è la sola. La Provincia di Chieti in palese violazione di quanto previsto dalla Legge n.56 del 2014 (Legge Del Rio), che obbliga le province a fotografare la situazione organizzativa e funzionale dell’Ente alla data del 4 aprile 2014, continua, attraverso decreti presidenziali, a modificare pretestuosamente e in maniera irragionevole il funzionigramma e l’assetto organizzativo dell’Ente, spostando personale e dirigenti da funzioni ad altre. Un ulteriore spregio alla norma citata e alle indicazioni venute fuori dall’Osservatorio regionale.
a CISL FP chiede al Presidente della Provincia di sanare l’anomalia dei lavoratori a tempo determinato e di ripristinare il modello organizzativo vigente alla data del 4 aprile 2014, in modo da evitare che, nel trasferimento di funzioni e di attribuzioni di incarichi dirigenziali nelle more del trasferimento delle stesse ad altri Enti, regione o comuni, i lavoratori interessati possano essere fortemente penalizzati.
La CISL FP, in assenza di provvedimenti finalizzati a ripristinare, in maniera chiara, decisa e tempestiva, le condizioni di legalità, sia con riferimento ai lavoratori a tempo determinato e indeterminato che al funzionigramma, interesserà della vertenza la Regione Abruzzo e l’Osservatorio regionale. 

Il Segretario Interregionale 
Gabriele Martelli
Il Segretario Generale FP   
Vincenzo Traniello

Chieti. Lettera a Renzi: così la Provincia manda a casa i precari

CHIETI. «La Provincia continua a ignorare il progressivo blocco delle attività istituzionali dei centri per l'impiego, e nello specifico delle attività relative al programma europeo Garanzia Giovani, come naturale conseguenza delle scadenze progressive dei contratti di lavoro del personale precario addetto a tale servizio». É quanto lamenta la Cgil, e per essa il segretario provinciale della Fp, Paola Puglielli, in una lettera indirizzata al presidente del Consiglio Matteo Renzi, ai ministri Madia e Poletti, e ai vertici di Regione e Provincia. La Puglielli chiama in causa il twitt prenatalizio della Madia che annunciava: «Prorogati i contratti ai precari nelle Province, nessuno perde il posto e si danno migliori servizi ai cittadini». Twitt ignorato dalla Provincia teatina, che il 22 dicembre aveva mandato a casa i precari e bloccato i servizi specialistici dei Centri per l'impiego, «nonostante l'orientamento dello Stato al loro potenziamento - sottolinea la sindacalista - come da previsione di legge delega nel merito dell'istituzione di un'Agenzia nazionale per l'occupazione». E tutto questo anche dopo che una delibera di consiglio provinciale, datata 18 dicembre, prorogava i contratti dei precari, delibera annullata quattro giorni dopo, in auto tutela, ma «senza motivazioni - sottolinea la Cgil - e senza che siano intervenute variazioni normative». I lavoratori precari, alcuni con 12 anni di servizio, hanno tentato di analizzare la situazione con il presidente Mario Pupillo, «ma questi, anche grazie al supporto dei funzionari dell'ente - scrive la Puglielli - ha ritenuto che la normativa vigente non è applicabile al nostro caso. Ai nostri interlocutori appare del tutto ininfluente che i ministri abbiano predisposto una circolare contenente linee guida dettagliate» per protrarre i servizi gestiti dall'ente, prorogando i contratti dei precari. É quanto hanno fatto «la quasi totalità delle Province italiane», si legge ancora nella lettera, che dà conto anche della proroga arrivata dalla Regione per le funzioni esercitate dai Centri per l'impiego alla Provincia di Chieti fino a tutto il 2015, con il relativo stanziamento delle risorse. E così anche il servizio Garanzia Giovani, su cui tanto si punta per l'occupazione giovanile, è fermo al palo.
FONTE: http://www.abruzzo.cgil.it/rassegna-stampa/item/chieti-lettera-a-renzi-cos%C3%AC-la-provincia-manda-a-casa-i-precari.html

SERVIZI PUBBLICI PER IL LAVORO, LA PAROLA AGLI OPERATORI

Dalla Riforma Bassanini - nella quale venne previsto il passaggio delle competenze in materia di servizi per il lavoro dallo Stato alle Regioni (e quindi poi alle Province) - ad oggi, molto è successo nei Servizi Pubblici per il Lavoro.
All’insegna di un cambiamento radicale rispetto al passato, quella prima fase di trasformazione da Uffici di Collocamento a Centri per l’Impiego si contraddistinse per gli importanti investimenti da parte di Regione e Province in riprogettazione dei servizi e aggiornamento e formazione degli operatori, ciò al fine di uscire dal puro e semplice espletamento di pratiche burocratiche per concentrarsi, invece, sulle azioni di politica attiva, anche in osservanza delle indicazioni e degli standard europei.
Questo ha portato nel tempo alla realizzazione di un sistema strutturato e di qualità dei Servizi Pubblici per il Lavoro a sostegno di disoccupati, lavoratori, imprese e altri soggetti del territorio.
Gli ultimi anni, invece, a causa della sproporzione tra le risorse (umane e finanziarie) a disposizione, e l’aumento sia di utenti che di adempimenti amministrativi in capo ai CPI, sono stati segnati da una netta e preoccupante inversione ad “U” che ha riportato al prevalere degli aspetti meramente burocratici e legati ad azioni di politica passiva (si vedano gli ammortizzatori sociali o altri benefici connessi con lo stato di disoccupazione) a scapito di quelle attese ed incisive azioni di politica attiva.
Il travagliato processo di abolizione prima, riordino poi e riforma infine delle Province ha fatto il resto,paralizzando le nostre amministrazionirendendole incapaci, solo in parte legittimamente, di scelte e progettualità a medio-lungo respiro.
Come operatori a diretto contatto con utenti in situazione di forte necessità e disagio, abbiamo spesso la percezione di ritrovarci soli, senza una controparte politica che indichi obiettivi, che costruisca percorsi concreti per la gestione del moltiplicato numero di utenti, che valorizzi il ruolo dei nostri Servizi all’interno delle dinamiche del mercato del lavoro. Non riusciamo a cogliere un progetto politico chiaro e preciso, una discussione di merito sulle effettive funzioni ed attività che i servizi pubblici del lavoro devono svolgere per sostenere persone edimprese.
Si continua solo a parlare di “contenitori” (le nuove Province, la nuova Agenzia per il lavoro, il raccordo fra politiche attive e passive, etc.), senza declinare i contenuti, cioè quel che dovrebbe essere fatto per i cittadini ed i territori. Non mettere ad oggetto centrale dell’agenda politica e tecnica il tema dei “servizi” costituisce un elemento di forte pregiudizio alla corretta impostazione del riordino dei centri per l’impiego e delle politiche del lavoro. È paragonabile al metodo di chi, volendo mettere mano alla riforma complessiva della Scuola o della Sanità, non tenesse conto, fin dall’inizio, dei programmi scolastici o delle specifiche relative alle singole prestazioni sanitarie. Non può essere ignorato il rapporto organico e inscindibile che intercorre fra contenuto dei servizi e la loro governance, se non a prezzo di operazioni approssimative e forzate.
Tale mancanza, unita alla situazione di sospensione delle Province, sta producendo un arretramento dei servizi pubblici anziché un loro sviluppo strategico, come invece sarebbe richiesto dalle dinamiche del mondo del lavoro oltre che dai principali obiettivi strategici dell’UE.
Alla luce di quanto esposto ci permettiamo di segnalare che il processo di riorganizzazione in atto dovrebbe muoversi secondo alcune direttrici irrinunciabili:
  • Semplificazione delle procedure burocratiche e reale potenziamento delle politiche attive a partire dalle best practices dei territori.
  •  Valorizzazione dei servizi pubblici per l’impiego quali agenzie che mediano fra processi sociali, economici e culturali connessi con il mondo del lavoro, e non semplici “uffici che fanno timbri”.
  •  Valorizzazione del ruolo territoriale costituito in questi anni dai servizi pubblici per il lavoro.
  • Sollecitazione di un mercato del lavoro più “trasparente”, in cui, ad esempio, le aziende sono obbligate a comunicare ai servizi pubblici le vacancy di lavoro.
  • Agevolazione dell’intervento dei CPI sulla cosiddetta “filiera dell’occupabilità”: ogni buon incontro tra domanda e offerta parte da molto lontano; formazione, informazione, cultura e competenze per diventare “buoni cercatori di lavoro” si costruiscono in una prospettiva temporale lunga. Per non parlare, poi, di quanto sarebbe necessario continuare a fare sul versante delle imprese per modificare rappresentazioni e culture del lavoro che limitano l’accesso alle opportunità. I progetti realizzati in questi anni, in integrazione con sistema delle imprese, servizi sociali e sanitari, enti locali, mondo della scuola, della formazione e dell’università, organizzazioni sindacali, INPS, DTL, patronati, centri di ricerca, centri giovani, ecc. testimoniano la necessità, da parte dei CPI, di interfacciarsi con una molteplicità di soggetti e di costruire integrazione e coordinamento fra tutte le politiche e gli interventi che producono “occupabilità”.
  • Potenziamento della capacità progettuale dei CPI, permettendo loro di accedere ai fondi strutturali dell’UE per la realizzazione di progetti di sviluppo e adattabilità dei lavoratori.
  •  Costruzione di un quadro normativo più chiaro e fattibile, rispetto a quello attuale, di integrazione fra politiche passive e attive.
  • Stabilizzazione del personale precario in capo da anni ai CPI.
  • Aumento delle dotazioni umane e finanziarie.
Crediamo che il diritto al lavoro passi attraverso servizi pubblici efficienti, di valore e di qualità.
Come operatori dei CPI pensiamo di avere un contributo interessante da offrire, ci piacerebbe quindi poterne fare oggetto di confronto con la politica.

Gli operatori dei CPI della Provincia di Rimini

"Lo spreco di risorse nei Servizi per il Lavoro"

Un giornalista di una nota trasmissione d'inchiesta televisiva ci ha contattato per aver informazione sugli sprechi nel settore lavoro e nei centri impiego. Sotto la nostra risposta su cosa intendiamo per sprechi e dove sono.

Noi riteniamo che in questi anni i servizi al lavoro in Italia siano stati sotto finanziati e letteralmente smantellati. Se si cerca lo spreco in questi servizi questo va inteso come scelte, anche politiche, che sono andate nelle direzione di deprimere ruolo e funzione dei servizi pubblici per il lavoro.
Un esempio di scelte politiche di allocazione delle risorse che va nella nella direzione su esposta è quella della Provincia di Firenze, che in questi anni ha finanziato il “Progetto APL” (Agenzie Per il Lavoro). Un'iniziativa che, per i promotori, avrebbe dovuto esaltare i benefici della collaborazione fra pubblico e privato e che, invece, appare un foraggiamento del privato con risorse pubbliche.Il progetto aveva come finalità l'incremento occupazionale tramite le agenzie interinali del territorio fiorentino di categorie di disoccupati in situazione di svantaggio (disoccupati di lunga durata, over 50, inoccupati, giovani occupati in maniera saltuaria). Il suo funzionamento prevedeva un sorta di “premio” in denaro per le agenzie interinali ad ogni assunzione che riuscivano a fare. In sostanza si finanziavano le agenzie interinali per il lavoro che normalmente svolgono, cioè di assumere persone per impiegare loro in una determinata prestazione lavorativa nelle aziende. Il bilancio è stato deludente.
Si sprecano risorse sottoutilizzando le competenze degli operatori interni (di cui molti laureati e specializzati). Queste sono spesso poco valorizzate. Non c'è un'idea chiara di cosa fare con questi servizi. Assistiamo da anni ad un affastellarsi di progetti senza organicità e senza un'idea precisa di cosa si voglia raggiungere con le varie sperimentazioni fatte. Le amministrazioni hanno schiacciato i propri dipendenti sotto il peso degli adempimenti burocratici, non ascoltando chi di noi ha più volte stigmatizzato che una buona metà di quanti si iscrivono ai CPI lo fa per motivi diversi dalla ricerca del lavoro: dall'esenzione dei ticket sanitari alla fruizione di altri servizi pubblici; dalla partecipazione ad un bando per una borsa di studio alla tariffa ridotta per i bus...potremmo proseguire con una casistica pressoché infinita. Questo è un altro modo di sprecare risorse, tempo e soprattutto competenze.
I centri impiego sono in parte finanziati con una quota del Fondo Sociale Europeo, al quale molti soggetti privati vorrebbe accedere ancor di più. Questo spiega gli attacchi ai servizi pubblici per l'impiego e l'esaltazione del servizio privato, che in questi anni non sono mancati. Basta pensare all'articolo che Sergio Rizzo ha pubblicato nel novembre del 2012 sul Corriere della Sera o la continua campagna mediatica, volte a dimostrare l'inefficienza del pubblico e di contro l'efficienza del privato. Un privato, tra l'altro, spesso finanziato con soldi pubblici. L'articolo di Rizzo si avvaleva della testimonianza e dei dati forniti dal presidente della Confartigianato. Una fonte quanto meno poco oggettiva. La Confartigianato, insieme ad altre associazioni datoriali e dei lavoratori, rappresenta quel privato che l'autore dell'articolo sembra invocare implicitamente quale soggetto capace di aver successo la dove il pubblico sembra, a sua detta, aver fallito. La Confartigianato, insieme agli altri sopra citati, è già a pieno titolo un cogestore dei servizi forniti dai centri per l'impiego. Se una colpa, e conseguente spreco di risorse, è da attribuire al pubblico è lo scarso controllo sulla qualità dei servizi dati in appalto ai privati. Un ridimensionamento del servizio pubblico è funzionale agli appetiti di molte agenzie che mirano a gestire fette sempre più ampie di questi servizi e magari con la scomparsa definitiva del servizio pubblico, le strutture private potrebbero arrivare a farsi pagare gli stessi servizi che ora sono obbligate a dare gratuitamente ai disoccupati (la raccolta curriculum e l'incrocio domanda/offerta).
Spesso viene messo in risalto la scarsa fiducia che le aziende hanno nell'avvalersi dei sevizi pubblici per la ricerca di personale, mettendo altresì in evidenza, come il passa parola o la presentazione siano il canale maggiormente utilizzato per trovare personale. Attribuire ai servizi pubblici per il lavoro con scarse risorse e mezzi il compito di governare il mercato del lavoro modificando prassi, atteggiamenti e una cultura che si affida quasi totalmente alla relazione personale per cercare un impiego, significa misconoscere quale sia stata la politica che per decenni si è perpetrata nei confronti di questi servizi. Da decenni è stata tolta ai servizi pubblici per il lavoro, attraverso una metodica destrutturazione ed un impoverimento anche materiale (basta pensare al gran numero di precari presenti in questi servizi), la capacità e la funzione di governare e regolamentare il mercato del lavoro. Funzioni che sono state distribuite ad una molteplicità di enti che con il lavoro hanno poco a che fare. Mancando, così, una regia unica e pubblica su scala nazionale risulta impossibile regolamentare e tutelare il lavoro e il lavoratore. Se vogliamo davvero aumentare il placement diretto basterebbe fare come in Svezia: obbligare annualmente le imprese a comunicare pubblicamente le proprie vacancies Ciò consentirebbe, anche, di rendere trasparente il sistema e, forse, di uscire dal dramma - questo sì reale - dell'essere assunti solo per conoscenza, che spesso si riassume nel “ti assumo se ti conosco o se sei amico dei miei amici, meglio se sei un giovane apprendista ma con esperienza, meglio se non sei donna e non vuoi fare figli, meglio ancora se sei della mia città e parli con il mio accento, meglio se non sei disabile, meglio se ti pago poco e meglio ancora se ti assumo con una qualifica generica e poi ti faccio svolgere mansioni superiori, meglio se una parte ti pago in nero....ecc..ecc...” in questo sistema le competenze sono solo un elemento accessorio e la selezione del personale privilegia il rapporto di fiducia (riproducendo così il legame familiare) piuttosto che puntare sulle competenze. Questo tipo di logica alla lunga ha indebolito il sistema aziendale italiano, rendendolo meno competitivo e creativo difronte alla crisi crescente.
Le scelte della politica italiana sul lavoro non riescono a venire fuori dalla logica secondo la quale per favorire occasioni di lavoro occorre letteralmente pagare i datori, con forme più o meno surrettizie di incentivi, ulteriore spreco. Per altro talmente incoerenti che ogni sistema di “incentivazione” ad assumere finisce per fagocitarne un altro. Si ha l’assenza totale di un sistema di incentivazione della domanda di lavoro, cosa che avrebbe dovuto essere al centro dei progetti di implementazione dei servizi per il lavoro, insieme alla formazione: cioè, predisporre strumenti di avvicinamento al lavoro e qualificazione dei lavoratori inducendo le imprese a manifestare pubblicamente le domande e riservando premi economici solo alle imprese disposte a pubblicizzare le domande.

Per cui per noi il vero spreco è avere dei servizi che potrebbero funzionare e impegnarsi in direzione contraria.

Per dare una panoramica della situazione in Europa possiamo vedere molto differenze.In Germania, il sistema pubblico per il lavoro e forte e bene finanziato. Nel 2007, in Germania il personale dei servici pubblici al lavoro ammontava a 74mila dipendenti oggi 115000; in Gran Bretagna 67mila unità nel 2007 oggi 77722; inItalia9989 nel 2007 e 8000 (di cui circa 1200 precari ca).Nel 2011 l’Italia ha speso per i servizi pubblici per il lavoro circa 500 milioni di euro contro i 5,8 miliardi spesi dalla Francia, gli 8,8 miliardi della Germania, i 5,5 miliardi del Regno Unito e gli 1,3 miliardi spesi dalla Spagna. Le spese per politiche del lavoro sul Pil in Germania erano il 0,34%, in Gran Bretagna lo 0,34%, in Italia l'0,03%. I rapporto operatori disoccupati in Germania è 1 su 48, in Gran Bretagna 1 su 24, in Italia ben 1 su 150 (nelle grandi città italiane siamo a circa 1 a 500). Tradotto significa che gli operatori dei CPI in Italia hanno in carico, pro capite un numero molto maggiore di persone a fronte di minori strumenti, risorse e progetti di inserimento.Come già scritto sopra, negli ultimi tempi una parte autorevole della stampa ha focalizzato la propria attenzione sui Centri per l’Impiego, analizzando (spesso in modo troppo superficiale) le attività che vengono svolte in questi uffici e divulgando dati scoraggianti circa la performance complessiva dei servizi evidenziando come i pochi soldi spesi per mantenerli siano a loro avviso uno spreco.Tali affermazioni sono stati recentemente smentiti da una indagine dell’ISFOL (Lo stato dei Servizi pubblici per l’impiego in Europa: tendenze, conferme e sorprese ) dal quale si riscontra che il nostro paese si colloca tra quelli che hanno meno investito nei servizi per l’impiego e si segnala negativamente, in quanto, contrariamente a quanto suggerito dalla UE, ha ridotto nella crisi il supporto agli SPI, sia in termini di risorse finanziarie che umane. L’unica, peraltro magra consolazione, è che il sistema degli SPI italiano, nonostante il de-finaziamento e la crisi, sembra aver tenuto.e dal Rapporto sul Mercato del Lavoro CNEL del 30 settembre 2014 sottolinea che:“[…] su questo fronte, la vera sorpresa è il nostro paese, ove il costo per singolo intermediato è tra i più bassi. Sia detto per inciso che i dati relativi all’Italia smentiscono ampiamente recenti analisi, rimbalzate sulla stampa, che hanno lamentato lo spreco delle risorse pubbliche destinate agli Spi (Servizi per l’Impiego).”Anzi, dai dati emerge evidente che più si è investito sui servizi al lavoro e più rapida è stata la capacità di reazione dell'economia dei paesi, infatti la prima per investimenti risulta la Germania una tra le ultime l'Italia.