Aria fritta per le province

CGIL-CISL-UIL, Governo, Anci e Conferenza delle Regioni hanno sottoscritto un indecoroso protocollo di intesa
Al di là delle parole, il protocollo non salvaguarda lavoratori\trici e le funzioni fino ad oggi erogate dalle Province.
Le province sono solo la prima tappa di quel processo di revisione degli Enti locali che avverrà tagliando i posti di lavoro (con il blocco del turn over ne abbiamo già perduti a migliaia e altri ne perderemo con la mancata stabilizzazione dei precari), mandando a casa i lavoratori e le lavoratrici degli appalti. Non è assolutamente vero che il protocollo salvaguarda i livelli occupazionali perchè accetta i processi in atto che vanno nella direzione contraria e allunga il commissariamento delle Province procedendo con lo smantellamento dei piccoli Comuni
Con il protocollo Cgil Cisl Uil accettano e sottoscrivono la mancata assunzione dei precari, lo scorrimento delle graduatorie ancora vigenti, i processi di mobilità (coatta?) tra enti e società in house e soprattutto si dichiarano disponibili a trattare sulle riduzioni organiche naturalmente dietro al paravento dei tavoli territoriali e\regionali per mobilità e processi di quiescenza (pensionamento) del personale. Detto in altri termini si preparano a taglaire posti di lavoro e competenze, questo è il risultato del Protocollo di intesa tra Cgil Cisl uil e Governo
I lavoratori e le lavoratrici delle Province e degli appalti si mobilitino da subito in ogni città denunciando il protocollo e ribadendo che nessun posto di lavoro dovrà essere toccato salvaguardando tutte le funzioni soprattutto quelle di maggiore rilevanza sociale ed ambientale
Cobas Pubblico Impiego

Maxiemendamento alla legge di stabilità

Il comma 140 lettera C del maxiemendamento alla legge di stabilità parla dei cpi

Ancora attacchi, su dati sbagliati, ai centri per l’impiego

I dati sbagliati di Confcommercio e Rizzo sui servizi pubblici per il lavoro

Dopo gli articoli di Dario Di Vico, è con Sergio Rizzo che il Corriere della Sera del 23 novembre 2013 perpetua i suoi attacchi ai servizi pubblici per il lavoro. Con una sincronia rispetto al tema dell’utilizzo e ripartizione dei fondi per la Youth Guarantee davvero svizzera. Una guerra aperta contro il pubblico, a tutto vantaggio delle agenzie per il lavoro private, che puntano molto decisamente agli 1,5 miliardi circa di euro di finanziamento del progetto, utilissimi per risollevare le sorti di bilanci messi in difficoltà dalla crisi occupazionale e mettono in campo ogni risorsa per togliere qualsiasi “concorrente” al possibile utilizzo di queste risorse. E il principale “avversario” sono i centri per l’impiego, dei quali da questa primavera – da quando si è concretizzata la strategia Youth Guarantee – sono costantemente sotto attacco.
Anche a costo di riprendere con oltre un mese e 10 giorni di ritardo uno studio della Confartigianato, come ha puntualmente (si fa per dire) fatto Sergio Rizzo, per tirare la sua stilettata ai servizi, utilizzando solo, esclusivamente ed acriticamente i dati forniti dallo studio stesso, senza nemmeno peritarsi di verificarne l’attendibilità.
Il centro studi della Confartigianato asserisce di aver basato il suo report sui centri per l’impiego utilizzando dati e rapporti del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, di Unioncamere ed Eurostat e di Isfol.
Ottimo. Peccato che per le rilevazioni compiute, nessuno, si sottolinea nessuno, di questi enti disponga di un sistema di rilevazione fondato su banche dati accessibili e verificabili, riguardanti l’intermediazione domanda/offerta.
Spieghiamo meglio cosa si intende dire, analizzando le riflessioni contenute nello studio, supinamente riportate da Sergio Rizzo.
Dunque, secondo lo studio di Confartigianato:
  1. solo il 2,9% delle imprese gestisce le assunzioni mediante selezione effettuata da un Centro per l’Impiego: il canale di ricerca e selezione dei lavoratori più utilizzato è quello informale della segnalazione di conoscenti e fornitori (61,0%), seguito dall’utilizzo di banche dati aziendali (24,6%);
  2. solo il 3,4% degli occupati italiani si è rivolto ai Centri per l’Impiego per trovare lavoro. Una percentuale che scende al 2,7% per i giovani fino a 29 anni.
  3. la scarsa fiducia di imprese e lavoratori nei servizi pubblici per l’impiego è testimoniata inoltre dal fatto che, nel 2012, sono state solamente 40.534 le imprese italiane che hanno utilizzato il servizio pubblico per trovare il personale da assumere.
Si tratta di affermazioni molto ricorrenti, che traggono prevalentemente spunto dal rapporto Isfol sull’efficienza dei centri per l’impiego.
Potrebbero in qualche misura considerarsi utili e attendibili se esistesse un sistema per tracciare il flusso tra domanda presentata dalle aziende, offerta del lavoratore, intermediazione svolta dai Cpi, avvio delle rose dei candidati e successiva assunzione. Un sistema, dunque, capace di leggere nelle banche dati dei disoccupati e delle aziende, agganciandosi alla piattaforma delle Comunicazioni Obbligatorie, per analizzare davvero su dati reali i flussi.
Invece, le rilevazioni delle fonti su cui si basa lo studio di Confartigianato sono tutte fondate su interviste “a campione”, perché il sistema di tracciamento immaginato prima semplicemente non esiste.
Qualcuno, dunque, alza il telefono e chiede agli imprenditori se si sono avvalsi o meno dei centri per l’impiego, oppure ferma i lavoratori e chiede loro se hanno trovato lavoro. Domande complesse, che spesso trovano sbrigative risposte, per la semplice ragione, verificabile colloquiando con chiunque, che pochissimi sanno come funziona il sistema e quasi tutti equivocano sul termine di “intermediazione”. Infatti, per solito si ritiene che l’intermediazione sia l’assunzione del disoccupato da parte dell’impresa. Invece, l’intermediazione è e non potrebbe essere diversamente, composta dalla preselezione di una rosa di candidati multipla rispetto al numero di posti disponibili chiesti dall’azienda, in quanto, poi, la selezione e la stipulazione del contratto viene effettuata ovviamente dal datore di lavoro. A meno che questo non dia mandato anche di effettuare direttamente la selezione, cioè l’inviduazione del soggetto da assumere, ipotesi solo di scuola. Imprenditori e lavoratori conoscono poco i meccanismi e, dunque, forniscono risposte “a sentimento”, che poi vengono date per buone.
Nel 2012, nella sola Verona, sono state effettuate oltre 25.000 intermediazioni di disoccupati a beneficio delle aziende. Dal che discende che l’affermazione di Sergio Rizzo, basata sullo studio di Confartigianato “Negli ultimi sette anni hanno trovato occupazione attraverso i centri per l’impiego mediamente non più di 35.183 persone ogni dodici mesi” è semplicemente frutto di rilevazioni che non poggiano su dati concreti.
Pertanto, il conteggio di un costo di oltre 13.000 euro per reperire lavoro a un disoccupato è del tutto privo di basi. Ma, naturalmente, ha finito per essere il “titolone” da prima pagina.
Lo studio della Confartigianato, per altro, glissa sulla circostanza che i centri per l’impiego conducono annualmente decine di migliaia di colloqui per l’inserimento dei disoccupati nelle banche dati, essenziali per accedere alle prestazioni Inps, colloqui di primo orientamento, proposte di lavoro, preselezioni, contatti con le aziende, predisposizione di piani di accompagnamento al lavoro, avvii a formazione, avvii ai tirocini, gestione del lavoro subordinato dei disabili.
Sarebbe bastato dare un’occhiatina alle rilevazioni realizzate dal Sose per la determinazione dei fabbisogni standard dei servizi per il lavoro, e così capire che i dati di Confartigianato sono molto sommari e discutibili.
Vi sono, poi, nell’analisi di Confartigianato dati da considerare completamente sbagliati ed inaccettabili, per quanto il centro studi dell’organizzazione affermi di basarli su rilevazioni Eurostat. Secondo lo studio di Confartigianato, infatti, “nel periodo 2005/2011, il costo delle retribuzioni dei “Servizi per l’impiego” è cresciuto del 24,4%, con una dinamica tripla rispetto ai redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione che, nello stesso arco di tempo, sono saliti dell’8,3%”.
Non sappiamo quale tabella o computo abbia utilizzato Confartigianato. Sappiamo per certo che l’affermazione riportata sopra è del tutto falsa ed erronea.
La spesa del personale dei servizi per l’impiego in Italia non può essere cresciuta di 3 volte rispetto alla crescita dei redditi da lavoro dipendente nella pubblica amministrazione, come indicato nel surreale rilievo dello studio proposto, per una ragione estremamente esemplice: i centri per l’impiego operano presso le province; ai dipendenti si applicano i contratti collettivi nazionali di lavoro pubblici e, dunque, le identiche dinamiche salariali valevoli per tutta la pubblica amministrazione. Il costo delle retribuzioni dei centri per l’impiego, pertanto, nel periodo 2005-2011 non è affatto aumentato del 24,4%, cifra folle e impossibile, anche considerando il blocco dei contratti, fermi al 2009.
Basterebbe semplicemente questa sottolineatura per qualificare la rilevanza scientifica dello studio di Confartigianato, ma, soprattutto, per rammaricarsi della circostanza che esso possa essere acriticamente rilanciato, come ha fatto il Corriere della sera.
E dimostrano: “la spesa italiana per servizi per il lavoro degli ultimi anni è in media intorno ai 600 milioni di euro ed è diminuita dal 2008 proprio in concomitanza con l’aumento della disoccupazione giovanile (anche in ragione della destinazione delle risorse FSE agli ammortizzatori in deroga). La spesa media 2005- 2011 della Germania per servizi per il lavoro è intorno agli otto miliardi di euro, quella della Francia è intorno ai 5 miliardi della Spagna supera il miliardo di euro. Rispetto al PIL la spesa italiana per servizi per il lavoro è intorno allo 0,03 per cento, contro lo 0,3 per cento della Francia, della Germania e del Regno Unito. I paesi europei che all’inizio della crisi hanno fortemente investito sui servizi per l’impiego sono quelli che hanno ottenuto i migliori risultati e che hanno potuto persino decidere dal 2010 di diminuire la spesa per politiche del lavoro (come la Germania e l’Olanda).
Il personale addetto alla presa in carico del disoccupato in Italia è uno ogni 200 disoccupati: questo dato è peggiorato in questi mesi per via del pensionamento di molti operatori e comprende anche il personale amministrativo in back office. Se però consideriamo quanti operatori abbiamo per ogni disoccupato o inoccupato disposto a lavorare il dato è di uno ogni 594 ! Nel Regno Unito abbiamo un operatore ogni 43 disoccupati disponibili al lavoro, in Francia uno ogni 59, in Germania uno ogni 27.
Importante il dato sulla spesa assoluta, che evidenzia la clamorosa controtendenza italiana: al 2010, in piena crisi ed emergenza giovani, l’Italia ha speso circa 26 miliardi di euro per politiche del lavoro, dei quali 20 miliardi per politiche passive ( trattamenti di disoccupazione e prepensionamenti), 5 per politiche attive ( soprattutto incentivi e formazione) e solo 500 milioni per servizi. Nel periodo 2005-2011, con la crisi, diminuisce in proporzione e persino in valori assoluti la quota di risorse destinata a politiche attive e servizi” (da Work Magazine, 20.6.2013“I dati clamorosi della spesa dei servizi per il lavoro”).
Vi è, invece, un dato indiscutibilmente vero, nello studio di Confartigianato: gli imprenditori si avvalgono poco dei servizi pubblici per il lavoro. Gli artigiani quasi per nulla. E sembra ne facciano un vanto ed un vessillo, nell’affermare che la gran parte dell’intermediazione passa per i “lavora con noi” nei portali delle singole aziende o per i canali delle conoscenze personali.
Non ci si rende conto che sono proprio questi gli elementi che rendono il mercato del lavoro inefficiente ed opaco. L’esistenza di una serie di canali chiusi, riservati a poche persone capaci di esplorarli ed utilizzarli, rende il sistema dell’incontro domanda-offerta in Italia poco trasparente, anti democratico, incapace di far conoscere appieno le opportunità e di selezionare al meglio.
Se quella piattaforma immaginata sopra funzionasse o la si volesse far funzionare, basterebbe indurre le aziende, con un sistema di incentivi e disincentivi, a manifestare le proprie esigenze di lavoro prioritariamente in quel portale, consentendo poi a tutti gli operatori dell’intermediazione, pubblici o privati, di proporre entro un lasso di tempo molto breve, rose di candidati. In questo modo sarebbe possibile davvero tracciare i flussi e verificare efficienze ed inefficienze.
L’articolo di Rizzo e lo studio di Confartigianato concludono invitando il Governo a non investire in servizi ritenuti improduttivi. Strano; per una volta che potremmo imitare la Germania, con una disoccupazione pari a zero quasi, nelle sue politiche virtuose, cioè investire 8 miliardi nelle politiche attive per il lavoro, con 100.000 quasi dipendenti negli uffici corrispondenti agli italiani centri per l’impiego, per i quali l’Italia investe meno di 500 milioni e nei quali lavorano 7.700 dipendenti (dato Upi), l’invito è non a potenziare servizi che sarebbero essenziali per lo sviluppo del Paese, ma a deprimerli ulteriormente.
La Confartigianato insiste sulla carenza di flessibilità nel sistema pubblico, che non consente di incentivare gli operatori dei centri per l’impiego con incentivi economici per le assunzioni svolte. Ragionamento anche in questo caso non corretto. I servizi pubblici per il lavoro dispongono già di un sistema di incentivazione per il risultato: è dato dall’applicazione delle disposizioni normative e contrattuali sul risultato, funziona da anni, da molto prima della riforma Brunetta (negli enti locali il sistema della performance, per chi lo applica correttamente, vige sostanzialmente dal 1995) e, dunque, non è necessaria alcuna incentivazione.
L’insistenza su questo argomento deriva dall’idea di incentivare, pagare con fondi pubblici, le agenzie private, le quali puntano a far sì che la Youth Guarantee sia realizzata con un sistema di voucher, poi da estendere a tutti i disoccupati. Essi, in sostanza, disporrebbero di una somma di denaro pubblico, da spendere come un buono, presso i soggetti che assicurano i servizi. Pertanto, si finirebbe per creare, in Italia, un sistema che sarebbe assai appetibile per i privati: eliminare di fatto, anche se non di diritto, il divieto di chiedere un pagamento ai disoccupati per il servizio di ricerca del lavoro, mascherando detto pagamento dietro il “voucher”, con l’ulteriore finzione di far apparire il tutto come un sistema “privato”, mentre il tutto sarebbe comunque finanziato da risorse pubbliche. Con l’ulteriore aggravante di rendere stabile un sistema di ricerca organizzato per tessere, conventicole e canali “privilegiati”.

BASTA CON LA DEMAGOGIA SUI CENTRI PER L'IMPIEGO. BASTA CON GLI ATTACCHI AL LAVORO PUBBLICO

Comunicato FP CGIL e CGIL

Ancora una volta sulle pagine di importanti quotidiani nazionali leggiamo del presunto fallimento dei Centri per l'impiego italiani e dell'alto costo del lavoro pubblico impiegato negli stessi centri.
Basterebbe fare un confronto tra il nostro e gli altri Paesi europei sull'investimento di questi servizi per spiegare i limiti delle nostre politiche attive. E non siamo certo noi a dire che il sistema possa andare così com'è e che non serva una riforma dell'intervento pubblico in questo settore.
La cosa sorprendente è non comprendere come il dato sull'incrocio domanda/offerta è solo uno degli indici che consentono di valutare il sistema, in considerazione del fatto che il servizio di incrocio domanda / offerta sia solo uno dei molteplici servizi offerti a chi cerca lavoro ed alle aziende.
Sono marginali tutti i servizi per il potenziamento dell'occupabilità dei lavoratori? La gestione amministrativa delle crisi aziendali? Il collocamento mirato dei disabili? Le attività informative e di sostegno alla formazione? La consulenza alle aziende sui bandi di finanziamento e sulle agevolazioni per le assunzioni?
Potremmo continuare con un lungo elenco di attività, ma evidentemente a molti fa comodo screditare il ruolo del pubblico in questo ambito sostenendo che la gestione privata sia la panacea di tutti i mali. Peccato che anche il settore privato abbia gli stessi limiti del pubblico nonostante si limiti esclusivamente all'attività di incrocio tra domanda ed offerta, peraltro puntando esclusivamente sulle figure professionali appetibili sul mercato del mercato.
La cosa sconcertante è l'implicito attacco al lavoro pubblico. In questo settore lavorano migliaia di persone con grande professionalità, con stipendi bloccati da quattro anni e spesso in condizione di precarietà contrattuale. Pensare che la spesa del personale sia spesa sopprimibile in quanto non produttiva dei risultati sperati da qualche centro studi di parte è un torto a queste persone.
I servizi per il lavoro sono uno dei capitoli fondamentali per l'innovazione e qualificazione della pubblica amministrazione e di importanza strategica in un paese che ha il nostro mercato del lavoro, in cui la crisi sarà ancora lunga. Il pubblico deve svolgere una funzione necessaria di accoglienza e presa in carico dei cittadini in cerca di occupazione, che non può essere delegata.

Verbale iniziativa “I servizi per l’impiego nella crisi economica” Firenze, 26 novembre 2013

Introduce Bartolini (CGIL) sottolineando l’opportunità di riflettere tutti insieme anche alla luce dell’istituzione del gruppo di missione presso il Ministero del Lavoro che si dovrà occupare della riforma.

Quiriconi (CGIL): è necessario fare il punto della situazione alla luce di un dibattito politico in cui manca un’idea strategica e coerente di riforma. Si ribadisce l’importanza del servizio pubblico per l’impiego che deve gestire le funzioni core. Alcune criticità che caratterizzano i CPI devono essere affrontate ad esempio anche destinando maggiori risorse (come sappiamo l’Italia spende meno di altri paesi europei). Per rispondere alla domanda che arriverà a SPI a seguito dell’azione Garanzia Giovani (ci si attende 50/60 mila giovani toscani) è necessario un intervento di potenziamento.
Tutto questo è messo in discussione dalla riforma delle Province, chi ne assolverà le funzioni?
La CGIL dovrebbe fare una vertenza generale per rispondere ai fallimenti della legge che regola il funzionamento del mercato del lavoro.
Bisogna anche contrastare la logiche delle gare al massimo ribasso che ha lasciato a casa i lavoratori dei CPI della Provincia di Massa – Carrara.
Chiediamo alla Regione di svolgere un ruolo più attivo in questa fase di transizione ed al Governo un ruolo di sostegno ai CPI.

Giomi (FP CGIL): sottolinea l’inadeguatezza dei CPI non rispetto all’incapacità bensì alla scarsità di investimenti strutturali che incidono anche negativamente sulle politiche del personale (60% degli operatori sono precari in Toscana).
16 persone a Massa – Carrara hanno perso il lavoro a seguito dell’appalto dei SPI, un appalto che ha privilegiato il ribasso economico. Lo stesso rischio corrono i lavoratori e le lavoratrici del Circondario Empolese Valdelsa a cui sta scadendo il contratto.

Carradori (precaria CPI Provincia di Pistoia): evidenzia la presenza a Pistoia di precari con contratto a tempo determinato da circa 10 anni (42 precari tra Lavoro, Formazione e Istruzione), il cui il contratto scadrà nel 2015.
La cosa più drammatica è che, nonostante alcune persone avessero i requisiti (definiti dal decreto 101) per poter essere stabilizzate a domanda non è stato possibile intraprendere alcuna iniziativa stante il blocco delle assunzioni imposto alle Province. Tale blocco è da ritenersi iniquo ed anticostituzionale poiché pone differenziazioni fondamentali a fronte del possesso degli stessi requisiti. Si chiede alla Regione di farsi portatrice nelle sedi appropriate delle richieste sulla costituzionalità dell’articolo e che i diritti maturati dai rapporti di lavoro con la Provincia non vadano persi, qualora si arrivasse alla formalizzazione del passaggio alla Regione.
Un ultima riflessione riguarda le Province in cui si stanno facendo gare di appalto, vinte giocando sulla professionalità di lavoratori come ad esempio Massa – Carrara. E’ necessario che la Regione stabilisca delle regole di base riguardo alle garanzia minime anche retributive, che devono essere riconosciute ai lavoratori ed alle lavoratrici.

Cotta (CPI Provincia di Livorno): è in atto da alcuni anni un attacco forte ed una campagna denigratoria nei confronti dei dipendenti della pubblica amministrazione e questo è evidente anche nel dibattito sulle Province e sul futuro dei dipendenti (anche precari). La campagna di denigrazione rappresenta un attacco nei confronto dei servizi pubblici da parte di operatori privati che vorrebbero gestire le risorse del FSE. I bassi livelli di intermediazione tra D/O che spesso vengono citati negli articoli dei quotidiani quale motivo principale di attacco ai servizi pubblici (ad esempio articolo di Rizzo sul Corriere della Sera), sono frutto di una serie di fenomeni non da ultimo la presenza del sommerso (stimata al 21% del PIL) e la sottovalutazione delle molte attività e PAL che i CPI erogano.
La contrazione delle risorse a cui si è assistito in questi anni ha messo in discussione anche l’attività di stabilizzazione e di garanzia per i lavoratori impegnati nei CPI della Provincia di Livorno. Se nel 2008 sono stati stabilizzati alcuni lavoratori e lavoratrici, dal 2010 la tendenza si è invertita ed è stato necessario fare a meno dei consulenti psicologi (che si sono trasformati in facilitatori) e ridurre gli orari di lavoro a 26 ore settimanali (dalle 36 ore precedenti).
Si chiede alla Regione di svolgere un ruolo più attivo in particolare si sottolinea la necessita di uniformare i servizi, altrimenti si potrebbe andare incontro a situazioni come quella di Massa – Carrara.

Bonafede (precaria CPI del CEV): denuncia la situazione di preoccupazione dei precari alla scadenza del contratto (31 dicembre 2013) ed il “rimpallo” tra l’Unione dei Comuni e la Provincia che non vogliono farsi carico di tale situazione che rischia di vedere i SPI chiusi dal 2 gennaio 2014. Si chiede alla Regione un’attività di mediazione nella soluzione del problema.

Simona (FIL di Prato): è necessario riflettere su tre punti:
  1. è in atto un attacco ai SPI pubblici, una campagna di denigrazione che offende i lavoratori
  2. vi è una profonda incertezza sui CPI e sul futuro dei lavoratori
  3. è in atto un attacco nei confronti delle società in house senza distinzioni, senza riflettere sulle diverse realtà.
A tale proposito si chiedono tutele per i lavoratori delle società in house e rispetto delle specificità territoriali. Al sindacato viene richiesto di dettare le regole del gioco e non di arrivare quando i giochi sono già stati fatti.

Trinchera (precario CPI Provincia di Firenze): partendo dall’articolo di Rizzo, sottolinea la campagna denigratoria in atto nei confronti dei SPI pubblici (il privato comunque non presenta situazioni di eccellenza), delle Province e dei lavoratori, ponendo l’accento comunque sull’importanza di servizi per il lavoro gratuiti ed accessibili a tutti.
La politica ed il sindacato ad oggi non hanno messo in atto azioni serie per contrastare questo attacco e per rilanciare l’importanza di servizi per il lavoro e della formazioni pubblici. A tale proposito è importante fare un’analisi critica ma anche di promozione perché a volte la cittadinanza non conosce pienamente i servizi erogati dalle Province.
Ricorda la costituzione di un coordinamento regionale dei precari nel corso del 2013 e l’avvio di un coordinamento nazionale. Questo a seguito della sensazione di solitudine ed abbandono percepita dai precari in questa lotta che, viene sottolineato, non è solo una lotta per la difesa del posto di lavoro e per la stabilizzazione, ma è anche la lotta per la difesa dei servizi pubblici per il lavoro.

Maurizio (referente Agenzia per il lavoro): si comunica che è stato costituito un tavolo tecnico delle agenzie che condividono il modello toscano di servizio pubblico per l’impiego e l’importanza di non disperdere l’esperienza degli operatori.

Del Vecchio (NIDIL CGIL Massa – Carrara): denuncia la vicenda di Massa – Carrara che sta appaltando il core dei SPI, e pertanto non è rafforzando ma indebolendo il ruolo pubblico. Nel contempo sta buttando via un patrimonio di professionalità ed esperienze maturate in questi anni dagli operatori/consulenti a partita IVA che per più di dieci anni hanno lavorato per la Provincia contribuendo a costruire i servizi per l’impiego.
La responsabilità è della politica che ha permesso tutto questo ma anche del mancato ruolo di coordinamento e di controllo da parte della Regione.
Questo sta accadendo a seguito di una gara d’appalto che ha privilegiato il ribasso: l’aggiudicataria ha infatti vinto grazie ad un ribasso di 50 mila euro acquisendo punti sull’offerta tecnica dell’avversaria che presentava un punteggio superiore di più di 10 punti, questo grazie alla presenza dei CV di tutti i lavoratori che in questi anni hanno svolto la propria attività presso il CPI di Massa. Persone che hanno scelto la società in base alle migliori garanzie offerte in termini di diritti e di retribuzioni, messe nero su bianco in un precontratto.
Ciò deve fare riflettere su questo tipo di operazioni che ledono non solo la dignità dei lavoratori ma anche la qualità dei servizi.

Simoncini (Assessore Regionale Lavoro della Toscana): si sottolinea la confusione istituzionale, creata dal riordino Monti delle Province, azzerato dalla sentenza della Corte Costituzionale. Forse entro dicembre arriverà la decisione sull’esistenza o meno delle Province e sulle competenze.
Ieri il Parlamento ha approvato la ripartizione del budget per i fondi strutturali 2014 – 2020 che sarà pubblicato entro il 31 dicembre, per questo il 2014 sarà un anno vuoto dal punto di vista dei fondi strutturali. A tale proposito la Regione sta mettendo in campo 85 milioni di euro come anticipazione per i fondi strutturali, al fine di garantire una continuità delle attività e dei contratti.
Quale futuro per i CPI? Il sistema attuale non regge e non per quello che scrivono i giornali. Senza dubbio ci deve essere un’integrazione tra pubblico e privato, in cui sia garantito un ruolo centrale di governo e di controllo pubblico.
Non regge un sistema in cui metà dei lavoratori non hanno certezze, in cui non è garantita la continuità nel tempo, i servizi pubblici per funzionare devono avere prima di tutto una pianta organica stabile.
Inoltre non può funzionare un sistema in cui esistono 110 realtà e modi di organizzare i CPI, come accade in Italia (10 soltanto in Toscana).
Anche nelle realtà in cui si intermedia di più non vengono raggiunte le medie di altri paesi semplicemente perché nel nostro paese si spende molto meno.
Il tema dell’organizzazione dei servizi al lavoro non è rinviabile. La Giunta Regionale nel DPEF 2014 ha stabilito cosa ha intenzione di fare qualora si vada al superamento delle Province. L’idea è quella di un’Agenzia Regionale per il lavoro che dovrebbe essere parte di un sistema nazionale (agenzia nazionale). A tale proposito è necessario stabilire, a livello nazionale, i livelli minimi di prestazioni a cui si devono associare le minime piante organiche garantite.
L’Agenzia Nazionale deve svolgere funzioni di supporto e di sostituzione nei confronti delle regioni che non riescono a svolgere bene le loro attività.
Nell’agenzia regionale per il lavoro confluiranno i dipendenti delle Province e degli appalti in essere nella fase transitoria. Obiettivo del 2015 è pertanto quello di far partire l’Agenzia regionale con i CPI concepiti come strutture operative anche in grado di rilevare i fabbisogni formativi. Per fare tutto questo ed essere in grado di attivare la Garanzia Giovani, è necessario avere risorse aggiuntive anche in termini di personale.
Ovviamente non realistica l’attuazione del disegno di legge Del Rio laddove ipotizza un ruolo dei Comuni. Il superamento delle Province ed il passaggio di competenze necessita un incremento di risorse a disposizione.
Si prende atto delle segnalazioni fatte in particolare da parte dei lavoratori e delle lavoratrici di Empoli, a tal proposito si comunica che, a seguito dell’assegnazione delle risorse all’Unione dei Comuni, la situazione è risolta. Verrà comunque fatta una verifica con il Presidente.

Serena Sorrentino (segreteria nazionale Cgil) Ha fatto un'analisi puntuale del servizi al lavoro, ha chiarito come tagliare la spesa pubblica abbia due ricadute immediate: taglio dell'organico e spostamento della possibilità di avere quel servizio sul mercato.
Lei ritiene che i servizi per il lavoro siano i più innovativi tra i servizi pubblici.
Secondo analisi economiche si prevede che il 2014 sarà peggiore del 2013, e avremo una perdita ancora maggiore di posti di lavoro. Investire sul servizio pubblico è il primo fattore anticiclico, cioè permette di iniziare ad invertire le crisi.
Le politiche di incentivi alle assunzioni non hanno prodotto niente, la disoccupazione sarà ridotta solo da un aumento della domanda di lavoro. Il problema di oggi è la costruzione di politiche che invertono la tendenza in atto e c’è un disorientamento generale a questo proposito, si parla di tagli senza pensare a come poi saranno organizzate le funzioni. I servizi per il lavoro sono politiche articolate, per questo si parla di governance: vanno dalla presa in carico, all’orientamento, alle politiche formative ecc, una gamma di servizi che presuppone il possesso di tutta una serie di competenze.
La CGIL intende inoltre parlare di livelli essenziali, non di livelli minimi. Rispetto ad un’Agenzia nazionale la CGIL chiederà degli standard sui livelli di accreditamento, sulla garanzia di finanziamento (non soltanto dalla programmazione FSE), su i livelli essenziali.
A livello ministeriale si hanno idea poco chiare su come “gestire” i servizi soprattutto in previsione della “Garanzie per i Giovani”, che l'Europa ha vincolato al servizio pubblico, per ora sono previste due azioni da proporre i Tirocini e la Carta del Lavoratore, cioè una specie di Libretto Formativo, non è possibile estendere a tutta Italia la sperimentazione del Libretto (che stiamo facendo anche in Toscana) perchè i sistemi operativi sono completamente diversi, visto che in Italia ci sono 110 modelli di servizi al lavoro e solo in Toscana sono 10.
L’UE dà indicazioni sul fatto che chi sperimenta la “Garanzia per i Giovani” ha l’obbligo di potenziare i servizi per il lavoro e l’idea del Governo è che su tale programma si va a misurare la riorganizzazione dei servizi per il lavoro, ma si tratta piuttosto di un segmento minimale che fa riferimento a risorse straordinarie che non potranno essere continuative nel tempo.
È necessario ampliare l’offerta dei servizi pubblici per il lavoro, aumentare la qualità del pubblico farà aumentare anche la qualità del privato concorrente. Ed è necessario convincere le imprese: i servizi per il lavoro sono servizi qualificati, innovativi e sono rivolti a lavoratori ed imprese.

Coordinamento Precari in Provincia

Centri per l’impiego, Simoncini: “Garantire continuità al servizio e costruire l’Agenzia regionale”

"Questi servizi sono fondamentali per fronteggiare la crisi, da luglio 2009 si sono presentati agli sportelli circa 80 mila lavoratori ai quali sono state erogate 550 mila azioni di politica attiva"


Un'agenzia regionale dei servizi per il lavoro, dalla quale dipenderanno i centri per l'impiego oggi gestiti dalle Province. E' questa l'ipotesi di riorganizzazione sulla quale sta lavorando la Regione Toscana, alla luce delle incertezze, che permangono, sul futuro delle Province e dei problemi, più immediati, legati alla mancanza di fondi. Lo ha spiegato oggi l'assessore al lavoro Gianfranco Simoncini intervenuto all'Istituto Stensen, a Firenze, al convegno organizzato da Cgil Toscana sul tema "I servizi per l'impiego nella crisi economica". "I servizi per l'impiego – ha detto l'assessore - si sono rivelati in questi anni uno strumento importante per fronteggiare la crisi economica in atto. Basti pensare che da luglio 2009 si sono presentati agli sportelli circa 80 mila lavoratori ai quali sono state erogate 550 mila azioni di politica attiva. E' un servizio che non possiamo permetterci di interrompere, anche perchè fra breve dovranno fare i conti con l'attuazione dell'Aspi, introdotto dalla legge 92 del 2012 e dalla prossima attivazione della Garanzia giovani. Per questo la Regione, per garantire, anche in questa fase di incertezza, la prosecuzione dell'attività dei centri, ha anticipato 7 milioni di euro di risorse e previsto nella proposta di bilancio 2014 ulteriori risorse. Grazie a queste sarà possibile, da gennaio 2014, sopperire ai ritardi con i quali giungeranno i fondi del Fse che in parte contribuiscono a finanziarli". Se il problema di una definizione dell'assetto istituzionale dopo il superamento delle Province dovrà necessariamente essere affrontato anche a livello nazionale, la creazione di un'Agenzia regionale che ne raccolga le competenze potrebbe anticipare i tempi e costituire poi un'articolazione regionale di un futuro sistema nazionale del lavoro. Questa proposta è stata inserita nella bozza di DPEF 2014 inviato insieme al Bilancio al Consiglio regionale. "All'agenzia regionale potrebbero essere affidati i compiti per quanto riguarda il collocamento e le politiche attive del lavoro, a suo tempo conferiti alle Province. I centri per l'impiego dovrebbero trasformarsi in strutture periferiche dell'agenzia, con compiti di accoglienza ed erogazione dei servizi, in rapporto con il territorio e con i privati. L'agenzia nazionale dovrebbe avere funzioni di coordinamento e monitoraggio". "Il confronto col Governo nazionale - ha concluso - dovrebbe permettere di fare un salto di qualità significativo al sistema, con la dotazione di risorse adeguate alle medie europee, superando la pesante sottostima della realtà italiana, e garantendo al tempo stesso la definizione di standard uniformi di servizi e di personale a livello nazionale.
Fonte: Regione Toscana

I lavori (a caro prezzo) trovati dallo Stato

Nei centri per l’impiego quasi 10mila dipendenti per una spesa di 464 milioni. Ogni anno gli occupati sono appena 35mila

Sul corriere della sera del 23 novembre (vedi link sopra) è riportato l'ennesimo articolo giornalistico che parla negativamente dei centri per l'impiego, citando, più di altri articoli, cifre e dati per avallare il giudizio negativo su questi servizi. Dati usati strumentalmente per propagandare e dimostrare una posizione preconcetta e capziosa del servizio pubblico in generale, piuttosto che strumenti utili alla descrizione e comprensione di un fenomeno.
Secondo il giornalista, Sergio Rizzo autore dell'articolo:

1 -I dipendenti che lavorano in questi servizi sono all'inizio del testo 9865 e successivamente 8781 per i quali il “Tesoro” spenderebbe tre quarti di 464 milioni di euro il che significa 35 mila euro a dipendete l'anno, cifra ben superiore di almeno 15 mila euro allo stipendio medio di un dipendente che lavora nei servizi per il lavoro.

2 – I dati sulla percentuale del PIL spesi dall'Italia, confrontati con i dati di spesa di altri paesi europei, non aiutano a far chiarezza sull'adeguatezza o meno delle cifre investite. Se i risultati sono legati agli investimenti profusi, allora si comprende perché i servizi per l'impiego italiani siano in difficoltà, visto che investiamo una percentuale del nostro PIL fino ad un decimo o un ottavo meno di ciò che investono altri paesi con un PIL più alto. Oppure, se non c'è relazione tra soldi investiti e risultati non si vede perchè il signor Sergio Rizzo si scandalizzi di quanto il tesoro spenda per tenere in piedi questi servizi.

3 – Il servizio di incrocio domanda-offerta, sul quale esclusivamente si concentra l'articolo, è solo uno dei molteplici servizi offerti a chi cerca lavoro e alle aziende. Vengono sottaciuti, come se rappresentassero una funzione marginale dei compiti dei centri per l'impiego, tutti i servizi per il potenziamento dell'occupabilità dei lavoratori, l'intera gestione amministrativa di tutte le crisi aziendali dalle casse integrazione, le mobilità e i licenziamenti, oltre al collocamento mirato dei disabili, le attività rivolte agli stranieri, la prevenzione del drop out e la gestione dell’obbligo formativo, le azioni di orientamento scolastico e lavorativo, le attività informative e di sostegno alla formazione, di consulenza alle aziende sui bandi di finanziamento e sulle agevolazioni per le assunzioni. In particolare negli ultimi anni le Regioni hanno potuto gestire tramite i CPI e a costo zero le attività informative e l’erogazione delle politiche attive del lavoro nei confronti di decine di migliaia di lavoratori percettori di Ammortizzatori Sociali in Deroga. Se poi, come in alcune province è stato fatto, si incrociassero i dati di chi, beneficiando di un servizio specialistico o di una proposta di riqualificazione professionale del CPI, abbia successivamente trovato lavoro, si noterà che le percentuali relative all’occupazione mediante tali servizi aumenterebbero notevolmente già da ora. Se poi si vogliono citare altri dati: secondo Eurostat i disoccupati per addetto in Germania sarebbero 48, in Gran Bretagna 24, in Italia ben 150!
Si riportano dati sulla capacità di collocamento delle agenzia di somministrazione. Anche in questo caso vengono riportati dati imprecisi, le agenzie per il lavoro incrociano la stessa percentuale del servizio pubblico, cioè il 3%. Ciò rinnova l'impressione che l'articolo sia scritto a pro di qualcuno e a scapito di altri.

4 – L'articolo si avvale della testimonianza e dei dati forniti dal presidente della Confartigianato. Una fonte quanto meno poco oggettiva. La Confartigianato, insieme ad altre associazioni datoriali e dei lavoratori, rappresenta quel privato che l'autore dell'articolo sembra invocare implicitamente quale soggetto capace di aver successo la dove il pubblico sembra, a sua detta, aver fallito. La Confartigianato, insieme agli altri sopra citati, è già a pieno titolo un cogestore dei servizi forniti dai centri per l'impiego. Se una colpa è da attribuire al pubblico è lo scarso controllo sulla qualità dei servizi dati in appalto ai privati. Un ridimensionamento del servizio pubblico è funzionale agli appetiti di molte agenzie che mirano a gestire fette sempre più ampie di questi servizi.

5 – Nell'articolo viene messo in risalto la scarsa fiducia che le aziende hanno nell'avvalersi dei sevizi pubblici per la ricerca di personale, mettendo altresì in evidenza, come il passa parola o la presentazione siano il canale maggiormente utilizzato per trovare personale. Di nuovo, si ripresentano, come in tutto l'articolo, contraddizioni e paralogismi. Attribuire ai servizi pubblici per il lavoro con scarse risorse e mezzi il compito di governare il mercato del lavoro modificando prassi, atteggiamenti e una cultura che si affida quasi totalmente alla relazione personale per cercare un impiego, significa misconoscere quale sia stata la politica che per decenni si è perpetrata nei confronti di questi servizi.
Da decenni è stata tolta ai servizi pubblici per il lavoro, attraverso una metodica destrutturazione e un impoverimento anche materiale, la capacità e la funzione di governare e regolamentare il mercato del lavoro. Funzioni che sono state distribuite ad una molteplicità di enti che con il lavoro hanno poco a che fare. Mancando, così, una regia unica e pubblica su scala nazionale risulta impossibile regolamentare e tutelare il lavoro e il lavoratore.
Nell'articolo viene citata l'opinione del presidente della Confartigianato, Giorgio Merletti, che vorrebbe che il governo destinasse i soldi provenienti dall'Europa per la “Garanzia per i Giovani” alle aziende che offrono tirocini a questi giovani. Francamente, avremmo preferito che parlasse delle stabilizzazioni dopo i tirocini da parte di quelle aziende che invece si avvalgono di contratti sempre più precarizzanti.

Precarizzazione che, purtroppo, si riscontra anche in questi servizi visto che circa il 40% dei lavoratori dei centri per l'impiego è precario e non può essere assunto a tempo indeterminato, pur avendo superato concorsi pubblici, a causa del blocco totale del turn over ribadito anche nella DL 101/2013 dal quale i precari dei CPI sono esclusi. Ciò denota una volta di più la scarsa importanza , in questi ultimi anni, è stata attribuita a dei servizi che in realtà sarebbero stati da potenziare per supportate i lavoratori in questo momento di crisi.

Coordinamento Precari in Provincia

Precari delle Province Italiane

Stiamo ricevendo sempre più contatti dai precari delle province Italiane in risposta alla nostra email per fondare un coordinamento nazionale. 
Di seguito riportiamo alcune loro parole...


Cari colleghi,
vi ringraziamo molto per la vostra iniziativa che condividiamo e sosteniamo.
In allegato trovate l'elenco dei precari delle quattro Province del Friuli Venezia Giulia.Rimaniamo in attesa di vostri aggiornamenti.A presto!

L'iniziativa posta in campo ci sembra particolarmente utile ed innovativa: non era mai successo prima che un gruppo di precari decidesse di mettersi insieme per cercare di tutelare i diritti e le professionalità di tutti noi lavoratori.Vi siamo molto grati per questo e ci sentiamo di aderire con grande serietà ed entusiasmo.Attendiamo eventuali sviluppi e garantiamo, sin d'ora, il nostro appoggio ad ogni iniziativa in merito. I Precari del Cpi di Lanciano.

Si allega prospetto riassuntivo contratti in scadenza Prov di Ortona. 
in attesa di vostre, saluti e buon lavoro

Buongiorno
come da vostra richiesta, vi inviamo la situazione dei contratti precari relativi al CPI di RiminiCome riportato in tabella, i contratti a TD sono otto. Collaborano con il CPI di Rimini anche altri precari con contratti stipulati con agenzie ed enti di formazione. Se avete bisogno anche di questo dato, potete inviarmi una mail.
Grazie

Ciao siamo lavoratori precari dei servizi per l'impiego della Provincia di Crotone.
noi stiamo cercando contati con politici e sindacalisti regionali ed aspettiamo che il quadro delle Province sia definitivamente sgombrato da dubbi su chiusura, svuotamento etc.
Siamo disponibili per qualsivoglia iniziativa di tutela del nostro lavoro e che ci permetta di creare un coordinamento nazionale per porre il problema al livello nazionale e risolverlo una volta per tutte. Siamo disponibili a muoverci per qualsivoglia iniziativa che ci unisca al livello nazionale. Cari saluti

Buongiorno a tutti, sono una dei precari dell'Ente Provincia di Perugia, area Lavoro e Formazione; più specificatamente lavoro presso il Centro per l'Impiego di Gubbio da ben 13 anni e sempre con contratti precari.
Non solo, ma in questa sede porto avanti da sola e da sempre i servizi specialistici.
So che alcuni miei colleghi vi hanno già contattato; noi della Provincia di Perugia abbiamo costituito da circa due anni un nucleo dei precari e in tutto siamo una cinquantina.
Sono ormai troppi anni che le amministrazioni provinciali usano e abusano della nostra professionalità e disponibilità; addirittura noi abbiamo sostenuto ben 2 concorsi, l'ultimo nel 2011 ma ancora non è cambiato nulla.
Siamo stanchi, ma è proprio da questo stato d'animo che dobbiamo ripartire, anche perchè se esiste una certezza è il fatto che nessun governo nè singolo politico o sindacato ci ha mai aiutato nel risolvere la ns. questione.
Da parte mia propongo quindi di incontrarci per creare innanzitutto un gruppo nazionale (l'unità fa la forza) e programmare giornate di mobilitazione dallo sciopero a manifestazioni pubbliche.  In pratica siamo arrivati alla frutta: o ci aiutiamo tra noi o salta per tutti la possibilità di una stabilizzazione!!!!! 
Confidando in un vostro gentile riscontro, porgo cordiali saluti.
Ciao

La vostra email ci é arrivata!
Organizziamoci quanto prima per attivare un coordinamento nazionale. Occorre organizzare qualcosa nell'ambito della discussione sulla legge di stabilitá.
Precari di Perugia


Buongiorno,
rispondiamo in quanto lavoratori precari dipendenti da Afol Monza Brianza, l’azienda speciale della Provincia di Monza che per conto dell’ente gestisce i servizi al lavoro e i servizi alla formazione del territorio provinciale. Tali servizi vengono erogati da più sedi ubicate sul territorio che corrispondono ai Centri per l’Impiego di Cesano Maderno, Monza, Seregno e Vimercate e ai Centri di Formazione professionale S. Pertini di Seregno, G. Terragni di Meda (dove è ubicata anche la sede amministrativa dell’agenzia) e G.Marconi di Concorezzo quindi i dati in tabella riporteranno i totali di queste sedi aggiornati al 30/09/2013.
Troviamo interessante la vostra iniziativa.
Teniamoci in contatto

Ciao 
come Provincia di Forlì-Cesena non abbiamo più precari né nel Servizio Formazione Lavoro, né nel resto dell'Ente.
Relativamente alle Politiche del Lavoro abbiamo fatto due concorsi negli scorsi anni per un totale di 20 assunzioni di ruolo.
Il personale non di ruolo è inerente solo un appalto per la mediazione culturale (i mediatori sono comunque soci della cooperativa che ha vinto) e la consulenza orientativa specialistica (sono liberi professionisti che fanno qualche giornata a settimana presso di noi).
Tutto il resto del personale è di ruolo.

Buongiorno,
sono una precaria della provincia di Genova.
Noi tutti qui siamo del settore Formazione e Lavoro, anche se non siamo nel centro per l'impiego. Qui il centro per l'impiego in parte è gestito in appalto da un Consorzio. Chi fa le iscrizioni è invece a tempo indeterminato.
Noi ci occupiamo di gestione, controllo, rendicontazione. Facciamo i controlli di primo livello sulle certificazioni di spesa degli enti di formazione e delle aziende. Siamo sul fondo sociale europeo.
Vi prego di considerarci nell'opera di avvicinamento di cui parlate ed anche per l'incontro. Grazie!
Anche La Spezia ha molti precari nel nostro settore. Siete in contatto con loro? Ci stiamo muovendo insieme ai precari di Imperia.


Buongiorno, siamo i precari della Provincia di Imperia, vorremmo metterci in contatto con voi ed unirci alla vostra iniziativa. Abbiamo già tutti parlato con i sindacati, con i nostri Presidenti/Commissari e con l’Assessore Regionale, richiederemo un ulteriore incontro alla Regione nei primi di Novembre.Giovedì in consiglio regionale passerà una mozione dedicata alla nostra problematica, abbiamo visto che avete postato l’articolo sul vostro blog.

Lettera ai sindacati

Alle Segreterie Generali di CGIL, CISL, UIL, Funzione Pubblica
Nazionali, Regionali, Provinciali
Firenze, 20/11/2012

Vi contattiamo come coordinamento precari servizi al lavoro/formazione della Provincia di Firenze che a sua volta fa parte di un coordinamento precari, dello stesso settore a livello regionale e ultimamente si sta allargando anche a livello nazionale.
Molti di noi vivono una situazione di precarietà da molti anni presso i servizi provinciali di Firenze attualmente come dipendenti a tempo determinato (previo concorso pubblico) con scadenza contrattuale 31 dicembre 2014 e in precedenza come dipendenti di partecipate pubbliche o di cooperative tramite servizi in appalto. La situazione delle altre provincie toscane vede una situazione alquanto variegata e forse ancora più precaria vista la più alta percentuale di lavoratori per gli stessi servizi come dipendenti di partecipate pubbliche o di cooperative tramite servizi in appalto a cui si aggiungono lavoratori con partita iva che sono perlopiù in regime di monocommittenza. Precisiamo che il numero dei precari è di circa la metà del totale dei lavoratori in questi servizi per cui è chiaro che senza di essi il servizio che già sta soffrendo visto l'alto afflusso di disoccupati, cassaintegrati, invalidi civili , giovani, immigrati ecc. a fronte di una riduzione numerica di impiegati di settore negli ultimi anni, verrebbe meno.
In questa situazione critica e preoccupante sia per le nostri sorti future come lavoratori che hanno una lunga esperienza e professionalità alle spalle ma anche per le sorti di servizi che riteniamo essenziali per la cittadinanza, vogliamo fare un appello ai sindacati affinché portino avanti istanze di salvaguardia di servizi e lavoratori (es. in primis con il rinnovo dei contratti in scadenza) sia a livello istituzionale (comune, province, regioni, governo) sia attraverso i mass media divulgando la realtà dei servizi che svolgono le Provincie, e in particolare quelli per il lavoro/formazione.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una campagna di informazione distorta sulle provincie che in base ad una ipotetica loro inutilità e quindi allo spreco di denaro pubblico vengono individuati come la soluzione da cui partire per il risanamento delle casse pubbliche e la semplificazione istituzionale. Viene tralasciato sempre il fatto che le province erogano dei servizi che alla loro scomparsa non si capisce (o si fa finta di non capire) chi li dovrà erogare ma più semplicemente viene da pensare che scompariranno del tutto o verranno esternalizzati con le privatizzazioni.
E' ancora tutta da dimostrare la maggiore efficienza della privatizzazione dei servizi - anzi, ad oggi le rilevazioni dimostrano il contrario anche per ciò che riguarda i presunti “risparmi” che in realtà diventano maggiori spese - e prendendo esempio dall'ambito di osservazione locale gli interventi tramite progetti progetti finanziati con FSE che hanno coinvolto le agenzie interinali si sono rilevati tutt'altro che efficaci ed efficenti in termini di ricaduta occupazionale (progetto APL Agenzie per il lavoro) in rapporto spesa/occupati . Non stiamo affermando una volontà a priori di contrapposizione al privato nei servizi al lavoro/formazione, anche perché ne sarebbe impossibile la gestione di tutti i servizi correlati in seno all'ente pubblico, rivendichiamo piuttosto una gestione pubblica di tali servizi improntata su criteri di equità, trasparenza, tutela della privacy, rivolta ad aziende e cittadini in modo gratuito, per fornire a tutti/e l'opportunità di trovare un lavoro, non solo a quelli più “spendibili” nell'immediato in funzione di un mero ritorno economico. Pensiamo ad esempio alle difficoltà e disparità nella gestione del collocamento dei disabili se si adottasse esclusivamente il criterio della collocazione dei soggetti più forti e più “sani”.
La nostra non vuol essere una difesa a spada tratta del “Pubblico” in quanto tale anche perché
vorremmo che l'ente pubblico fosse maggiormente efficace ed efficiente, ed in una logica di spending review di cui si sente tanto parlare ci piacerebbe che fossero individuati i reali sprechi, le contraddizioni, i sistemi di potere consolidati e clientelari e non colpire indiscriminatamente i servizi e i lavoratori che li mantengono in piedi spesso in situazione “precaria”.
Ci piacerebbe per esempio:
  • Che si interrompessero quelle logiche di distribuzione clientelare di affidamento di servizi che si nascondono spesso dietro le “privatizzazioni”.
  • Che si denunciassero i reali sprechi di spesa delle P.A. attraverso maggiori controlli (es. le consulenze, ma anche certe scriteriate spese di gestione facendo valere il principio di responsabilità su certi errori commessi da dirigenti o chi per loro, visto anche i loro lauti compensi spesso sproporzionati rispetto ai livelli più “bassi”).
  • Verificare il numero dei dirigenti in ciascuna amministrazione attraverso un equo rapporto tra dirigenti/ impiegati del settore sotto la loro dipendenza. (Il confronto con i paesi europei vede in Italia un numero molto alto di dirigenti rispetto ai “propri” impiegati di area).
  • Che si venisse a conoscenza della reale situazione dei lavoratori dei servizi al lavoro/formazione in termini numerici e di un confronto con i dati degli altri paesi europei, tanto per smontare il luogo comune che vede gli enti pubblici pieni zeppi di lavoratori in eccesso rispetto alla funzione svolta, e magari cogliere l'occasione di verificare dove e in quali settori questo avviene per una redistribuzione occupazionale realmente correlata ai bisogni effettivi di servizi per la cittadinanza.
Ci chiediamo perché queste informazioni non riescono ad emergere nell'opinione e nel dibattito pubblico ma nel migliore dei casi rimangono all'interno di qualche assemblea sindacale (ma non sempre e parzialmente per tutti i punti della questione) , di qualche incontro interno a livello sindacale a cui poi con fatica seguono azioni concrete per la sensibilizzazione del problema e la difesa concreta delle sorti dei lavoratori e dei servizi che svolgono, e di qualche dibattito che vede la partecipazione di politici ma che fatica ad entrare nel circuito che conta a livello nazionale.
Chiediamo insomma di essere maggiormente rappresentati e supportati dai sindacati in questa azione di sensibilizzazione e di tutela e dei servizi alla cittadinanza e dei lavoratori,
nelle iniziative che più volte abbiamo proposto e che spesso ci hanno visto soli in una posizione sicuramente di debolezza e maggiormente “esposta” proprio per la nostra situazione di precariato.
Non a caso ci siamo organizzati in un coordinamento regionale di precari dei servizi al lavoro/formazione che si sta allargando sempre più coinvolgendo anche i precari di tali servizi di tutti Italia, abbiamo preso diversi contatti con le varie rappresentanze politiche sia a livello locale che regionale, abbiamo creato un blog (www.precariprovincia.blogspot.it).
Ci auguriamo pertanto che si continuino con forza a portare avanti le azioni a livello istituzionale governativo sui processi di stabilizzazione dei lavoratori precari negli enti pubblici, blocco delle assunzioni, proroghe, concorsi ecc., ed ad avere un ruolo attivo sui processi di riorganizzazione dei servizi al lavoro/formazione improntati a criteri di equità e trasparenza e con maggiori garanzie e meno disparità per chi ci lavora a vario titolo.

Distinti Saluti

Coordinamento Precari
Servizi al Lavoro e Formazione delle Province Toscane


Proroga dei contratti e procedure di stabilizzazione dei lavoratori precari delle Province italiane.

Al Presidente dell’ UPI Dott. Antonio Saitta
Ai parlamentari e ai rappresentanti ad ogni livello delle forze politiche
Alle OO.SS CGIL-CISL-UIL

Il decreto-legge n. 101/2013 convertito, con modificazioni, in legge n. 125/2013, prevede per le Province – grazie alle iniziative di pressione di CGIL CISL UIL e della RSU che hanno ottenuto uno specifico emendamento - la possibilità di prorogare fino al 31 dicembre 2014 i contratti di lavoro a tempo determinato per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi e nel rispetto dei vincoli finanziari, del patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa complessiva di personale; inoltre, per rimediare alla sostanziale ed evidente iniquità operata nei confronti dei precari provinciali, prevede che il personale non dirigenziale delle Province, in possesso dei requisiti, possa partecipare ad una procedura selettiva di stabilizzazione indetta da un’amministrazione avente sede nel territorio provinciale.

Il divieto di assumere a tempo indeterminato imposto alle Province e già previsto nella spending review del 2012, viene confermato all’art. 4, comma 9, della medesima legge 125/2013.

Per quanto riguarda le procedure di stabilizzazione, sebbene il quadro normativo relativo al processo di riordino delle Province non sia ancora chiaro e definito è invece già di tutta evidenza che i precari delle Province saranno, per ora, i primi a subirne le conseguenze, restando privi, dopo anni di servizio e professionalità acquisita, della possibilità di essere stabilizzati.

Inoltre, ci viene detto che alcune Province rischiano lo sfondamento del patto di stabilità interno.

Vi chiediamo quindi con la presente di mettere in atto ogni possibile azione affinché nell’ambito della legge di Stabilità o nel ddl Del Rio venga consentita una deroga al patto di stabilità interno e ai vincoli sulla spesa per il personale al fine di permettere comunque le proroghe dei contratti in scadenza, e una deroga al divieto di assunzioni affinché venga data la possibilità anche ai lavoratori precari delle Province italiane di venire stabilizzati.

Chiediamo inoltre ai singoli Enti provinciali, ai loro amministratori e ai loro politici, di esprimere pubblicamente proprio in questo difficile momento una forte volontà politica che si traduca in atti concreti e coraggiosi volti comunque a prorogare i lavoratori precari che rischiano di essere le prime vittime dell’eliminazione o svuotamento delle Province e che ad oggi sono indispensabili a erogare molti servizi ai cittadini.

I lavoratori precari a tempo determinato delle Province italiane

12 novembre 2013