Centri per l'Impiego, in Toscana 101 stabilizzazioni. La Fp Cgil esprime soddisfazione e chiede il rilancio dei servizi

Centri per l’impiego: in Toscana 101 lavoratori che erano precari saranno stabilizzati dalla Regione, come prevede un decreto varato ieri da Arti (Agenzia regionale Toscana impiego). Le prime chiamate partiranno già in questi giorni, entro l’anno si completeranno tutte le stabilizzazioni (54 a Firenze, 7 a Massa, una a Lucca, 39 a Pistoia). “Esprimiamo grande soddisfazione per il Decreto sulla stabilizzazione di 101 lavoratrici e lavoratori precari dei Centri per l'impiego. Era un provvedimento atteso, frutto delle mobilitazioni e della battaglia sindacale delle lavoratrici e dei lavoratori. Finalmente la parola fine agli anni di precarietà, per alcuni di oltre un decennio, in questo servizio fondamentale per il Paese”, dice Alice D’Ercole, segretaria generale Fp Cgil Toscana. “Serve ora dar seguito al piano di ulteriori 80 assunzioni dei Centri per l'impiego definito la scorsa settimana dalla Giunta Regionale e avviare il confronto con i sindacati sull'organizzazione dei servizi - aggiunge D’Ercole - . Ma per rilanciare questi servizi e portare il nostro sistema delle politiche attive agli standard di qualità dei paesi europei, servono risorse da parte del Governo per un serio piano di rafforzamento e per ammodernare la dotazione strumentale”.

Lavoro: Fp Cgil, serve rispetto per operatori centri impiego

C’è una modalità superficiale e irrispettosa di raccontare il lavoro degli operatori dei Centri per l’impiego pubblici che è intollerabile e che respingiamo con forza“. Così il segretario nazionale della Fp Cgil, Federico Bozzanca, in merito ad alcune ricostruzioni, aggiungendo che: “Senza avviare paralleli impietosi con altri paesi, in termini di risorse e di personale impegnato, nel corso di questi anni, specie negli ultimi dieci di crisi nonché di discutibili interventi normativi, i circa seimila lavoratori dei Centri per l’impiego, per non parlare dei tanti precari storici, hanno fatto ben oltre il possibile per garantire un servizio adeguato ai cittadini”.
Serve rispetto. Ed è per queste ragioni – aggiunge il dirigente sindacale – che invitiamo tutti a raccontare la verità dei fatti, ovvero gli effetti di politiche miopi rispetto al lavoro pubblico che in questi anni hanno prodotto danni incalcolabili, nei confronti dei cittadini utenti e delle lavoratrici e dei lavoratori impegnati. Ora che siamo alle porte di un intervento importante, ovvero il varo del reddito di cittadinanza, le cui forme e modalità sono ancora tutte da vedere, si rende necessario – prosegue – un intervento sui Centri per l’impiego, a partire dalla centralità degli operatori e dal bisogno di stabilizzare il personale precario attualmente in servizio. La politica deve, concretamente, dare valore al lavoro pubblico ed evitare che le responsabilità delle inefficienze ricadano sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori”.
Per Bozzanca, “se le intenzioni del governo sono quelle di mettere al centro il sistema dei Centri per l’impiego nell’ambito del reddito di cittadinanza, ancor prima della misura dovrà occuparsi dell’architettura. Servono infatti investimenti e risorse, così come serve procedere con celerità alla stabilizzazione del personale precario. Ma soprattutto bisogna partire dalle lavoratrici e e dai lavoratori perché solo attraverso la loro esperienza diretta sarà possibile ridisegnare il sistema e rispondere così alle esigenze dei territori“, conclude.
FONTE:https://www.fpcgil.it/2018/10/11/lavoro-fp-cgil-serve-rispetto-per-operatori-centri-impiego/

Lavoro, Rsu Cgil: «Bene assunzioni 47 precari. In duemila ai centri per l’impiego»

La nota del sindacato in risposta alle critiche dei giorni scorsi: «Notevole interesse da parte dei disoccupati»

«Le politiche attive dell’Umbria raccolgono l’interesse degli utenti» lo scrive la Rsu Cgil rispondendo alle recenti critiche mosse dalla segretaria della Funzione pubblica della Cgil Renelli.
La nota «Apprendiamo con grande soddisfazione la pubblicazione dell’avviso per la stabilizzazione dei n. 47 precari presenti nei centri per L’impiego. È di questi giorni il Programma di politiche del Lavoro “Umbria attiva” lanciato dalla Regione che ha oggettivamente registrato un notevole interesse tra i disoccupati della nostra Regione in considerazione del fatto che, a pochissimi giorni dall’apertura dell’avviso pubblico, oltre 2000 persone hanno aderito e prenotato i relativi appuntamenti presso i centri per l’impiego territoriali per poter partecipare alle misure previste dall’avviso regionale», è quanto tiportano le Rsu nella nota.
L’interesse «Tale dato – ancora la nota che si propone integrale – dimostra sicuramente un forte interesse verso le iniziative di politica attiva del lavoro finanziate dalla Regione Umbria e tali strumenti rappresentano un valido aiuto agli operatori per poter intervenire nel reinserimento lavorativo dei disoccupati. Il successo di tali misure tra gli utenti ha comunque incrementato il già alto numero di utenti nei vari uffici territoriali dei Centri per l’impiego ora gestiti da ArpalUmbria (nel 2017 sono state circa 75500 le “ordinarie” iscrizioni di disoccupati/inoccupati a cui sono seguiti i relativi servizi tanto per citare un dato) con agende telematiche degli appuntamenti in alcuni casi già piene fino a Natale. A tali numeri si aggiungerà necessariamente anche la platea di utenti coinvolti nelle misure previste dal reddito di cittadinanza, se le previsioni rispetto alla legge di bilancio nazionale saranno rispettate».
Potenziamento Quindi ne chiedono il potenziamento: «Abbiamo posto all’amministrazione di Arpal Umbria, insieme alle Rsu ed alle Organizzazioni sindacali, la necessità di potenziare i centri per l’impiego e di definire idonee modalità organizzative in grado di venire incontro alle aspettative ed alle esigenze dell’utenza con particolare riferimento ai capoluoghi di Perugia e di Terni che sono quelli maggiormente interessati ad una notevole affluenza di utenti. È stata riscontrata la positiva volontà di Arpal rispetto a tali problematiche anche con la imminente pubblicazione in data odierna dell’avviso per la stabilizzazione dei precari storici (47 persone) e con l’innalzamento orario dei contratti part time, nonché con il ricorso al potenziamento previsto dai finanziamenti e dai programmi nazionali. Termina l’ultima fase con la stabilizzazione dei precari dopo un periodo di lotta delle parti sindacali, che non si chiude qui ma che segna un passo in avanti verso l’obiettivo del potenziamento dei centri x l’impiego per far fronte alle esigenze e i bisogni dei cittadini in cerca di un occupazione. Auspichiamo, pertanto, che vengano messe in campo, con il coinvolgimento dei lavoratori, tutte le idonee modalità organizzative e le adeguate strumentazioni in grado di consentire l’accesso ai servizi ed alle misure finanziate. Denunciamo, infine, l’attuale atteggiamento disinformato, quasi caricaturale, dei media nazionali rispetto al personale ed ai servizi dei centri per l’impiego che, perlomeno in Umbria rappresentano un esempio positivo rispetto al panorama nazionale. Quotidianamente gli operatori si trovano a fronteggiare situazioni di grande difficoltà economica e sociale dei cittadini ed intervengono non solo rispetto all’intermediazione del personale (che dall’abolizione delle liste di collocamento ad oggi si è spostata sul contatto diretto con le aziende) ma che insistono fortemente sulle politiche attive del lavoro attraverso attività di orientamento, consulenza, attivazione di corsi di formazione, di tirocini formativi, servizi per soggetti disabili e svantaggiati e servizi di mobilità internazionale che consentono la riqualificazione e l’inserimento lavorativo dei disoccupati. Un ruolo fondamentale e di garanzia per i cittadini che, ribadiamo, solo un servizio pubblico è in grado di garantire».

Abruzzo: giunta regionale delibera la stabilizzazione di 30 precari del Centro per l'impiego dell'Aquila

A seguito delle interlocuzioni avviate in questi mesi dai sindacati con Regione Abruzzo al fine di attivare le necessarie procedure di stabilizzazione del personale precario e di integrazione oraria dei dipendenti part-time dei CPI (centri per l’impiego), oggi la giunta regionale ha deliberato l’approvazione del piano dei fabbisogni 2018-2020 prevedendo la stabilizzazione dei 30 precari del CPI della Provincia dell’Aquila e le necessarie integrazioni orarie dei dipendenti a tempo indeterminato.
A darne notizia è la Cgil Abruzzo.
Si è data attuazione alle norme nazionali sul superamento del precariato nella pubblica amministrazione contenute nella legge di bilancio 205/2017, nell’ottica di potenziamento dei servizi erogati dai Centri per l’Impiego, settore nevralgico per la realizzazione delle Politiche Attive per il Lavoro nella nostra Regione.
"La delibera prevede inoltre la stabilizzazione di altri precari storici che operano in altri settori nevralgici della Regione Abruzzo", conferma la Cgil. "Si conclude finalmente una vicenda di precariato ultra decennale che ha visto i questi anni la Cgil impegnata sui tavoli nazionali e locali per salvaguardare il diritto dei lavoratori a vedersi riconosciuto un legittimo contratto a tempo indeterminato e la salvaguardia delle professionalità acquisite in questi anni. Ringraziamo tutti gli attori istituzionali e in particolare il presidente Giovanni Lolli che ha lavorato per la positiva definizione della vertenza".


Reggio Calabria: “finalmente lieto fine per i precari e i part time dei Centri per l’Impiego calabresi”

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La nota dei neo dipendenti a tempo indeterminato e pieno dei CPI Calabresi sulla lunga storia dei precari e dei part time dei Centri per l’Impiego calabresi

“Il 27 Settembre 2018 segna un traguardo estremamente entusiasmante, molto atteso per i precari dei CPI calabresi finalmente giunti all’epilogo di una lunga storia iniziata, per alcuni, addirittura quasi 20 anni fa”. Lo affermano in una nota i neo dipendenti a tempo indeterminato e pieno dei CPI Calabresi.
“Sembrava si trattasse di un percorso senza fine, di una storia senza futuro ed invece dopo lunghe battaglie e senza mai perdere la speranza, grazie all’aiuto delle OO.SS. nella fattispecie grazie alle segretarie della Fp Cgil A. Baldari e Cisl Fp L. Giordano, si è riusciti ad impiantare una vertenza che ha sbloccato dopo diverse concertazioni quelle che erano ormai diventate importanti situazioni di stallo. Oggi non possiamo non essere entusiasti del momento. Si tratta di un risultato straordinario che segna la svolta nella nostra vita, non solo personale  ma anche professionale. Si tratta di un successo che gratifica fortemente la tenacia di chi ha portato avanti questa battaglia nonostante le enormi difficoltà incontrate su moltissimi fronti. Tra loro, infatti, c’è chi si è esposto personalmente e si è speso per il raggiungimento di un obiettivo collettivo e non solo individuale. Non è stato facile per Alessandra Neri e Vittorio Colosimo, rispettivamente per la Fp Cgil e la Cisl Fp referenti regionali dei lavoratori dei CPI portare avanti una vertenza conciliando le dinamiche personali con quelle sindacali, amministrative e politiche”.
“Le segretarie regionali A. Baldari e L. Giordano hanno sempre dimostrato grande fiducia nella linea di azione che i lavoratori volevano perseguire e in tutte quelle persone che sono state parte attiva in questa avventura a lieto fine. In particolare i lavoratori della Città Metropolitana di Reggio Calabria e della Provincia di Crotone dopo anni di attese e di incertezze da oggi possono finalmente pianificare il loro futuro senza la preoccupazione che in passato si rinnovava ogni anno alla scadenza contrattuale. La Legge Madia ha dato un grosso slancio alla risoluzione della problematica e per questo è necessario ringraziare anche per il contributo al livello nazionale che le OO.SS. hanno dato durante i vari tavoli tecnici che si sono tenuti in merito al problema del precariato”.
“Un traguardo altrettanto importante è quello raggiunto dai part time dei CPI della Provincia di Catanzaro che, dopo circa un decennio, giungono anche loro finalmente al completamento totale del proprio orario di servizio. Si pone, pertanto, fine ad una situazione di diseguaglianza creata dall’applicazione della legge 56/2014 che, in quanto unità dell’organico dei CPI, faceva stazionare tali lavoratori in una condizione di unici dipendenti a 18 ore settimanali. Differente trattamento è toccato, invece, a circa 50 unità stabilizzate dalla Provincia di Catanzaro nel 2009. L’inquadramento a tempo indeterminato e a tempo pieno riveste un’importanza ancora più rilevante in quanto si inserisce tra l’altro in un contesto di estrema fragilità di organico dei CPI calabresi, visti i numerosi pensionamenti e l’elevata mole di attività e di utenza da gestire”.
“Un ringraziamento sentito oltreché che doveroso, va a tutti coloro che in questi anni hanno contribuito e lavorato affinché si potesse raggiungere l’obiettivo finale, dall’Amministrazione della Città Metropolitana di Reggio Calabria nella persona del Vicesindaco Mauro e della Consigliera Belcastro, all’Amministrazione Provinciale di Crotone e di Catanzaro, al Presidente Oliverio che ha delineato il giusto indirizzo politico, e ai Neo Assessori regionali Angela Robbe e Mariateresa Fragomeni e a tutti i dirigenti e funzionari dei Dipartimenti Lavoro e Personale della Regione Calabria, che nelle ultime settimane hanno lavorato incessantemente per accelerare i tempi di firma dei contratti”.
“Un plauso particolare va alle Segretarie Regionali della Fp Cgil A. Baldari, e della Cisl Fp L. Giordano che dal 2014 hanno seguito questa vertenza. Hanno supportato i lavoratori nei momenti di sconforto, nei momenti di sfiducia e che non hanno mai abbandonato le loro speranze. Un riconoscimento, inoltre doveroso, va ai Segretari Provinciali della Fp Cgil Francesco Callea e della Cisl Fp Vincenzo Sera per l’impegno profuso e la sensibilità dimostrata nei confronti della nostra situazione lavorativa”.
“Infine un ringraziamento sentito va, altresì, al Segretario Generale della Cgil Reggio Calabria-Locri, Gregorio Pititto, che inizialmente ha accettato la sfida di seguire la causa dei dipendenti dei CPI della Provincia di Reggio Calabria affidandoli, poi, alla competenza dell’allora Segretaria Provinciale della Fp Cgil Alessandra Baldari. La firma di un contratto a tempo pieno e indeterminato rappresenta per tutti i lavoratori coinvolti in questo successo un incentivo ad essere ancor più parte attiva nel rilancio dei Centri per l’Impiego, con la promessa di investire in essi il massimo impegno”.

Agenzia regionale lavoro, al via 47 stabilizzazioni. Ires: «In Umbria aumenta quello precario»

Prende avvio il percorso di stabilizzazione per 47 precari dei centri per l’impiego della Provincia di Perugia. La stabilizzazione arriva in concomitanza con la piena operatività della nuova Arpal, l’Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro che subentra ai centri per l’impiego. «Un atto di fondamentale importanza – spiega il vicepresidente della Regione Fabio Paparelli – formalizzato con un atto della stessa Arpal lo scorso 14 agosto, in attuazione alle previsioni della legge di bilancio dello Stato per il 2018, in cui è previsto il trasferimento definitivo della funzione e del personale alle Regioni o alle agenzie regionali dove istituite».
Passo in avanti L’Agenzia è stata istituita attraverso la legge regionale sul lavoro approvata nel febbraio scorso e ora, con la stabilizzazione, secondo Paparelli si compie «un nuovo passo importante che rafforza la stessa Arpal, grazie al consolidamento delle competenze del personale già maturate negli anni al servizio della Provincia di Perugia, e proietta l’Agenzia verso una dimensione operativa compiuta, in una logica in cui le politiche attive del lavoro sono fondamentali per rispondere alle esigenze delle persone in cerca di occupazione, oltre che per ricollocare nel più breve tempo possibile coloro che beneficiano di ammortizzatori sociali essendo usciti dal ciclo produttivo».
Problema precarietà Di sicuro queste stabilizzazioni non risolvono il problema della precarietà in Umbria. Analizzando i dati di Istat, Inps e centri per l’impiego il presidente dell’Ires Cgil Umbria Mario Bravi parla di un «quadro negativo. Esaminando – dice – i primi 3 mesi del 2018, abbiamo avuto nella nostra regione 43.571 attivazioni delle quali solo il 15,1% a tempo indeterminato. Non solo. Le cessazioni a tempo indeterminato sono superiori alle attivazioni, il che significa che aumenta sempre di più il lavoro povero e precario». Bravi fa poi notare come nell’ultimo anno le assunzioni a termine siano cresciute del 9,2% mentre quelle stabili siano scese del 5,2%. E non a caso, nel primo trimestre 2018 l’occupazione umbra cala di circa 5 mila unità facendo salire il tasso di disoccupazione al 10,8%(+0,4% rispetto al primo trimestre 2017). L’esigenza di tutele e di diritti per il mondo del lavoro è dimostrata dal fatto che i cosiddetti “licenziamenti per giusta causa” sono aumentati del 45,2%».
http://www.umbria24.it/economia/agenzia-regionale-lavoro-al-via-47-stabilizzazioni-ires-umbria-aumenta-quello-precario

Lavoro: Fp Cgil a Di Maio, bene su Centri Impiego, accelerare su stabilizzazione precari

“È positivo il fatto che il ministro Di Maio abbia mostrato interesse rispetto allo stato in cui versano i Centri per l’impiego e che abbia affermato la volontà di affrontare il tema. Ma va innanzitutto conclusa la fase di stabilizzazione del personale precario attualmente in servizio: gli strumenti ci sono ma siamo ancora molto in ritardo su quel versante”. Così il segretario nazionale della Fp Cgil, Federico Bozzanca, commenta quanto emerso dall’incontro tra il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, e gli assessori regionali all’impiego.
In ogni caso, precisa il dirigente sindacale, “è ingeneroso da parte del ministro sostenere che in questi anni i Centri per l’impiego non abbiano funzionato perché, nonostante le drammatiche condizioni in cui si sono ritrovati, gli oltre seimila dipendenti hanno fatto il possibile, e spesso ben oltre il possibile, per garantire un servizio adeguato ai cittadini. Per questo cogliamo con favore le affermazioni circa una volontà di potenziare i Centri per l’impiego ma, oltre i processi di stabilizzazione del personale precario, va avviato allo stesso tempo un confronto con i sindacati per rispondere al meglio alle esigenze dei singoli territori“, conclude Bozzanca.

Avviso pubblico in applicazione dell’art.20 comma 1 del d.lgs 75/2017 – superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni

Allegato A Determinazione n. 472 del 11/05/2018
L'Agenzia Regionale per il Lavoro della Regione Emilia-Romagna attiva una procedura finalizzata alla stabilizzazione mediante assunzione diretta del personale non dirigenziale assunto a tempo determinato che presta o ha prestato servizio presso l'Agenzia Regionale per il Lavoro o le Province/Città Metropolitana della Regione Emilia-Romagna.
Le posizioni disponibili sono le seguenti:
  • n. 2 “Specialista in politiche per il Lavoro” cat. D - Profilo “Politiche regionali e tecniche applicative”
  • n. 33 “Assistente in Politiche per il Lavoro” cat. C - Profilo “Amministrativo”
Requisiti richiesti
Sono ammessi alla procedura di assunzione i soggetti in possesso:
dei requisiti generali e specifici previsti per l’accesso all’impiego alle dipendenze dell'Agenzia Regionale per il Lavoro della Regione Emilia-Romagna, anche in relazione alla categoria di inquadramento, definiti all’art. 2 del Regolamento Regionale 2 novembre 2015 n. 3 “Regolamento in materia di accesso all'impiego regionale”, che devono essere posseduti alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda di ammissione.
dei requisiti di cui all’art. 20 del D. Lgs 75/2017 e precisamente:
  • risultare in servizio, anche per un solo giorno presso l’Agenzia Regionale per il Lavoro, successivamente alla data del 28 agosto 2015, con contratto di lavoro a tempo determinato da graduatorie a tempo determinato o indeterminato, riferite a procedure concorsuali ordinarie, per esami e titoli o per soli titoli o previste da norme di legge, per l'espletamento di mansioni corrispondenti;
  • aver maturato, al 31 dicembre 2017, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Il requisito dei tre anni di servizio può essere maturato ricomprendendo tutti i rapporti di lavoro riconducibili a diverse tipologie di contratto flessibile, anche svolti cumulativamente presso l'Agenzia Regionale per il Lavoro e le Province/Città Metropolitana della Regione Emilia Romagna, secondo quanto previsto al comma 13 dell'art. 20 del D. Lgs n.75/2017 (ai fini del possesso del requisito di aver maturato almeno tre anni di servizio, in caso di processi di riordino, soppressione o trasformazione di enti, con conseguente transito di personale, si considera anche il periodo maturato presso l'amministrazione di provenienza).
Modalità e termini di presentazione della domanda
La domanda, redatta nell'apposito modulo dovrà essere presentata esclusivamente tramite mail al seguente indirizzo di posta elettronica: arlpersonale@regione.emilia-romagna.it  
Le domande di ammissione dovranno essere inviate entro le ore 24 del 21 maggio 2018.
L'Agenzia non assume responsabilità per la dispersione di domande dovuta a disguidi nella trasmissione informatica o a malfunzionamenti della posta elettronica, a fatti imputabili a terzi, a caso fortuito o a forza maggiore.
Nella domanda i candidati dovranno dichiarare:
  • generalità, residenza, recapiti, indirizzo di posta elettronica;
  • il possesso dei requisiti generali e specifici richiesti dal presente avviso;
  • la categoria di inquadramento;
  • il consenso al trattamento dei propri dati personali per le finalità legate all'espletamento della procedura.
La domanda dovrà inoltre essere corredata da copia fotostatica di un documento di identità in corso di validità.

Centri per l’impiego: le periodiche verità distorte della stampa

Leggendo i giornali, si hanno alcune certezze. Tra queste, l’immancabile articolo volto a dimostrare che i centri per l’impiego non servono a nulla, costano troppo, vanno aboliti, ma ricco di dati e numeri che dimostrano esattamente l’opposto: in Italia i servizi pubblici per il lavoro sono incomparabilmente (rispetto alle Nazioni civili) sotto dimensionati e lasciati a se stessi. Così, negando ai cittadini in cerca di lavoro servizi fondamentali, ai quali in altre Nazioni (civili) si dedicano importantissime risorse.

Ultimo in ordine di tempo tra questo genere frequentatissimo di articoli è quello pubblicato su Il Messaggero del 6 maggio 2018, a firma di Umberto Mancini e dal titolo eloquente: “Il flop degli uffici di collocamento: danno lavoro al 3% dei disoccupati”.
Il teorema è molto chiaro. La dimostrazione molto, ma molto meno. La lettura dei dati forniti, al contrario, dà la chiara sensazione che, come sempre, si tratta di un’analisi preconcetta e tendenziosa, in contrasto appunto con i dati evidenziati.
Analizziamo l’articolo per punti. All’esordio di afferma: “i 556 Centri per l'impiego sparsi su tutto il territorio nazionale costano tanto, ma riescono a trovare un posto solo al 3% di chi si rivolge agli uffici di collocamento. Una percentuale quasi insignificante, la più bassa in Europa (Francia e Germania sono sopra il 20%)”.
Benissimo. Prima affermazione: i centri per l’impiego costano “tanto”. Ma, quanto? L’articolo lo spiega anche nell’occhiello del titolo: 660 milioni l’anno. Certo, una cifra molto ragguardevole.
Ma, in Francia e in Germania, correttamente posti come pietra di paragone per misurare l’efficienza dei centri per l’impiego, il sistema pubblico del lavoro quanto costa? Molto meno, è portato a immaginare chi legga l’esordio dell’articolo de Il Messaggero.
Vediamolo, allora, ricorrendo ai dati di Eurostat.



Nel 2015 in Italia sono stati spesi poco più di 700 milioni; in Germania 11,6 miliardi; in Francia 5,4 miliardi.
Dunque, in Germania si spende per i servizi pubblici per il lavoro 16,7 volte più che in Italia; in Francia 7,7 volte di più.
E, guarda caso, in Francia ed in Germania, pensate, la percentuale di intermediazione è maggiore che in Italia. Incredibile, vero?
Sempre soffermandosi sulla spesa, quest’altra estrazione dati da Eurostat dà l’idea di quale sia il volume della spesa per i servizi pubblici per il lavoro in Italia rispetto agli altri partner europei.
















Come si nota, siamo lontani anni luce della Danimarca che vorremmo copiare (con gli stracci addosso) per laflexsecurity, ma anche Germania e Fracia ci lasciano drammaticamente indietro.
La conclusione che trae l’autore dell’articolo è drastica: i centri per l’impiego in Italia sono “improduttivi”. Ma, non si è nemmeno sognato di confrontare le risorse che si spendono in Italia con quelle di Germania e Francia.
Né l’autore fa una piega, quando apprende da Maurizio Del Conte, presidente dell’Anpal (l’agenzia nazionale per le politiche del lavoro), l’incredibile ulteriore divario di personale operante in Italia rispetto a Francia e Germania. Nel corpo dell’articolo, l’autore ci informa che nei centri per l’impiego lavorano 8 mila dipendenti in servizio: un dato, però, sbagliato, perché per effetto della devastante riforma Delrio delle province, si sono ridotti a poco più di 6.000. In ogni caso, così si esprime Del Conte: “Sul fronte dei Cpi si dovrebbe fare molto di più - nota con amarezza Del Conte - basti pensare infatti che Francia e Germania hanno rispettivamente 45 mila e 140 mila addetti a queste funzioni”.
Dunque: in Francia vi sono 8 volte gli addetti italiani, mentre per la Germania il rapporto dei dipendenti rispetto all’Italia è di 17 a 1.
La consapevolezza, derivante dall’intervista al Del Conte, del divario spaventoso di risorse, almeno dal lato dei dipendenti, tra il sistema pubblico italiano e quello franco-tedesco, tuttavia, non è servita perché l’autore dell’articolo ponesse la sua inchiesta sui giusti binari. Occorreva denigrare, e denigrazione è stata, lasciando il confronto sulla produttività, senza minimamente verificare quali siano le ragioni che in Italia, lasciando i servizi pubblici a stecchetto, ledono, alla fine, i diritti dei lavoratori.
L’articolo doveva dimostrare che i centri per l’impiego non servono: dunque, i dati si omettono e si distorcono, al solo scopo di “fare notizia”.
Il tutto, per altro, e per stessa ammissione del giornalista nell’articolo, in assenza di dati davvero attendibili sulle intermediazioni. Leggiamo, infatti, nell’articolo che “Statistiche ufficiali comunque non ce ne sono perché non esiste un filo diretto tra il ministero del Lavoro e gli ex uffici del collocamento”. Il 3% di intermediazione è, da sempre, solo una “stima”, di fonte Isfol. Che, da sempre, precisa anche che le agenzie di somministrazione intermediano circa il 6-7%: il doppio dei servizi pubblici, ma comunque una cifra ancora certamente non elevatissima. Ancor meno performante se si considera che mentre i servizi pubblici esercitano una funzione universale, le agenzie private ovviamente circoscrivono il mercato alle sole aziende clienti (tendenzialmente quelle medio-grandi) e la durata media delle somministrazioni di lavoro è di 13 giorni: giusto le sostituzioni ferie.
Torniamo alle fonti della rilevazione del 3%. Come sottolineato dallo stesso articolo, non esistono statistiche ufficiali. Infatti, i sistemi informativi non sono in grado di tracciare se un lavoratore ha reperito lavoro grazie all’intermediazione di un centro per l’impiego. Dunque, le rilevazioni sono desunte da “interviste”.
Leggiamo, allora, la fonte alla quale ha attinto l’articolo de Il Messaggero: si tratta di uno “studio” di Federcontribuenti, preso sostanzialmente per buono e base delle storture informative dell’articolo. Ecco l’assunto: “solo il 3% degli occupati dichiara di aver trovato occupazione tramite un centro”.
Quanto dichiarato dai lavoratori è estremamente importante. Ma, affidarsi a questo strumento per determinare concretamente l’efficacia delle politiche del lavoro è un po’ poco: un lavoratore potrebbe aver ricevuto da un centro per l’impiego quell’orientamento, quell’informazione, quella conoscenza grazie alla quale poi trova lavoro e, sulla base della propria elaborazione attiva, ritenere che l’attività del centro per l’impiego sia stata inutile e, dunque, dichiarare di aver reperito autonomamente il lavoro, anche se in realtà un indirizzo ed una spinta del servizio pubblico vi siano state.
Nella realtà, lo studio di Federcontribuenti ha un fine ben preciso, del quale l’articolo de Il Messaggero si fa latore acritico. Il fine è dirottare i soldi (pochi, pochissimi, in confronto con Francia e Germania) investiti nei servizi pubblici per il lavoro, alle imprese. Leggiamo: “Eliminando questi centri per l’impiego e tutto il castello burocratico e gerarchico potremmo accantonare ogni anno un miliardo di euro da investire nelle imprese che danno occupazione”.
Sembra evidente che in Francia e Germania, ove le cifre investite nelle politiche attive per il lavoro sono quelle descritte sopra, o non sanno far di conto, oppure hanno voglia di gettare i soldi dalla finestra, così, per capriccio.
Come sempre, in Italia, di fronte alla diagnosi di problemi operativi dei servizi pubblici, la reazione è non cercare di comprendere le ragioni del gap operativo (che nel caso dei servizi per il lavoro è in gran parte da ricondurre ad un enorme sottofinanziamento), ma urlare al vento che occorre abolire, cancellare, eliminare. Lo si è fatto con le province, con risultati devastanti.
La Federcontribuenti si lagna della spesa per i servizi per il lavoro, ma non considera minimamente che dovere dello Stato sarebbe di incrementarla, per assicurare ai cittadini il diritto ad avere l’evidenza di opportunità di lavoro, pubblicamente conoscibili.
La Federcontriebuenti si colloca, evidentemente, dalla parte di chi ritiene ancora, nel 2018, che la “mano invisibile” del mercato possa da sola generare comportamenti virtuosi della domanda e dell’offerta. La storia insegna che non è così, ma si insiste.
Lo studio su cui si è basato Il Messaggero, non a caso esordisce ricordando il caso di un’azienda di Padova, alla quale “è bastato mettere l’annuncio sui social per ricevere centinaia di curriculum”. Anche in questo caso, la visione è totalmente distorta e sbagliata.
Evidentemente, ci si riferisce al caso dell’azienda Antonio Carraro, di Campodarsego, che sul Gazzettino di Padova aveva innalzato al cielo altissime grida di dolore contro i giovani “fannulloni” e choosy, che non accettavano le proposte di lavoro.
Il Gazzettino di Padova, però, per una volta non si è limitato a rilanciare la solita notizia (molto spesso fake, come nel caso di specie) dell’imprenditore “che darebbe chissà quanto lavoro ma sono i fannulloni a non voler lavorare” ed è andato a fondo. Scoprendo che le condizioni di lavoro in azienda sono molto difficili, con turni continui e personale regolarmente sotto organico e, soprattutto, sotto pagati.
L’azienda ha poi anche compreso (sulla vicenda, è opportuno leggere qui la ricostruzione completa) quanto controproducente fosse stato il lancio sui giornali della ricerca e l’utilizzo dei social: infatti, è stata sommersa da centinaia di curriculum, molti dei quali ovviamente cestinati senza nemmeno essere stati presi in considerazione.
Questo è l’errore fondamentale dell’impostazione di Federcontribuenti e de Il Messaggero e chiunque si approcci al problema dell’intermediazione domanda/offerta di lavoro solo in termini populistici e demolitori.
Secondo l’articolo del giornale l’intermediazione assicurata dai centri per l’impiego dà vita ad un numero di assunzioni “così modesto che viene da chiedersi perché andare avanti su questa strada. Sopratutto in un epoca dove spesso è sufficiente mettere un annuncio sui social per ricevere centinaia di curriculum. E dove il passaparola resta ancora il canale principale per trovare un posto (70% dei casi)”.
Ma, non ci si rende conto che il vero problema è proprio questo: l’assenza, in Italia, di un sistema che canalizzi in modo strutturato, aperto, pubblico e conoscibile la domanda di lavoro (le aziende), affinchè vi possa essere un efficiente incontro con l’offerta (i lavoratori).
La prevalenza del passaparola è esattamente il segnale dell’inefficienza di un mercato che resta opaco, chiuso, ostico: le imprese cercano solo in una cerchia ristretta, senza rivelare appieno le condizioni di lavoro, senza indicare le competenze, fidando di poterle “svelare” e “conoscerle” con la funzione sciamanica del colloquio di lavoro, considerato il mezzo, divinatorio, che consente sempre all’imprenditore di trovare davvero la persona giusta per il fabbisogno giusto.
Il servizio pubblico, che non deve ovviamente soppiantare l’incontro spontaneo, deve assolvere esattamente al compito di correggere l’opacità e la chiusura del mercato ed evitare che si ingenerino gli equivoci della ditta di Campodarsego. Una domanda di lavoro pubblica, gestita da soggetti esperti, i centri per l’impiego come anche le agenzie private, consente a chi dispone delle banche dati dei lavoratori di preselezionare quelli che abbiano requisiti soggettivi (vicinanza logistica, mezzi di trasporto, titolo di studio, esperienze) che li rendano appetibili per l’azienda, sondandone preventivamente la disponibilità e poi avviarli, in rose di candidati concordate, ai colloqui, così da evitare all’azienda il cilecca delle inserzioni, le lamentazioni controproducenti sui giornali, o il diluvio incontrollabile di curriculum, cioè tutto ciò che, appunto, lascia il mercato inefficiente, antiquato, incapace di superare le cause del mismatching.
Federcontribuenti esprime la propria ricetta: “Non dobbiamo incrementare il personale nei centri di impiego, dobbiamo rendere produttivi quelli esistenti tagliando a monte, nella fascia dei dirigenti, le risorse” aggiungendo “il fattore politico, burocratico e di intermediazione dai centri per l’impiego per creare un fondo nazionale per il sostegno all’occupazione pari a 800 milioni l’anno. I CpI possono trovare spazio anche in un ufficio comunale, ce ne sono sempre di inutilizzabili, con un risparmio notevole per lo Stato. Dopodiché il personale del CpI non dovrà fare altro che numerare i disoccupati, mappare le imprese sul territorio e agire concretamente nel vuoto che si è creato tra l’offerta e la domanda di lavoro”.
Sono soluzioni totalmente sbagliate ed anzi controproducenti, frutto di analisi del tutto fuori mira.
Come dimostrano proprio gli esempi di Germania e Francia, il presidio molto complesso del mercato del lavoro esige forze in campo molto, ma molto, maggiori di quelle presenti in Italia: dunque, il personale dei centri per l’impiego deve necessariamente essere aumentato. E non è detto che ciò debba avvenire con assunzioni  nuove, potendosi ricorrere alla razionalizzazione del personale in servizio, che nella PA, come è noto, è molto mal distribuito. E’ del tutto velleitario pensare di ricavare risorse dal taglio ai dirigenti, che sono 4 gatti: non si otterrebbe che un pugno di mosche.
Soprattutto, è deleterio pensare di distogliere quel pochissimo che si spende per le politiche attive per il lavoro, dandolo alle aziende. Federcontribuenti dimostra di credere davvero che gli incentivi alle aziende siano il sistema per rilanciare il lavoro. Ma, proprio la gragnuola di incentivi per le assunzioni disposta dalla legge di stabilità del 2015, per un costo di circa 20 miliardi, ha dimostrato quanto controproducente sia questa spesa pubblica.
Come è noto, si previdero sgravi triennali per poco più di 8000 euro per le assunzioni. Un costo, quindi, pubblico, di 24.000 euro, cioè lo stipendio medio di un dipendente: è come se lo Stato avesse assunto per un anno dipendenti, distaccandoli alle aziende. Nulla di meno liberale e quanto di più statalista di possa immaginare. Per altro, gli sgravi non sono stati condizionati a nulla: nemmeno alla dimostrazione che le assunzioni beneficiate garantissero una crescita occupazionale dell’azienda.
Di fatto, la politica degli sgravi finisce solo per caricare sul pubblico parte dei costi delle aziende, spesso incentivando assunzioni che esse avrebbero attivato comunque.
Azzerando i centri per l’impiego così da dirottare la spesa verso questi incentivi, si renderebbe il mercato del lavoro ancora più zoppo ed inefficiente: sparirebbe ogni anche minima attività di aiuto alla ricerca attiva di lavoro delle persone, appiattendo tutto sulla ricerca autonoma delle aziende. Il che potrebbe anche non essere un male. Ma, se il mercato del lavoro per il 70% è dominato dalla ricerca autonoma, eppure l’incontro tra domanda ed offerta è così difficoltoso, questo vorrà pur dire qualcosa, o no? E vuol dire che il sistema “spontaneo” delle aziende non funziona o, quanto meno, è affetto dai tipici problemi di scardinamento di ogni mercato mal regolamentato e non guidato dalla presenza di un interlocutore pubblico.
Gli sgravi vanno benissimo, se però siano condizionati. Lo Stato dovrebbe potenziare eccome i servizi per il lavoro pubblici e contestualmente innovare le politiche del lavoro, inducendo le aziende a manifestare la domanda, invece di creare inutile scompiglio come quella di Campodarsego. Allora, non sarebbe sbagliato pensare di condizionare gli sgravi, oppure incrementi degli sgravi, a comportamenti proattivi delle aziende, destinandoli a quelle che abbiano attivato, a fianco della libera ricerca spontanea, canali di ricerca ufficiali, pubblici o privati, capaci di rendere conoscibile la domanda e di scatenare le virtuose azioni di ricerca, filtro dei curriculum, preselezione ed avvio. Una domanda che finalmente esce dall’oscurità, inoltre, serve per orientare la formazione, per comprendere e prevedere l’andamento del lavoro nei mercati, programmare le politiche sia attive che passive, sia aziendali.
Pensare solo di abolire, chiudere e distruggere mirando al “bottino” dei soldi, non porta da nessuna parte. Le indicazioni di Federcontribuenti risulterebbero meno fuori mira se, almeno, chiedesse allo Stato di eliminare la spesa dei centri per l’impiego, per ridurre le tasse o il debito pubblico, non per mantenere in piedi egualmente una spesa pubblica che, se rivolta agli incentivi, risulterebbe ancor più improduttiva.
Infine un’annotazione: tanto le indicazioni di Federcontribuenti, quanto quelle dell’articolo de Il Messaggero (che le riprende in gran parte) sono spesso profondamente errate. Abbiamo visto sopra che Federcontribuenti esprime il desiderio che i centri per l’impiego siano ospitati in uffici dei comuni, così da ottenere un risparmio per lo Stato. Chi ha scritto simile indicazione evidentemente ignora che da sempre le sedi dei centri per l’impiego sono messe a disposizione proprio dai comuni. E se le sedi medesime sono, spesso, al limite della fatiscenza, con totale mancanza di rispetto per i lavoratori e le aziende che ne fruiscono, la responsabilità va cercata proprio in quegli enti.