Lettera di una collega al segretario del Pd


Gent.mo Matteo Renzi

ho letto il suo invito a partecipare alla definizione del Job Act.
Bene, lo accetto volentieri e provo a portare un contributo di riflessione sui Centri per L'Impiego, posto che ci lavoro dal dicembre 2001 quando da poco le competenze erano passate a Regioni e Province.
Per onestà intellettuale inizierò con il dirle che in questi ultimi mesi ho sentito troppo spesso critiche ingenerose, anche da parte sua, nei confronti di questi servizi e di chi ci lavora, paragoni con modelli europei che nulla hanno a che fare con le peculiarità di quello italiano ed esaltazioni del sistema delle agenzie private che mi fa, sinceramente, sorridere soprattutto quando si configurano come auto celebrazioni a pagamento sulla stampa nazionale (si veda la lettera odierna a lei indirizzata da Alleanza Lavoro).
Per la stessa onestà intellettuale, però, le dirò anche che ciò che mi fa più rabbia è che io ho piena consapevolezza che noi e i nostri servizi siamo una grande occasione mancata.
Una grande occasione mancata soprattutto perché in questi servizi ci lavorano tante belle teste, ci sono elevati livelli di formazione ed istruzione e c'è grande passione e comprensione dell'importanza del servizio che siamo chiamati a svolgere. Tutti elementi non così scontati, lo dico a malincuore, nella pubblica amministrazione italiana.
Poiché non sono quindi una persona poco consapevole, né ingenua, mi sono collocata anche io tra i tanti colleghi che in questi anni hanno provato ad evidenziare tutte le distorsioni e le disfunzionalità del sistema italiano ed hanno investito tanti sabati, tante domeniche e tante notti insonni cercando piccoli rimedi e soluzioni creative. 
Proverò dunque ad essere propositiva.
In primo luogo credo che occorra definire a livello nazionale le regole di accesso a questi servizi e che ciò non possa essere demandato alle Regioni. Occorre definire un quadro di regole chiare ed omogenee, nonché dare gambe a questi tavoli che da decenni discutono di livelli essenziali delle prestazioni e di sistema informativo nazionale.
Lo dico perché vorrei ci fosse piena consapevolezza che una buona metà di quanti si iscrivono ai CPI lo fa per motivi diversi dalla ricerca del lavoro: dall'esenzione dei ticket sanitari alla fruizione di altri servizi pubblici; dalla partecipazione ad un bando per una borsa di studio alla tariffa ridotta per i bus...potrei proseguire con una casistica pressoché infinita.
Questo fenomeno fa sì che i CPI siano chiamati ad occuparsi di una quantità enorme di persone che non cercano realmente a discapito di quanti cercano. 
Il primo elemento a cui mi sembrerebbe importante mettere mano è, dunque, proprio questo: non accollare ai CPI persone che realmente non cercano, consentendo ai servizi di operare ed utilizzare risorse economiche ed umane in maniera più efficace ed efficiente. Ciò è possibile solo in presenza di un sistema di regole chiare ed informazioni condivise (ivi comprese le centinaia di banche dati), altrimenti non si va da nessuna parte.
Il secondo elemento di riflessione che le propongo è di tipo quali-quantitativo: le politiche attive, perché abbiano un senso, devono essere esercitate da chi ne ha le competenze (banale a dirsi) e tali operatori devono essere un numero adeguato (banalissimo) nonché dotati di contratti non precari (ancora più banale). Bene, seppur molto banali sotto questo versante la situazione italiana è drammatica. Occorre metterci mano poiché non si può pretendere prestazioni qualitativamente elevate da servizi sotto organico, pieni zeppi di lavoratori precari ed infognati quotidianamente nella più bieca burocrazia.
Il terzo elemento riguarda la correttezza della lettura dei dati e dell'impostazione del ragionamento: continuare a valutare i CPI per la sola attività di mediazione diretta è un errore metodologico con devastanti conseguenze. In primo luogo così facendo non si valuta il placement indiretto (quello che avviene grazie all'attivazione di percorsi di politica attiva da parte dei CPI...corsi, tirocini, prese in carico e tutoraggi personalizzati...avete presente?), ma si arrecano contestualmente danni devastanti ai servizi di quei territori che in questi anni hanno investito sui rapporti con le imprese, sull'inventarsi competenze di carattere commerciale, sul metterci la faccia e la propria credibilità professionale andando a bussare di porta in porta per promuovere i propri servizi.
Se vogliamo davvero aumentare il placement diretto suggerisco di fare come in Svezia: obbligare annualmente le imprese a comunicare pubblicamente le proprie vacancies in modo da far concorrere davvero sistema pubblico e sistema privato (che non solo ha figure commerciali, ma banalmente anche auto e risorse economiche per fare spostare i propri dipendenti). Ciò consentirebbe, anche, di rendere trasparente il sistema e, forse, di uscire dal dramma - questo sì reale - dell'essere assunti solo per conoscenza. 
C'è poi un ultimo elemento che mi pare dirimente, ovvero che tipo di welfare si vuole e come si articola una corretta collaborazione pubblico-privato.
Io, da cittadina ancor prima che da dipendente pubblico, credo in un welfare che accolga tutti senza distinzione alcuna, anche nei momenti di transizione da studio a lavoro e da lavoro a lavoro. Ciò significa, per la sottoscritta, che almeno in parte anche i servizi privati dovrebbero occuparsi di tutti e non solo di giovani, ovvero il target su cui nei prossimi anni si avranno i maggiori investimenti...
La leale collaborazione tra pubblico e privato più volte proposta prevede, invece, che al pubblico rimangano gli utenti più difficili e quelli più facili, in termini di potenziale occupabilitá, vadano ai privati che verrebbero anche incentivati. Che dire? Cerchiamo di essere seri almeno ed evitiamo di chiamarla collaborazione, nonché di aggettivarla come leale.
Poiché però voglio provare ad essere propositiva anche su questo aspetto e non solo polemica, la invito a valutare di dare le stesse opportunità ai servizi pubblici: dateci la possibilità di concorrere e di riutilizzare gli incentivi che si pensa di dare ai privati per i nostri servizi, incentivi da utilizzare per nuove attività a favore degli utenti, per comprare un auto per andare a visitare le aziende, per stamparci qualche biglietto da visita, per comprarci un computer portatile, per formarci ed aggiornarci, ecc. ecc.
Come vede non soldi per noi (che pure non ci farebbero schifo visto il blocco degli stipendi che ci tocca ormai da anni), ma risorse per migliorare le nostre attività a favore degli utenti.
Concludo con un'ultima riflessione su un tema a me molto caro, serietà e coerenza.
Noi, con serietà e coerenza, continuiamo a lavorare con impegno ed orgoglio professionale nonostante le mortificazioni quotidiane di stampa, politica e tv, ma pretendiamo di essere finalmenti messi nelle condizioni di poter lavorare bene e di dare un senso al nostro impegno professionale, civico e personale.
Se si pensa quindi di fare un'altra pseudo riforma per non cambiare nulla e continuare a far pensare ai cittadini ed alle cittadine che è solo per l'inefficacia dei CPI e l'incompetenza di chi ci lavora che non si riesce a risolvere il problema della disoccupazione in Italia, beh allora chiudeteci. Con serietà e coerenza.
Cordiali saluti
E. Z.

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