In un articolo a sua firma apparso sul Corriere della Sera dello scorso 6 gennaio, Pietro Ichino focalizza le lenti dei suoi occhiali su una disposizione contenuta nella legge di stabilità 2013 che a suo parere è “apparentemente di poca importanza, ma che può significare moltissimo per il mercato del lavoro italiano nel prossimo futuro”.
Si tratta del comma 215 che promuove l'esperimento regionale del “contratto di ricollocazione”.
I contenuti di questo “esperimento” si basano su quattro caratteristiche: la stretta collaborazione tra uffici pubblici e agenzie private, la possibilità per i disoccupati di scegliere liberamente l'agenzia da cui farsi assistere, il pagamento del servizio (ai privati) da parte della Regione solo a risultato ottenuto (assunzione per almeno 6 mesi), il controllo efficace della disponibilità effettiva del disoccupato dalla quale far dipendere l'eventuale indennità di disoccupazione.
Si tratta a grandi linee del modello Lombardia. Secondo Ichino si tratta “di un vero e proprio contratto tra la persona interessata, l'agenzia privata e il centro impiego pubblico” dove “l'agenzia si impegna a fornire il servizio di assistenza per la riqualificazione e rioccupazione, che viene retribuito solo a seguito dell'occupazione effettiva del lavoratore”.
L'importo del voucher sarebbe determinato dal “grado di difficoltà” del reinserimento del disoccupato, il quale grado di difficoltà sarebbe stabilito dal centro impiego “sulla base di parametri oggettivi e facilmente applicabili”.
Il disoccupato dovrebbe impegnarsi a dedicare alla ricerca di lavoro e alla riqualificazione un tempo almeno pari all'orario del lavoro a cui lui aspira.
Ichino ci informa che tale modello è già stato attivato con successo in Olanda.
Bene, a questo punto sono andato a vedere come funzionano i servizi al lavoro in Olanda e ho trovato che i servizi pubblici per l’impiego olandesi (UWV) delegano all’attore privato l’esclusivo ambito del reinserimento lavorativo dei disoccupati di lungo periodo. Infatti, attraverso bandi pubblici i vari operatori privati presentano i propri programmi (che comprendono formazione, orientamento, incentivi alle imprese e tutta una serie di strumenti per il collocamento). Il principale obiettivo di questi programmi non è solo un rapido reinserimento, ma anche il tentativo di stabilizzazione del disoccupato nel medio periodo in modo da ridurre il numero di persone che ritornano nell’assistenza sociale (ricordiamoci sempre che stiamo parlando di un paese dove esiste davvero un sistema di welfare e il reddito di cittadinanza). Non mi pare proprio, quindi, che si parli dello stesso modello.
Comunque, la vera novità del comma 215 sta nel fatto che tutto questo percorso dovrebbe essere affiancato da un tutor, individuato nella figura di un esperto dell'agenzia privata, che verifica l'effettiva disponibilità del disoccupato e ne denuncia eventuali mancanze fino, eventualmente, a determinarne la cancellazione dai benefici sociali, tipo indennità di disoccupazione.
In pratica, il contratto di ricollocazione assegna al tutor il compito di stabilire le occasioni di occupazione e i percorsi di formazione, e il potere di promuovere o meno il “bravo” disoccupato (con conseguenze materiali su di esso).
Secondo Ichino tutto questo significa fare “collocamento attivo”. Il suo rammarico è che per questo comma sono stati stanziati “solo” 15 milioni di euro mentre per le politiche “passive”, cioè quelle di “puro e semplice sostegno al reddito”, è stato stanziato un miliardo circa. E qui, il nostro, auspica uno spostamento di fondi dall'uno all'altro.
Per Ichino, e per tutti i suoi credenti, parlare di sostegno al reddito è una roba mal digeribile, come se si tornasse al vecchio e obsoleto modo di dire che il sussidio di disoccupazione disincentiva dal cercare lavoro (?!?). Potrebbe spiegarci, il giuslavorista, come potrebbe campare un disoccupato senza sostegno al reddito, stante la situazione attuale del mercato del lavoro, oltretutto in un paese dove non esiste il reddito di cittadinanza (a differenza degli altri)? Perché se è vero che incrementare il ricorso ad ammortizzatori sociali in modo “patologico”, come avviene da anni in questo paese, è disperante anche perché alla fine è l'unico parametro per il quale “si trovano i soldi” ( e non sempre), è altresì vero che le politiche del lavoro, attive o passive che siano, non sono le dirette responsabili della situazione, ma sono anche conseguenza di un fattore ben più importante e che sta alla base della peculiarità della crisi italiana: in Italia non è che mancano politiche del lavoro, manca il lavoro!
Ritengo fuorviante (e strumentale) centrare il dibattito su come organizzare i servizi al lavoro senza mai affrontare la questione primaria: come si crea lavoro. Le due cose dovrebbero almeno andare di pari passo.
Questo paese ha da tempo rinunciato ad una politica industriale nazionale, ha rinunciato a “trovare soldi” per investire su nuovi settori produttivi (vogliamo parlare dello sviluppo delle energie rinnovabili che tutti fanno e noi invece ostacoliamo?), ha prodotto il più alto numero di “neet” in Europa, ha creato un numero impressionante di tipologie di contratti di lavoro (tutti precari) che impoveriscono la capacità di spesa e annichiliscono la prospettiva di un futuro, ha smesso da anni di avere una classe imprenditoriale, o almeno buona parte di essa, degna di questo nome (farsi dare i finanziamenti dalla UE per trasferirsi in Romania è da banditi non da imprenditori), ha svenduto tutte le aziende e tutti i brand che potevano rappresentare una “linea gotica” nazionale per lo sviluppo di lavoro e innovazione.
Probabilmente il nodo sta nel fatto che in tutto questo perverso meccanismo ci sta la complicità fra la politica che “dovrebbe fare” e l'imprenditoria “finto nazionale”. Che, a braccetto, prendono ordini dalla finanza speculativa e dalle banche, unico vero “governo” che funziona (per loro).
Francamente, non mi pare che un centro impiego che stabilisce il grado di difficoltà di una pratica, tipo i colori per classificare le urgenze distribuiti al pronto soccorso, sia una grande e innovativa svolta. Il mercato del lavoro chiede sempre più profili con professionalità specifiche e selettive, “l'urgenza” non è un parametro richiesto.
Ad ogni modo, qualcuno dica a Ichino che mettere sotto custodia il disoccupato con la minaccia della fame perpetua (o “a intermittenza”, o “a chiamata”), non è propriamente una soluzione adeguata, in questo quadro, a meno che non si voglia inaugurare una stagione di sadismo sociale, giusto per passare un po' il tempo, mentre, ancora, si spera nei mercati che sistemeranno le cose (nefasto credo liberista che ha prodotto i disastri di oggi).
Magari serve a far campare il tutor, un po' come nella formazione, dove si naviga a vista e dove tanti finanziamenti servono sostanzialmente a far campare le agenzie formative.
Le quali, bontà loro, arrancano su strade incerte in assenza di una prospettiva generale.
Quindi, di cosa stiamo parlando?
Alessandro De Angeli
Coordinamento Precari in Provincia
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