Che la riforma delle province si stia attivando a casaccio, senza alcun criterio, lo dimostra la legge 125/2013, di conversione del d.l. 101/2013, in tema di stabilizzazioni.
Ormai, il legislatore italiano è dedito alle più innovative tecniche di legiferazione. Infatti, nella maggior parte lei casi lascia le norme in sospeso, rinviandone l’attuazione a decreti e regolamenti che non vedono mai la luce o vengono adottati con immensi ritardi; oppure, attua disposizioni che non sono ancora, però, vigenti.
E’ esattamente il caso della riforma delle province. Il d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012, la famigerata spending review del governo Monti, all’articolo 16, comma 9, impone alle province il divieto di effettuare assunzioni a tempo indeterminato. La norma fu inserita nel presupposto che da lì a poco le province sarebbero state profondamente riformate. Come è noto, non se ne è fatto nulla, anzi le norme sfornate dall’esecutivo a guida Monti sono state dichiarate incostituzionali.
Tuttavia, il divieto di assunzione resta ed è confermato dalla legge 125/2013, che non solo la conferma vietando alle province di stabilizzare il personale, ma, cercando di rimediare alla palese iniquità nei confronti dei precari che hanno prestato servizio presso le province, prevede che essi possano partecipar alle procedure selettive di stabilizzazione, attivate da altre amministrazioni del territorio provinciale.
Una soluzione all’evidenza totalmente raffazzonata, che fa comprendere il semplicismo dell’approccio al problema dell’abolizione delle province.
Eppure, l’articolo 4, comma 6, della legge 125/2013 prevede che le stabilizzazioni siano possibili “al fine di favorire una maggiore e più ampia valorizzazione della professionalità acquisita dal personale con contratto di lavoro a tempo determinato” e nei confronti del personale a termine che abbia prestato servizio “alle dipendenze dell’amministrazione che emana il bando”.
I precari delle province, invece, effettueranno concorsi presso amministrazioni diverse e per professionalità che non hanno acquisito nell’ambito dell’attività lavorativa svolta presso di esse.
Si dirà che poiché le province sono destinate ad essere eliminate, è giusto evitare che effettuino assunzioni a tempo indeterminato. I precari, per altro, potrebbero essere assunti e presto trasferiti da altra parte: tanto vale che si adoperino per cercare la buona sorte della stabilizzazione altrove.
Un conto, però, sarebbe trasferire personale provinciale presso altri enti destinatari a subentrare alle province nella gestione delle funzioni, seguendo, dunque, uffici e funzioni stesse, secondo criteri di funzionalità e competenza. Altro è, invece, contraddire nella medesima legge il principio secondo il quale la stabilizzazione è in funzione di una certa competenza acquisita presso il medesimo ente che intende stabilizzare, lasciando sciamare i precari delle province da un ente all’altro, riallocandoli in tal modo senza nessun criterio di professionalità o di ordinata allocazione di risorse lavorative connesse alle funzioni che le province sono chiamate a dismettere.
E’ la conferma che la riforma delle province, fondato su un su un disegno di legge costituzionale non ancora vigente, che vuole essere attuato – nella sua non vigenza – dal ddl Delrio, che a sua volta viene in parte anticipato, mentre non è vigente, dalla legge 125/2013 viene condotta sull’onda del sentimento emozionale.
Il che dovrebbe far riflettere sul modo di procedere oltre. Ma Renzi, e di conseguenza il renziando Ministro Delrio, hanno affermato che dell’appello dei 44 giuspubblicisti finalizzato a far riconsiderare al Governo le scelte affrettate e caotiche in tema di province, come affermato sui media, “non sanno che farsene”. E si vede.
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