Mentre sono in elaborazione e discussione, sia a livello Centrale che nel Parlamento Regionale, diverse proposte sul riassetto organizzativo dell'ente intermedio, noi lavoratori precari siamo allarmati e sempre più preoccupati dalla scarsa attenzione rivolta al problema dei dipendenti con contratti precari, che da anni assicurano l'erogazione di servizi strutturali nel settore lavoro.
Mozione dell'assemblea del 17 dicembre a Firenze
RSU
– PROVINCIA DI FIRENZE
Via
de’ Ginori 10 50129 Firenze
I
lavoratori e le lavoratrici dei Servizi per il Lavoro della Provincia
di Firenze e dell'Unione dei Comuni Empolese – Valdelsa (ex
Circondario)
riuniti
in assemblea il 17/12/2013,
Preso
atto della situazione di forte difficoltà in cui i Servizi da lungo
tempo si trovano ad operare, difficoltà
che riguardano :
- le questioni legate al riordino Istituzionale e al futuro delle Province, diventate, oramai, capro espiatorio della politica e che, vergognosamente ancora dopo due anni, non vedono nessuna chiarezza sul futuro e sulla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dell'ente, mancando di ipotesi serie sull'allocazione delle funzioni proprie dell'Ente e sulla garanzia dei servizi ai cittadini .
- Le questioni che vedono questi servizi al centro di campagne denigratorie e di strumentalizzazioni politiche in odore di interessi privati.
- E soprattutto per quel che riguarda la Provincia di Firenze , con una gestione dei servizi al lavoro da lungo tempo basata solo sull'emergenza.
Negli
ultimi anni i servizi si sono trovati quindi ad affrontare
fortissimi flussi di utenza con le stesse condizioni organizzative,
con personale sempre più scarso e con una carenza cronica di
strumenti adeguati a soddisfare le esigenze dei vari target di utenza
(per es. formazione professionale, numero di offerte di lavoro,
obbligo formativo).
I
lavoratori dei Servizi per il lavoro esprimono, di nuovo e ancora, il
profondo disagio in cui sono costretti ad operare quotidianamente nel
far fronte alle richieste dell'utenza e la mancanza di strutture
adeguate di accoglienza, indispensabili per il corretto funzionamento
dei Centri Impiego.
Tutte
questioni, più volte sottolineate e costantemente ignorate, che
hanno provocato, e temiamo provocheranno anche in futuro, pesanti
disagi nell'erogazione del servizio.
A
questo si somma la condizione di precariato che molti
lavoratori/trici dell'area stanno vivendo ormai da anni e che diventa
sempre piu pesante.
PER
QUESTI MOTIVI L’ASSEMBLEA
-
appoggia e assume a grande maggioranza tutte le iniziative in campo,
anche con altri soggetti, in particolare con il Coordinamento Precari
Regionale, con l'obiettivo di perseguire le finalità che mirano a
garantire la continuità e la qualità dei servizi Pubblici e la
tutela dei posti di lavoro.
-
Dà mandato alle RSU di convocare un'assemblea di tutto il settore
in occasione della prima iniziativa pubblica di Incontro/Confronto,
organizzato dal Coordinamento dei precari, sul ruolo e le funzioni
dei Servizi per l'Impiego Pubblici, che si svolgerà nel mese di
marzo 2014, così da consentire una più larga partecipazione dei
lavoratori del settore;
-
Dà mandato alle RSU di promuovere tale iniziativa a livello di
Coordinamento regionale delle RSU;
-Dà mandato alle RSU di richiedere un confronto immediato tra il Presidente della Provincia, nonché con l’Assessore al Lavoro e la dirigenza del settore, e una rappresentanza degli operatori dei servizi, che esprimono forte preoccupazione sulla tenuta dei servizi nell'affrontare il nuovo anno, anche alla luce delle nuove procedure conseguenti alla modifica normativa del 7R, in vigore dal 1° gennaio 2014;
-Dà mandato alle RSU di richiedere un confronto immediato tra il Presidente della Provincia, nonché con l’Assessore al Lavoro e la dirigenza del settore, e una rappresentanza degli operatori dei servizi, che esprimono forte preoccupazione sulla tenuta dei servizi nell'affrontare il nuovo anno, anche alla luce delle nuove procedure conseguenti alla modifica normativa del 7R, in vigore dal 1° gennaio 2014;
-
l'Assemblea ha, inoltre, incaricato l'RSU di informare e allertare
le autorità preposte all'ordine pubblico riguardo eventuali e
probabili situazioni critiche che potrebbero verificarsi nei CPI
durante i primi giorni del 2014 per il forte afflusso d’utenza.
Ricordiamo che in tali giorni si sovrappongono molte scadenze
riguardanti i contratti di lavoro, il rinnovo degli ammortizzatori
sociali e le richieste di disoccupazione.
E'
forte la volontà e l'esigenza di continuare ad erogare servizi di
qualità per i cittadini e di tutelare il nostro lavoro e la nostra
professionalità .
Si
dà mandato alle RSU di intraprendere qualsiasi iniziativa si ritenga
utile per conseguire le finalità suddette e la sicurezza dei
lavoratori e cittadini che si recano ai servizi.
La nostra risposta e quella di un collega all'articolo "Centri per l’impiego in Italia, da Nord a Sud. La guerra del lavoro è tra poveri"
I centri per l'impiego che dovrebbero fare incrocio domanda offerta, la fanno in maniera così insufficiente, perché non c'è mai stato la volontà di rendere trasparente l'intermediazione.
Questo è radicato nel sistema italiano per cui i cpi, non hanno possibilità di funzionare se non si pensa ad una riforma organica del mercato del lavoro.
Forse il ruolo del cpi nell'intermediazione dovrebbe essere quella di rendere esplicite con una percentuale apprezzabile le offerte di lavoro, ma questo è impossibile se si pensa che dal 2008, inizio della crisi, ad oggi le risorse finanziare sono diminuite per questi servizi mentre in Germania e Francia gli stanziamenti sono quasi raddoppiati. Per fare un esempio solo la città di Mainz (in Germania – Renania Palatinato),che possiamo paragonare come bacino di utenza al territorio di Firenze, ha 1.000 dipendenti pubblici di ruolo impiegati in questi servizi a Firenze gli operatori sono 120, 1261 sono i numeri del personale impiegato in Toscana. In Germania 110.000 è il numero del personale impiegato contro i 10.000, ma sono meno, in Italia.
Senza contare che un centro per l'impiego autorevole in grado di intermediare una cifra apprezzabile di offerte di lavoro toglierebbe potere alla miriade di centri di intermediazione formali e informali sparsi per la nazione, cioè tutte le associazioni datoriali, i consulenti del lavoro, e i battitori liberi. Chiediamoci a chi giova un sistema pubblico frenato?
Questo è radicato nel sistema italiano per cui i cpi, non hanno possibilità di funzionare se non si pensa ad una riforma organica del mercato del lavoro.
Forse il ruolo del cpi nell'intermediazione dovrebbe essere quella di rendere esplicite con una percentuale apprezzabile le offerte di lavoro, ma questo è impossibile se si pensa che dal 2008, inizio della crisi, ad oggi le risorse finanziare sono diminuite per questi servizi mentre in Germania e Francia gli stanziamenti sono quasi raddoppiati. Per fare un esempio solo la città di Mainz (in Germania – Renania Palatinato),che possiamo paragonare come bacino di utenza al territorio di Firenze, ha 1.000 dipendenti pubblici di ruolo impiegati in questi servizi a Firenze gli operatori sono 120, 1261 sono i numeri del personale impiegato in Toscana. In Germania 110.000 è il numero del personale impiegato contro i 10.000, ma sono meno, in Italia.
Senza contare che un centro per l'impiego autorevole in grado di intermediare una cifra apprezzabile di offerte di lavoro toglierebbe potere alla miriade di centri di intermediazione formali e informali sparsi per la nazione, cioè tutte le associazioni datoriali, i consulenti del lavoro, e i battitori liberi. Chiediamoci a chi giova un sistema pubblico frenato?
Precari Pubblici
Io in un Centro per l'Impiego ci lavoro e in questi anni mi sono fatto un'idea dei motivi per i quali i CPI in Italia non decollano (o meglio ne sono decollati pochi, che è già una sostanziale differenza) perchè in Italia di CPI che funzionano ce ne sono e oltretutto offrono servizi di alta qualità con personale spesso molto qualificato. Se il Fatto scrive articoli con gli stessi contenuti di Panorama qualche domanda me la farei..sempre le stesse accuse: "non collocano nessuno", "non servono a niente", "impiegano loro stessi" Vorrei però (perchè non se ne può più) sfatare qualche mito, perchè la discussione sui CPI è spesso noiosa e tendenziosa. “I Centri per l'Impiego non trovano lavoro”: L'Obiettivo dei Centri per l'Impiego (si chiamano così apposta,altrimenti si chiamerebbero Centri dell'Impiego) è quello di migliorare l'occupabilità di chi cerca lavoro attraverso azioni e strumenti diversi ed integrati fra loro (informazione, orientamento, bilanci di competenze, formazione, potenziamento delle tecniche di ricerca, incontro domanda offerta, etc) dato che i Centri per l'Impiego non creano occupazione e che le offerte provengono dal sistema delle imprese private soggette al mercato. L'incrocio domanda/offerta, si realizza attraverso un data base: se arrivano offerte di lavoro da parte di aziende private, in base al profilo richiesto, viene fatta una preselezione fra le persone che hanno sostenuto il colloquio di orientamento e vengono inviati all'azienda i profili professionali dei candidati per la selezione vera e propria. Inoltre, bisogna ricordare che una buona parte delle persone che si iscrivono ai Centri per l'Impiego, lo fanno solo per poter ottenere benefici e non per la ricerca immediata del lavoro: indennità di disoccupazione, esenzione del ticket, agevolazioni comunali, graduatorie per case popolari, iscrizioni asilo nido, rinnovo permesso soggiorno, etc. Quindi, quando vengono fatte le statistiche, bisognerebbe togliere dalla base di calcolo del numero di Disoccupati una consistente quota che ne altera al ribasso il risultato.
In ogni caso, oggettivamente, non è possibile misurare la qualità di un servizio quale il nostro solo sulla base di un dato quantitativo riferibile all'incontro domanda offerta, dato che si tratta solo di uno degli strumenti che attiviamo e dato che molte persone, (e ce lo comunicano) trovano lavoro dopo percorsi formativi, di tirocinio o di potenziamento delle competenze personali avviati attraverso la nostra attività e che sfuggono ai dati delle statistiche. L'orientamento al lavoro, infatti, viene definito dalla letteratura specialistica, non a caso, un “percorso di sviluppo dell'autonomia personale”.
In ogni caso, oggettivamente, non è possibile misurare la qualità di un servizio quale il nostro solo sulla base di un dato quantitativo riferibile all'incontro domanda offerta, dato che si tratta solo di uno degli strumenti che attiviamo e dato che molte persone, (e ce lo comunicano) trovano lavoro dopo percorsi formativi, di tirocinio o di potenziamento delle competenze personali avviati attraverso la nostra attività e che sfuggono ai dati delle statistiche. L'orientamento al lavoro, infatti, viene definito dalla letteratura specialistica, non a caso, un “percorso di sviluppo dell'autonomia personale”.
“Ai Centri per l'Impiego non si rivolgono le aziende”:
Le liste di collocamento sono abolite e le aziende non sono obbligate a rivolgersi ai CPI quando cercano personale. Come si potrà evincere dai dati dell'indagine Excelsior Unioncamere http://excelsior.unioncamere.n... sul comportamento delle aziende in fase di ricerca di personale, le imprese spesso si attivano in maniera informale (conoscenza diretta 51%, banche dati interne 25%, conoscenti e fornitori 10%, stampa 2%, Centri Impiego 3%, Agenzie di somministrazione 3%, Ass. categoria e Internet 3%, Altro 3%). Questi dati derivano prevalentemente dalla struttura del mercato del lavoro (costellazione di piccole e medie imprese), da un elevato numero di lavoro nero/sommerso (27% stimato), dalla presenza di zone industriali/artigianali in ogni Comune (si conoscono tutti...), da una bassa cultura e propensione alla valutazione delle competenze nella scelta dei propri collaboratori e dalla non conoscenza (o bassa percezione) dei servizi pubblici per l'impiego sul territorio, otre che dal timore di controlli sulle assunzioni. Faccio presente, inoltre, che la stragrande maggioranza delle aziende che si rivolgono ai CPI o attraverso l'incontro domanda offerta (nominativi segnalati dai nostri servizi) o grazie alla pubblicizzazione delle offerte sui siti internet, trovano le professionalità che stanno ricercando. “Ai Centri per l'Impiego il personale non è competente”: Molti Operatori e Consulenti dei Centri per l'Impiego in molte Regioni Italiane che si occupano di Servizi specialistici, di Orientamento al lavoro e Servizi alle Aziende, hanno una preparazione universitaria specifica e/o anche post universitaria specialistica. Spesso però, il tempo degli operatori è impiegato per la gestioni di incombenze
amministrative richieste e stabilite dalla legge, sottraendo tempo e competenze ai servizi.
“I Centri per l'Impiego non offrono servizi”:
E' vero che il processo di rinnovamento dei servizi per il lavoro in Italia è avvenuto a “macchia di leopardo”, per cui si hanno servizi anche molto efficienti in alcune Province/Regioni e servizi poco efficienti in altre. Di questo bisognerebbe chiederne conto ai responsabili politici ed amministrativi di quelle strutture.
“Negli altri paesi europei i servizi pubblici per l'Impiego funzionano meglio”: Per alcuni Paesi l'affermazione è vera, anche se non si tengono conto di alcune variabili rilevanti evidenziate in una delle ultime indagini fatte sui SPI:Nel 2007, in Germania il personale dei Cpi pubblici ammontava a 74mila dipendenti (oggi circa 100000); in Gran Bretagna 67mila unità; in Italia meno di 10mila (attualmente si stima intorno a 8000). Le spese per politiche del lavoro sul Pil in Germania erano il 0,3%, in Gran Bretagna lo 0,3%, in Italia l’0,03%. I disoccupati per addetto in Germania 48, in Gran Bretagna 24, in Italia ben 150. Tradotto significa che gli operatori dei CPI in Italia hanno in carico pro capite un numero molto maggiore di persone a fronte di minori strumenti, risorse e progetti di inserimento finanziati. Per concludere, viste queste premesse a fronte di un mercato del lavoro frammentario/irregolare (27%), a livelli di disoccupazione molto elevati, a tassi di inattività della popolazione intorno al 37,8% (istat). Per poter creare un sistema di FLEXSECURITY (come indicato anche dalla Riforma Fornero) è necessario investire risorse su progetti, formazione continua e potenziare i servizi, come avviene già da molti anni in altri paesi europei.
un collega
Le liste di collocamento sono abolite e le aziende non sono obbligate a rivolgersi ai CPI quando cercano personale. Come si potrà evincere dai dati dell'indagine Excelsior Unioncamere http://excelsior.unioncamere.n... sul comportamento delle aziende in fase di ricerca di personale, le imprese spesso si attivano in maniera informale (conoscenza diretta 51%, banche dati interne 25%, conoscenti e fornitori 10%, stampa 2%, Centri Impiego 3%, Agenzie di somministrazione 3%, Ass. categoria e Internet 3%, Altro 3%). Questi dati derivano prevalentemente dalla struttura del mercato del lavoro (costellazione di piccole e medie imprese), da un elevato numero di lavoro nero/sommerso (27% stimato), dalla presenza di zone industriali/artigianali in ogni Comune (si conoscono tutti...), da una bassa cultura e propensione alla valutazione delle competenze nella scelta dei propri collaboratori e dalla non conoscenza (o bassa percezione) dei servizi pubblici per l'impiego sul territorio, otre che dal timore di controlli sulle assunzioni. Faccio presente, inoltre, che la stragrande maggioranza delle aziende che si rivolgono ai CPI o attraverso l'incontro domanda offerta (nominativi segnalati dai nostri servizi) o grazie alla pubblicizzazione delle offerte sui siti internet, trovano le professionalità che stanno ricercando. “Ai Centri per l'Impiego il personale non è competente”: Molti Operatori e Consulenti dei Centri per l'Impiego in molte Regioni Italiane che si occupano di Servizi specialistici, di Orientamento al lavoro e Servizi alle Aziende, hanno una preparazione universitaria specifica e/o anche post universitaria specialistica. Spesso però, il tempo degli operatori è impiegato per la gestioni di incombenze
amministrative richieste e stabilite dalla legge, sottraendo tempo e competenze ai servizi.
“I Centri per l'Impiego non offrono servizi”:
E' vero che il processo di rinnovamento dei servizi per il lavoro in Italia è avvenuto a “macchia di leopardo”, per cui si hanno servizi anche molto efficienti in alcune Province/Regioni e servizi poco efficienti in altre. Di questo bisognerebbe chiederne conto ai responsabili politici ed amministrativi di quelle strutture.
“Negli altri paesi europei i servizi pubblici per l'Impiego funzionano meglio”: Per alcuni Paesi l'affermazione è vera, anche se non si tengono conto di alcune variabili rilevanti evidenziate in una delle ultime indagini fatte sui SPI:Nel 2007, in Germania il personale dei Cpi pubblici ammontava a 74mila dipendenti (oggi circa 100000); in Gran Bretagna 67mila unità; in Italia meno di 10mila (attualmente si stima intorno a 8000). Le spese per politiche del lavoro sul Pil in Germania erano il 0,3%, in Gran Bretagna lo 0,3%, in Italia l’0,03%. I disoccupati per addetto in Germania 48, in Gran Bretagna 24, in Italia ben 150. Tradotto significa che gli operatori dei CPI in Italia hanno in carico pro capite un numero molto maggiore di persone a fronte di minori strumenti, risorse e progetti di inserimento finanziati. Per concludere, viste queste premesse a fronte di un mercato del lavoro frammentario/irregolare (27%), a livelli di disoccupazione molto elevati, a tassi di inattività della popolazione intorno al 37,8% (istat). Per poter creare un sistema di FLEXSECURITY (come indicato anche dalla Riforma Fornero) è necessario investire risorse su progetti, formazione continua e potenziare i servizi, come avviene già da molti anni in altri paesi europei.
un collega
Coordinamento precari Nazionale
Lettera ai candidati alle primarie del Partito Democratico
Vi
contattiamo come coordinamento precari servizi al lavoro/formazione
della Toscana e che nelle ultime settimane si sta allargando anche a
livello nazionale.
Molti
di noi vivono una situazione di precarietà da molti anni presso i
servizi provinciali come dipendenti a tempo determinato (previo
concorso pubblico) delle Province o tramite rapporti di
collaborazione diretta con l'amministrazione anche nella forma della
partita iva (perlopiù in regime di monocommittenza) o come
dipendenti e/o collaboratori di partecipate pubbliche o di
cooperative tramite servizi in appalto.
Precisiamo
che il numero dei precari è di circa la metà del totale dei
lavoratori in questi servizi per cui è chiaro che senza di loro il
servizio, che già sta soffrendo visto l'alto afflusso di
disoccupati, cassaintegrati, invalidi civili , giovani, immigrati
ecc. a fronte di una riduzione numerica di impiegati di settore negli
ultimi anni, verrebbe meno.
Nelle
ultime settimane abbiamo potuto riscontrare che tale situazione di
precarietà e di incertezza sul proprio futuro lavorativo e personale
riguarda operatori dei servizi al lavoro e formazione di molte altre
Regioni italiane.
In
questa situazione critica e preoccupante, sia per le nostri sorti
future, come lavoratori che hanno una lunga esperienza e
professionalità alle spalle, sia per la sorte di servizi, che
riteniamo essenziali per la cittadinanza, vogliamo far conoscere ai
candidati alle primarie del Partito Democratico - partito oggi di
maggioranza relativa in Italia - affinché conoscano il disagio di
migliaia di lavoratori in tutta Italia e portino avanti istanze di
salvaguardia dei servizi e dei lavoratori: in primis con il rinnovo
dei contratti in scadenza, a livello istituzionale sensibilizzando
comuni, province, regioni, governo, attraverso i mass media
divulgando i reali servizi svolti dai settori lavoro/formazione
nelle Province.
Negli
ultimi tempi abbiamo assistito ad una campagna di informazione
distorta sull'efficacia dei servizi pubblici per l'impiego, sulla
base di una ipotetica maggior efficacia dei servizi privati.
Riteniamo
che sia ancora tutta da dimostrare la maggiore efficienza della
privatizzazione dei servizi.
Ad
oggi invece le rilevazioni dimostrano il contrario anche per ciò che
riguarda i presunti “risparmi” che in realtà diventano maggiori
spese. Partendo dall'ambito di osservazione locale abbiamo potuto
riscontrare che gli
interventi tramite progetti finanziati con Fondo Sociale Europeo che
hanno coinvolto le agenzie di intermediazione si sono rilevati
tutt'altro che efficaci
ed efficienti
in termini di ricaduta occupazionale in rapporto spesa/occupati . Non
stiamo affermando una volontà a priori di contrapposizione al
privato nei servizi al lavoro/formazione; rivendichiamo piuttosto una
gestione pubblica di tali servizi improntata su criteri di equità,
trasparenza, tutela della privacy, rivolta ad aziende e cittadini in
modo gratuito, per fornire a tutti/e l'opportunità di trovare un
lavoro, non solo a quelli più “spendibili” nell'immediato in
funzione di un mero ritorno economico. Pensiamo ad esempio alle
difficoltà e disparità nella gestione del collocamento dei disabili
se si adottasse esclusivamente il criterio della collocazione dei
soggetti più forti e più “sani”.
Andando
ad analizzare i report sull'efficacia dei servizi pubblici per
l'impiego, il dato sempre citato per cui i servizi per il lavoro
pubblico intermediano il 3,7% dei posti di lavoro trascura alcuni
aspetti, che pure sono indicati nel rapporto Isfol fonte della cifra:
- detta percentuale riguarda l’intermediazione diretta; l’intermediazione indirettamente favorita dai centri per l’impiego si attesta al 26% (tramite tirocini, stage, corsi di formazione, informazione orientamento ai cittadini e alle imprese);
- i servizi per il lavoro non hanno come unico risultato il compito di svolgere l’intermediazione;
- non c’è alcun valore scientifico delle rilevazioni sulle percentuali di intermediazione, tratte mediante interviste campionarie ad aziende e lavoratori, che spesso nemmeno sanno con precisione quando e come si svolge l’intermediazione;
- LA PERCENTUALE DI INTERMEDIAZIONE DEI PRIVATI E’ PIU’ BASSA DEI SERVIZI PUBBLICI: IL 3%.
Andando ad analizzare il costo e il numero di addetti ai servizi al lavoro (dati Eurostat) in Italia nel contesto europeo, vediamo che la spesa italiana per servizi per il lavoro degli ultimi anni è in media intorno ai 600 milioni di euro ed è diminuita dal 2008 proprio in concomitanza con l’aumento della disoccupazione giovanile. La spesa media 2005- 2011 della Germania per servizi per il lavoro è intorno agli otto miliardi di euro, quella della Francia è intorno ai 5 miliardi, quella della Spagna supera il miliardo di euro. Rispetto al PIL la spesa italiana per servizi per il lavoro è intorno allo 0,03 per cento, contro lo 0,3 per cento della Francia, della Germania e del Regno Unito. I paesi europei che all’inizio della crisi hanno fortemente investito sui servizi per l’impiego sono quelli che hanno ottenuto i migliori risultati(come la Germania e l’Olanda).
Il
personale addetto alla presa in carico del disoccupato in Italia è
di 594 disoccupati o inoccupati disposti a lavorare per operatore.
Nel Regno Unito abbiamo un operatore ogni 43 disoccupati disponibili
al lavoro, in Francia uno ogni 59, in Germania uno ogni 27.
La
nostra non vuol essere una difesa a spada tratta del “pubblico”
in quanto tale anche perché vorremmo che l'ente pubblico fosse
maggiormente efficace ed efficiente, e, in una logica di spending
review di cui si sente tanto parlare, ci piacerebbe che fossero
individuati i reali sprechi, le contraddizioni, i sistemi di potere
consolidati e clientelari e non colpire indiscriminatamente i servizi
e i lavoratori che li mantengono in piedi spesso in situazione
“precaria”.
Vorremmo
anche che si venisse a conoscenza della reale situazione dei
lavoratori dei servizi al lavoro/formazione in termini numerici e di
un confronto con i dati degli altri paesi europei, tanto per smontare
il luogo comune che vede gli enti pubblici pieni zeppi di lavoratori
in eccesso rispetto alla funzione svolta, e magari cogliere
l'occasione di verificare dove e in quali settori questo avviene,
o per esempio
verificare il rapporto tra numero dei dirigenti e impiegati di
settore di loro competenza, in italia generalmente sempre alto, per
una redistribuzione occupazionale realmente correlata ai bisogni
effettivi di servizi per la cittadinanza.
Non
a caso ci siamo organizzati in un coordinamento regionale di precari
dei servizi al lavoro/formazione che si sta allargando sempre più
coinvolgendo anche i precari di tali servizi di tutti Italia, abbiamo
preso diversi contatti con le varie rappresentanze politiche sia a
livello locale che regionale, abbiamo creato un blog
(www.precariprovincia.blogspot.it)
che vi invitiamo a visitare.
Concludiamo
con delle domande:
- Come pensa sia risolvibile/affrontabile il problema dei precari nei settori dei servizi pubblici?
- Cosa ne pensate della centralità dei servizi pubblici, che governano-gestiscono-erogano servizi e risorse pubbliche?
- In Lombardia esiste un modello in cui il cittadino riceve un voucher (pubblico) da spendere nelle agenzie private: secondo noi si tratta di profitti privati e costi pubblici. Cosa ne pensate?
- Secondo noi il rischio è che si arrivi ad una tassa occulta sulla disoccupazione, visto che se il servizio pubblico diventa meno centrale/efficiente, le agenzie di intermediazione potrebbero arrivare a chiedere di essere retribuite anche dal lavoratore (invece che solo dalle imprese, come accade adesso): che ne pensate?
- Se si privatizzasse del tutto un servizio connesso al diritto al lavoro non si violerebbero i principi costituzionali di uguaglianza e di diritto al lavoro?
Ci
auguriamo quindi che vogliate interessarvi alle istanze da noi
segnalate e a portare avanti azioni a livello istituzionale e
governativo su processi di stabilizzazione dei lavoratori precari
negli enti pubblici, sblocco delle assunzioni, proroghe, concorsi
ecc., e a valutare le questioni da noi sollevate nelle strategie
relative ai processi di riorganizzazione dei servizi al
lavoro/formazione, che ci auguriamo siano improntati a criteri di
equità e trasparenza e con maggiori garanzie e meno disparità per
chi ci lavora a vario titolo.
Distinti
Saluti
Coordinamento
Precari
Servizi
al Lavoro e Formazione delle Province Toscane
Lettera aperta dei Cobas ai precari delle Province
Cari/e, siamo da sempre convinti che la privatizzazione dei servizi pubblici sia un grave errore con aumento dei costi a carico della cittadinanza e una secca perdita economica per lavoratori\trici che vengono inquadrati con contratti sfavorevoli
Nessuno parla dei lavoratori e delle lavoratrici che operano negli appalti delle Province e delle società in house, questa forza lavoro rischia di essere la prima vittima dei processi in atto perchè da parte sindacale e governativa regna solo disinteresse
Il protocollo siglato da Cgil Cisl Uil con Governo e Conferenza stato regioni (vi rimandiamo agli articoli pubblicati dal Cobas Pubblico alla pagina del sito http://pubblicoimpiego.cobas. it/pubblicoimpiego/ENTI- LOCALI/Volantini/Aria-fritta- per-le-province) dà il via libera allo smantellamento delle province con l'assenso dei sindacati ma soprattutto non entra nel merito delle funzioni e dei ruoli che le Provincie hanno svolto, prima tra tutte quelle relative all'ambiente, al lavoro, alla formazione, alla manutenzione delle strade e dell'edilizia scolastica.
I centri per l'impiego sono stati progressivamente indeboliti da una legislazione che ha reso, anno dopo anno, il lavoro sempre più precario indebolendo il ruolo del pubblico, annullando ogni principio di indirizzo, guida e controllo.
Per favorire lo smantellamento dei centri per l'impiego si assoldano giornalisti nell'ottica di fornire dati spesso errati dentro una campagna di disinformazione, priprio come è accaduto con la denigrazione dei lavoratori pubblici ridotti alla stregua di un esercito di fannulloni
La campagna stampa denigratoria
- fornisce dati gonfiati sulla spesa per ciascun dipendente dei centri per l'impiego, come se alle dipendenze degli stessi lavorassero solo funzionari (la paga reale percepita si aggira attorno ai 15/6 mila euro annui)
– L'Italia investe meno di ogni altro paese europeo in formazione, ricerca, riqualificazione di lavoratori/trici, basterebbe confrontare le statistiche per comprendere che i ritardi dell'economia Italia hanno origine proprio nei mancati investimenti di un paese che ha basato tutto sulla delocalizzazione e sull'abbattimento del costo della manodopera pensando che formazione e ricerca siano costi insostenibili e non priorità assolute
– La soppressione del collocamento in realtà nasconde un altro intento, ossia quello di colpire i ceti sociali meno abbienti, quanti vivono nella marginalità, quanti sono in possesso di bassa scolarizzazione. In questo modo condanneremo migliaia di uomini e donne allo sfruttamento selvavaggio , alla massima ricattabilità da parte dei datori di lavoro e allo stesso tempo verranno meno tanti servizi pubblici oggi erogati quali la gestione amministrativa delle crisi aziendali, le procedure per erogare gli ammortizzartori sociali, il collocamento dei diversamente abili, tutte quelle attività rivolte all'inserimento nel mondo del lavoro, all' orientamento scolastico e lavorativo, al sostegno verso quei giovani che abbandonano la scuola senza un diploma e vengono , oggi, indirizzati verso percorsi qualificativi e di qualificazione professionale
- Alla soppressione dei centri per l'impiego guardano con interesse le strutture private che vorrebbero avocare a loro alcune delle loro funzioni, non certo quelle sociali che saranno, invece, cancellate. Esiste un business dietro le attività degli uffici? In futuro con le privatizzazioni , lo stato si troverà a pagare soggetti privati profumatamente e a costi assai maggiori di quanto oggi paghi le istituzioni pubbliche, con il risultato di avere minori servizi , di peggiore qualità e solo funzionali agli interessi dei capitali privati
- Confindustria, per decenni. ha avuto tra i suoi obiettivi la disarticolazione del mercato del lavoro per abbassare il costo della manodopera e accaparrarsi fondi europei come quelli destinati alla formazione. Il tutto per occulare un'altra realtà, quella che vede i tirocini presso le aziende non più come inizio di un percorso finalizzato alla assunzione dei giovani nelle aziende stesse, il tirocinante è solo un lavoratore a costo zero da spremere
Alla luce di queste considerazioni non possiamo che sottoscrivere la denuncia dei precari pubblici della provincia concludendo con le loro stesse parole
Precarizzazione che, purtroppo, si riscontra anche in questi servizi visto che circa il 40% dei lavoratori dei centri per l'impiego è precario e non può essere assunto a tempo indeterminato, pur avendo superato concorsi pubblici, a causa del blocco totale del turn over ribadito anche nella DL 101/2013 dal quale i precari dei CPI sono esclusi. Ciò denota una volta di più la scarsa importanza , in questi ultimi anni, è stata attribuita a dei servizi che in realtà sarebbero stati da potenziare per supportate i lavoratori in questo momento di crisi.
Il Cobas Pubblico Impiego sostiene le istanze dei precari e mette a loro disposizione la propria struttura organizzativa per tutte le iniziative che vorremo intraprendere insieme.
Cobas Pubblico Impiego
email pubblicoimpiego@cobas.it
Aria fritta per le province
CGIL-CISL-UIL, Governo, Anci e Conferenza delle Regioni hanno sottoscritto un indecoroso protocollo di intesa
Al di là delle parole, il protocollo non salvaguarda lavoratori\trici e le funzioni fino ad oggi erogate dalle Province.
Le province sono solo la prima tappa di quel processo di revisione degli Enti locali che avverrà tagliando i posti di lavoro (con il blocco del turn over ne abbiamo già perduti a migliaia e altri ne perderemo con la mancata stabilizzazione dei precari), mandando a casa i lavoratori e le lavoratrici degli appalti. Non è assolutamente vero che il protocollo salvaguarda i livelli occupazionali perchè accetta i processi in atto che vanno nella direzione contraria e allunga il commissariamento delle Province procedendo con lo smantellamento dei piccoli Comuni
Con il protocollo Cgil Cisl Uil accettano e sottoscrivono la mancata assunzione dei precari, lo scorrimento delle graduatorie ancora vigenti, i processi di mobilità (coatta?) tra enti e società in house e soprattutto si dichiarano disponibili a trattare sulle riduzioni organiche naturalmente dietro al paravento dei tavoli territoriali e\regionali per mobilità e processi di quiescenza (pensionamento) del personale. Detto in altri termini si preparano a taglaire posti di lavoro e competenze, questo è il risultato del Protocollo di intesa tra Cgil Cisl uil e Governo
I lavoratori e le lavoratrici delle Province e degli appalti si mobilitino da subito in ogni città denunciando il protocollo e ribadendo che nessun posto di lavoro dovrà essere toccato salvaguardando tutte le funzioni soprattutto quelle di maggiore rilevanza sociale ed ambientale
Cobas Pubblico Impiego
fonte:http://pubblicoimpiego.cobas.it/pubblicoimpiego/ENTI-LOCALI/Volantini/Aria-fritta-per-le-province
Ancora attacchi, su dati sbagliati, ai centri per l’impiego
I dati sbagliati di Confcommercio e Rizzo sui servizi pubblici per il lavoro
Dopo gli articoli di Dario Di Vico, è con Sergio Rizzo che il Corriere della Sera del 23 novembre 2013 perpetua i suoi attacchi ai servizi pubblici per il lavoro. Con una sincronia rispetto al tema dell’utilizzo e ripartizione dei fondi per la Youth Guarantee davvero svizzera. Una guerra aperta contro il pubblico, a tutto vantaggio delle agenzie per il lavoro private, che puntano molto decisamente agli 1,5 miliardi circa di euro di finanziamento del progetto, utilissimi per risollevare le sorti di bilanci messi in difficoltà dalla crisi occupazionale e mettono in campo ogni risorsa per togliere qualsiasi “concorrente” al possibile utilizzo di queste risorse. E il principale “avversario” sono i centri per l’impiego, dei quali da questa primavera – da quando si è concretizzata la strategia Youth Guarantee – sono costantemente sotto attacco.
Anche a costo di riprendere con oltre un mese e 10 giorni di ritardo uno studio della Confartigianato, come ha puntualmente (si fa per dire) fatto Sergio Rizzo, per tirare la sua stilettata ai servizi, utilizzando solo, esclusivamente ed acriticamente i dati forniti dallo studio stesso, senza nemmeno peritarsi di verificarne l’attendibilità.
Il centro studi della Confartigianato asserisce di aver basato il suo report sui centri per l’impiego utilizzando dati e rapporti del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, di Unioncamere ed Eurostat e di Isfol.
Ottimo. Peccato che per le rilevazioni compiute, nessuno, si sottolinea nessuno, di questi enti disponga di un sistema di rilevazione fondato su banche dati accessibili e verificabili, riguardanti l’intermediazione domanda/offerta.
Spieghiamo meglio cosa si intende dire, analizzando le riflessioni contenute nello studio, supinamente riportate da Sergio Rizzo.
Dunque, secondo lo studio di Confartigianato:
- solo il 2,9% delle imprese gestisce le assunzioni mediante selezione effettuata da un Centro per l’Impiego: il canale di ricerca e selezione dei lavoratori più utilizzato è quello informale della segnalazione di conoscenti e fornitori (61,0%), seguito dall’utilizzo di banche dati aziendali (24,6%);
- solo il 3,4% degli occupati italiani si è rivolto ai Centri per l’Impiego per trovare lavoro. Una percentuale che scende al 2,7% per i giovani fino a 29 anni.
- la scarsa fiducia di imprese e lavoratori nei servizi pubblici per l’impiego è testimoniata inoltre dal fatto che, nel 2012, sono state solamente 40.534 le imprese italiane che hanno utilizzato il servizio pubblico per trovare il personale da assumere.
Si tratta di affermazioni molto ricorrenti, che traggono prevalentemente spunto dal rapporto Isfol sull’efficienza dei centri per l’impiego.
Potrebbero in qualche misura considerarsi utili e attendibili se esistesse un sistema per tracciare il flusso tra domanda presentata dalle aziende, offerta del lavoratore, intermediazione svolta dai Cpi, avvio delle rose dei candidati e successiva assunzione. Un sistema, dunque, capace di leggere nelle banche dati dei disoccupati e delle aziende, agganciandosi alla piattaforma delle Comunicazioni Obbligatorie, per analizzare davvero su dati reali i flussi.
Invece, le rilevazioni delle fonti su cui si basa lo studio di Confartigianato sono tutte fondate su interviste “a campione”, perché il sistema di tracciamento immaginato prima semplicemente non esiste.
Qualcuno, dunque, alza il telefono e chiede agli imprenditori se si sono avvalsi o meno dei centri per l’impiego, oppure ferma i lavoratori e chiede loro se hanno trovato lavoro. Domande complesse, che spesso trovano sbrigative risposte, per la semplice ragione, verificabile colloquiando con chiunque, che pochissimi sanno come funziona il sistema e quasi tutti equivocano sul termine di “intermediazione”. Infatti, per solito si ritiene che l’intermediazione sia l’assunzione del disoccupato da parte dell’impresa. Invece, l’intermediazione è e non potrebbe essere diversamente, composta dalla preselezione di una rosa di candidati multipla rispetto al numero di posti disponibili chiesti dall’azienda, in quanto, poi, la selezione e la stipulazione del contratto viene effettuata ovviamente dal datore di lavoro. A meno che questo non dia mandato anche di effettuare direttamente la selezione, cioè l’inviduazione del soggetto da assumere, ipotesi solo di scuola. Imprenditori e lavoratori conoscono poco i meccanismi e, dunque, forniscono risposte “a sentimento”, che poi vengono date per buone.
Nel 2012, nella sola Verona, sono state effettuate oltre 25.000 intermediazioni di disoccupati a beneficio delle aziende. Dal che discende che l’affermazione di Sergio Rizzo, basata sullo studio di Confartigianato “Negli ultimi sette anni hanno trovato occupazione attraverso i centri per l’impiego mediamente non più di 35.183 persone ogni dodici mesi” è semplicemente frutto di rilevazioni che non poggiano su dati concreti.
Pertanto, il conteggio di un costo di oltre 13.000 euro per reperire lavoro a un disoccupato è del tutto privo di basi. Ma, naturalmente, ha finito per essere il “titolone” da prima pagina.
Lo studio della Confartigianato, per altro, glissa sulla circostanza che i centri per l’impiego conducono annualmente decine di migliaia di colloqui per l’inserimento dei disoccupati nelle banche dati, essenziali per accedere alle prestazioni Inps, colloqui di primo orientamento, proposte di lavoro, preselezioni, contatti con le aziende, predisposizione di piani di accompagnamento al lavoro, avvii a formazione, avvii ai tirocini, gestione del lavoro subordinato dei disabili.
Sarebbe bastato dare un’occhiatina alle rilevazioni realizzate dal Sose per la determinazione dei fabbisogni standard dei servizi per il lavoro, e così capire che i dati di Confartigianato sono molto sommari e discutibili.
Vi sono, poi, nell’analisi di Confartigianato dati da considerare completamente sbagliati ed inaccettabili, per quanto il centro studi dell’organizzazione affermi di basarli su rilevazioni Eurostat. Secondo lo studio di Confartigianato, infatti, “nel periodo 2005/2011, il costo delle retribuzioni dei “Servizi per l’impiego” è cresciuto del 24,4%, con una dinamica tripla rispetto ai redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione che, nello stesso arco di tempo, sono saliti dell’8,3%”.
Non sappiamo quale tabella o computo abbia utilizzato Confartigianato. Sappiamo per certo che l’affermazione riportata sopra è del tutto falsa ed erronea.
La spesa del personale dei servizi per l’impiego in Italia non può essere cresciuta di 3 volte rispetto alla crescita dei redditi da lavoro dipendente nella pubblica amministrazione, come indicato nel surreale rilievo dello studio proposto, per una ragione estremamente esemplice: i centri per l’impiego operano presso le province; ai dipendenti si applicano i contratti collettivi nazionali di lavoro pubblici e, dunque, le identiche dinamiche salariali valevoli per tutta la pubblica amministrazione. Il costo delle retribuzioni dei centri per l’impiego, pertanto, nel periodo 2005-2011 non è affatto aumentato del 24,4%, cifra folle e impossibile, anche considerando il blocco dei contratti, fermi al 2009.
Basterebbe semplicemente questa sottolineatura per qualificare la rilevanza scientifica dello studio di Confartigianato, ma, soprattutto, per rammaricarsi della circostanza che esso possa essere acriticamente rilanciato, come ha fatto il Corriere della sera.
Dati Eurostat veri e disponibili, invece, sono disponibili qui http://mag.workcoffee.it/wp-content/uploads/2013/06/La-spesa-per-i-servizi-per-il-lavoro-in-Europa1.docx.
E dimostrano: “la spesa italiana per servizi per il lavoro degli ultimi anni è in media intorno ai 600 milioni di euro ed è diminuita dal 2008 proprio in concomitanza con l’aumento della disoccupazione giovanile (anche in ragione della destinazione delle risorse FSE agli ammortizzatori in deroga). La spesa media 2005- 2011 della Germania per servizi per il lavoro è intorno agli otto miliardi di euro, quella della Francia è intorno ai 5 miliardi della Spagna supera il miliardo di euro. Rispetto al PIL la spesa italiana per servizi per il lavoro è intorno allo 0,03 per cento, contro lo 0,3 per cento della Francia, della Germania e del Regno Unito. I paesi europei che all’inizio della crisi hanno fortemente investito sui servizi per l’impiego sono quelli che hanno ottenuto i migliori risultati e che hanno potuto persino decidere dal 2010 di diminuire la spesa per politiche del lavoro (come la Germania e l’Olanda).
Il personale addetto alla presa in carico del disoccupato in Italia è uno ogni 200 disoccupati: questo dato è peggiorato in questi mesi per via del pensionamento di molti operatori e comprende anche il personale amministrativo in back office. Se però consideriamo quanti operatori abbiamo per ogni disoccupato o inoccupato disposto a lavorare il dato è di uno ogni 594 ! Nel Regno Unito abbiamo un operatore ogni 43 disoccupati disponibili al lavoro, in Francia uno ogni 59, in Germania uno ogni 27.
Importante il dato sulla spesa assoluta, che evidenzia la clamorosa controtendenza italiana: al 2010, in piena crisi ed emergenza giovani, l’Italia ha speso circa 26 miliardi di euro per politiche del lavoro, dei quali 20 miliardi per politiche passive ( trattamenti di disoccupazione e prepensionamenti), 5 per politiche attive ( soprattutto incentivi e formazione) e solo 500 milioni per servizi. Nel periodo 2005-2011, con la crisi, diminuisce in proporzione e persino in valori assoluti la quota di risorse destinata a politiche attive e servizi” (da Work Magazine, 20.6.2013“I dati clamorosi della spesa dei servizi per il lavoro”).
Vi è, invece, un dato indiscutibilmente vero, nello studio di Confartigianato: gli imprenditori si avvalgono poco dei servizi pubblici per il lavoro. Gli artigiani quasi per nulla. E sembra ne facciano un vanto ed un vessillo, nell’affermare che la gran parte dell’intermediazione passa per i “lavora con noi” nei portali delle singole aziende o per i canali delle conoscenze personali.
Non ci si rende conto che sono proprio questi gli elementi che rendono il mercato del lavoro inefficiente ed opaco. L’esistenza di una serie di canali chiusi, riservati a poche persone capaci di esplorarli ed utilizzarli, rende il sistema dell’incontro domanda-offerta in Italia poco trasparente, anti democratico, incapace di far conoscere appieno le opportunità e di selezionare al meglio.
Se quella piattaforma immaginata sopra funzionasse o la si volesse far funzionare, basterebbe indurre le aziende, con un sistema di incentivi e disincentivi, a manifestare le proprie esigenze di lavoro prioritariamente in quel portale, consentendo poi a tutti gli operatori dell’intermediazione, pubblici o privati, di proporre entro un lasso di tempo molto breve, rose di candidati. In questo modo sarebbe possibile davvero tracciare i flussi e verificare efficienze ed inefficienze.
L’articolo di Rizzo e lo studio di Confartigianato concludono invitando il Governo a non investire in servizi ritenuti improduttivi. Strano; per una volta che potremmo imitare la Germania, con una disoccupazione pari a zero quasi, nelle sue politiche virtuose, cioè investire 8 miliardi nelle politiche attive per il lavoro, con 100.000 quasi dipendenti negli uffici corrispondenti agli italiani centri per l’impiego, per i quali l’Italia investe meno di 500 milioni e nei quali lavorano 7.700 dipendenti (dato Upi), l’invito è non a potenziare servizi che sarebbero essenziali per lo sviluppo del Paese, ma a deprimerli ulteriormente.
La Confartigianato insiste sulla carenza di flessibilità nel sistema pubblico, che non consente di incentivare gli operatori dei centri per l’impiego con incentivi economici per le assunzioni svolte. Ragionamento anche in questo caso non corretto. I servizi pubblici per il lavoro dispongono già di un sistema di incentivazione per il risultato: è dato dall’applicazione delle disposizioni normative e contrattuali sul risultato, funziona da anni, da molto prima della riforma Brunetta (negli enti locali il sistema della performance, per chi lo applica correttamente, vige sostanzialmente dal 1995) e, dunque, non è necessaria alcuna incentivazione.
L’insistenza su questo argomento deriva dall’idea di incentivare, pagare con fondi pubblici, le agenzie private, le quali puntano a far sì che la Youth Guarantee sia realizzata con un sistema di voucher, poi da estendere a tutti i disoccupati. Essi, in sostanza, disporrebbero di una somma di denaro pubblico, da spendere come un buono, presso i soggetti che assicurano i servizi. Pertanto, si finirebbe per creare, in Italia, un sistema che sarebbe assai appetibile per i privati: eliminare di fatto, anche se non di diritto, il divieto di chiedere un pagamento ai disoccupati per il servizio di ricerca del lavoro, mascherando detto pagamento dietro il “voucher”, con l’ulteriore finzione di far apparire il tutto come un sistema “privato”, mentre il tutto sarebbe comunque finanziato da risorse pubbliche. Con l’ulteriore aggravante di rendere stabile un sistema di ricerca organizzato per tessere, conventicole e canali “privilegiati”.
BASTA CON LA DEMAGOGIA SUI CENTRI PER L'IMPIEGO. BASTA CON GLI ATTACCHI AL LAVORO PUBBLICO
Comunicato FP CGIL e CGIL
Ancora una volta sulle pagine di importanti quotidiani nazionali leggiamo del presunto fallimento dei Centri per l'impiego italiani e dell'alto costo del lavoro pubblico impiegato negli stessi centri.
Ancora una volta sulle pagine di importanti quotidiani nazionali leggiamo del presunto fallimento dei Centri per l'impiego italiani e dell'alto costo del lavoro pubblico impiegato negli stessi centri.
Basterebbe
fare un confronto tra il nostro e gli altri Paesi europei
sull'investimento di questi servizi per spiegare i limiti delle
nostre politiche attive. E non siamo certo noi a dire che il sistema
possa andare così com'è e che non serva una riforma dell'intervento
pubblico in questo settore.
La
cosa sorprendente è non comprendere come il dato sull'incrocio
domanda/offerta è solo uno degli indici che consentono di valutare
il sistema, in considerazione del fatto che il servizio di incrocio
domanda / offerta sia solo uno dei molteplici servizi offerti a chi
cerca lavoro ed alle aziende.
Sono
marginali tutti i servizi per il potenziamento dell'occupabilità dei
lavoratori? La gestione amministrativa delle crisi aziendali? Il
collocamento mirato dei disabili? Le attività informative e di
sostegno alla formazione? La consulenza alle aziende sui bandi di
finanziamento e sulle agevolazioni per le assunzioni?
Potremmo
continuare con un lungo elenco di attività, ma evidentemente a molti
fa comodo screditare il ruolo del pubblico in questo ambito
sostenendo che la gestione privata sia la panacea di tutti i mali.
Peccato che anche il settore privato abbia gli stessi limiti del
pubblico nonostante si limiti esclusivamente all'attività di
incrocio tra domanda ed offerta, peraltro puntando esclusivamente
sulle figure professionali appetibili sul mercato del mercato.
La cosa sconcertante è l'implicito attacco al lavoro pubblico. In questo settore lavorano migliaia di persone con grande professionalità, con stipendi bloccati da quattro anni e spesso in condizione di precarietà contrattuale. Pensare che la spesa del personale sia spesa sopprimibile in quanto non produttiva dei risultati sperati da qualche centro studi di parte è un torto a queste persone.
La cosa sconcertante è l'implicito attacco al lavoro pubblico. In questo settore lavorano migliaia di persone con grande professionalità, con stipendi bloccati da quattro anni e spesso in condizione di precarietà contrattuale. Pensare che la spesa del personale sia spesa sopprimibile in quanto non produttiva dei risultati sperati da qualche centro studi di parte è un torto a queste persone.
I
servizi per il lavoro sono uno dei capitoli fondamentali per
l'innovazione e qualificazione della pubblica amministrazione e di
importanza strategica in un paese che ha il nostro mercato del
lavoro, in cui la crisi sarà ancora lunga. Il pubblico deve svolgere
una funzione necessaria di accoglienza e presa in carico dei
cittadini in cerca di occupazione, che non può essere delegata.
Verbale iniziativa “I servizi per l’impiego nella crisi economica” Firenze, 26 novembre 2013
Introduce Bartolini (CGIL) sottolineando
l’opportunità di riflettere tutti insieme anche alla luce
dell’istituzione del gruppo di missione presso il Ministero del
Lavoro che si dovrà occupare della riforma.
Quiriconi (CGIL): è necessario fare il
punto della situazione alla luce di un dibattito politico in cui
manca un’idea strategica e coerente di riforma. Si ribadisce
l’importanza del servizio pubblico per l’impiego che deve gestire
le funzioni core. Alcune criticità che caratterizzano i CPI devono
essere affrontate ad esempio anche destinando maggiori risorse (come
sappiamo l’Italia spende meno di altri paesi europei). Per
rispondere alla domanda che arriverà a SPI a seguito dell’azione
Garanzia Giovani (ci si attende 50/60 mila giovani toscani) è
necessario un intervento di potenziamento.
Tutto questo è messo in discussione dalla riforma
delle Province, chi ne assolverà le funzioni?
La CGIL dovrebbe fare una vertenza generale per
rispondere ai fallimenti della legge che regola il funzionamento del
mercato del lavoro.
Bisogna anche contrastare la logiche delle gare al
massimo ribasso che ha lasciato a casa i lavoratori dei CPI della
Provincia di Massa – Carrara.
Chiediamo alla Regione di svolgere un ruolo più
attivo in questa fase di transizione ed al Governo un ruolo di
sostegno ai CPI.
Giomi (FP CGIL): sottolinea l’inadeguatezza
dei CPI non rispetto all’incapacità bensì alla scarsità di
investimenti strutturali che incidono anche negativamente sulle
politiche del personale (60% degli operatori sono precari in
Toscana).
16 persone a Massa – Carrara hanno perso il lavoro
a seguito dell’appalto dei SPI, un appalto che ha privilegiato il
ribasso economico. Lo stesso rischio corrono i lavoratori e le
lavoratrici del Circondario Empolese Valdelsa a cui sta scadendo il
contratto.
Carradori (precaria CPI Provincia di Pistoia):
evidenzia la presenza a Pistoia di precari con contratto a
tempo determinato da circa 10 anni (42 precari tra Lavoro, Formazione
e Istruzione), il cui il contratto scadrà nel 2015.
La cosa più drammatica è che, nonostante alcune persone avessero
i requisiti (definiti dal decreto 101) per poter essere stabilizzate
a domanda non è stato possibile intraprendere alcuna iniziativa
stante il blocco delle assunzioni imposto alle Province. Tale blocco
è da ritenersi iniquo ed anticostituzionale poiché pone
differenziazioni fondamentali a fronte del possesso degli stessi
requisiti. Si chiede alla Regione di farsi portatrice nelle sedi
appropriate delle richieste sulla costituzionalità dell’articolo e
che i diritti maturati dai rapporti di lavoro con la Provincia non
vadano persi, qualora si arrivasse alla formalizzazione del passaggio
alla Regione.
Un ultima riflessione riguarda le Province in cui si stanno
facendo gare di appalto, vinte giocando sulla professionalità di
lavoratori come ad esempio Massa – Carrara. E’ necessario che la
Regione stabilisca delle regole di base riguardo alle garanzia minime
anche retributive, che devono essere riconosciute ai lavoratori ed
alle lavoratrici.
Cotta (CPI Provincia di Livorno): è in atto da alcuni anni
un attacco forte ed una campagna denigratoria nei confronti dei
dipendenti della pubblica amministrazione e questo è evidente anche
nel dibattito sulle Province e sul futuro dei dipendenti (anche
precari). La campagna di denigrazione rappresenta un attacco nei
confronto dei servizi pubblici da parte di operatori privati che
vorrebbero gestire le risorse del FSE. I bassi livelli di
intermediazione tra D/O che spesso vengono citati negli articoli dei
quotidiani quale motivo principale di attacco ai servizi pubblici (ad
esempio articolo di Rizzo sul Corriere della Sera), sono frutto di
una serie di fenomeni non da ultimo la presenza del sommerso (stimata
al 21% del PIL) e la sottovalutazione delle molte attività e PAL
che i CPI erogano.
La contrazione delle risorse a cui si è assistito in questi anni
ha messo in discussione anche l’attività di stabilizzazione e di
garanzia per i lavoratori impegnati nei CPI della Provincia di
Livorno. Se nel 2008 sono stati stabilizzati alcuni lavoratori e
lavoratrici, dal 2010 la tendenza si è invertita ed è stato
necessario fare a meno dei consulenti psicologi (che si sono
trasformati in facilitatori) e ridurre gli orari di lavoro a 26 ore
settimanali (dalle 36 ore precedenti).
Si chiede alla Regione di svolgere un ruolo più attivo in
particolare si sottolinea la necessita di uniformare i servizi,
altrimenti si potrebbe andare incontro a situazioni come quella di
Massa – Carrara.
Bonafede (precaria CPI del CEV): denuncia la situazione di
preoccupazione dei precari alla scadenza del contratto (31 dicembre
2013) ed il “rimpallo” tra l’Unione dei Comuni e la Provincia
che non vogliono farsi carico di tale situazione che rischia di
vedere i SPI chiusi dal 2 gennaio 2014. Si chiede alla Regione
un’attività di mediazione nella soluzione del problema.
Simona (FIL di Prato): è necessario riflettere su tre
punti:
- è in atto un attacco ai SPI pubblici, una campagna di denigrazione che offende i lavoratori
- vi è una profonda incertezza sui CPI e sul futuro dei lavoratori
- è in atto un attacco nei confronti delle società in house senza distinzioni, senza riflettere sulle diverse realtà.
A tale proposito si chiedono tutele
per i lavoratori delle società in house e rispetto delle specificità
territoriali. Al sindacato viene richiesto di dettare le regole del
gioco e non di arrivare quando i giochi sono già stati fatti.
Trinchera (precario CPI Provincia di Firenze): partendo
dall’articolo di Rizzo, sottolinea la campagna denigratoria in atto
nei confronti dei SPI pubblici (il privato comunque non presenta
situazioni di eccellenza), delle Province e dei lavoratori, ponendo
l’accento comunque sull’importanza di servizi per il lavoro
gratuiti ed accessibili a tutti.
La politica ed il sindacato ad oggi non hanno messo in atto azioni
serie per contrastare questo attacco e per rilanciare l’importanza
di servizi per il lavoro e della formazioni pubblici. A tale
proposito è importante fare un’analisi critica ma anche di
promozione perché a volte la cittadinanza non conosce pienamente i
servizi erogati dalle Province.
Ricorda la costituzione di un coordinamento regionale dei precari
nel corso del 2013 e l’avvio di un coordinamento nazionale. Questo
a seguito della sensazione di solitudine ed abbandono percepita dai
precari in questa lotta che, viene sottolineato, non è solo una
lotta per la difesa del posto di lavoro e per la stabilizzazione, ma
è anche la lotta per la difesa dei servizi pubblici per il lavoro.
Maurizio (referente Agenzia per il lavoro): si comunica
che è stato costituito un tavolo tecnico delle agenzie che
condividono il modello toscano di servizio pubblico per l’impiego e
l’importanza di non disperdere l’esperienza degli operatori.
Del Vecchio (NIDIL CGIL Massa – Carrara):
denuncia la vicenda di Massa – Carrara che sta appaltando il
core dei SPI, e pertanto non è rafforzando ma indebolendo il ruolo
pubblico. Nel contempo sta buttando via un patrimonio di
professionalità ed esperienze maturate in questi anni dagli
operatori/consulenti a partita IVA che per più di dieci anni hanno
lavorato per la Provincia contribuendo a costruire i servizi per
l’impiego.
La responsabilità è della politica che ha permesso
tutto questo ma anche del mancato ruolo di coordinamento e di
controllo da parte della Regione.
Questo sta accadendo a seguito di una gara d’appalto
che ha privilegiato il ribasso: l’aggiudicataria ha infatti vinto
grazie ad un ribasso di 50 mila euro acquisendo punti sull’offerta
tecnica dell’avversaria che presentava un punteggio superiore di
più di 10 punti, questo grazie alla presenza dei CV di tutti i
lavoratori che in questi anni hanno svolto la propria attività
presso il CPI di Massa. Persone che hanno scelto la società in base
alle migliori garanzie offerte in termini di diritti e di
retribuzioni, messe nero su bianco in un precontratto.
Ciò deve fare riflettere su questo tipo di
operazioni che ledono non solo la dignità dei lavoratori ma anche la
qualità dei servizi.
Simoncini (Assessore Regionale Lavoro della
Toscana): si sottolinea la confusione istituzionale, creata dal
riordino Monti delle Province, azzerato dalla sentenza della Corte
Costituzionale. Forse entro dicembre arriverà la decisione
sull’esistenza o meno delle Province e sulle competenze.
Ieri il Parlamento ha approvato la ripartizione del
budget per i fondi strutturali 2014 – 2020 che sarà pubblicato
entro il 31 dicembre, per questo il 2014 sarà un anno vuoto dal
punto di vista dei fondi strutturali. A tale proposito la Regione sta
mettendo in campo 85 milioni di euro come anticipazione per i fondi
strutturali, al fine di garantire una continuità delle attività e
dei contratti.
Quale futuro per i CPI? Il sistema attuale non regge e non per
quello che scrivono i giornali. Senza dubbio ci deve essere
un’integrazione tra pubblico e privato, in cui sia garantito un
ruolo centrale di governo e di controllo pubblico.
Non regge un sistema in cui metà dei lavoratori non
hanno certezze, in cui non è garantita la continuità nel tempo, i
servizi pubblici per funzionare devono avere prima di tutto una
pianta organica stabile.
Inoltre non può funzionare un sistema in cui
esistono 110 realtà e modi di organizzare i CPI, come accade in
Italia (10 soltanto in Toscana).
Anche nelle realtà in cui si intermedia di più non
vengono raggiunte le medie di altri paesi semplicemente perché nel
nostro paese si spende molto meno.
Il tema dell’organizzazione dei servizi al lavoro
non è rinviabile. La Giunta Regionale nel DPEF 2014 ha stabilito
cosa ha intenzione di fare qualora si vada al superamento delle
Province. L’idea è quella di un’Agenzia Regionale per il lavoro
che dovrebbe essere parte di un sistema nazionale (agenzia
nazionale). A tale proposito è necessario stabilire, a livello
nazionale, i livelli minimi di prestazioni a cui si devono associare
le minime piante organiche garantite.
L’Agenzia Nazionale deve svolgere funzioni di
supporto e di sostituzione nei confronti delle regioni che non
riescono a svolgere bene le loro attività.
Nell’agenzia regionale per il lavoro confluiranno
i dipendenti delle Province e degli appalti in essere nella fase
transitoria. Obiettivo del 2015 è pertanto quello di far partire
l’Agenzia regionale con i CPI concepiti come strutture operative
anche in grado di rilevare i fabbisogni formativi. Per fare tutto
questo ed essere in grado di attivare la Garanzia Giovani, è
necessario avere risorse aggiuntive anche in termini di personale.
Ovviamente non realistica l’attuazione del disegno
di legge Del Rio laddove ipotizza un ruolo dei Comuni. Il superamento
delle Province ed il passaggio di competenze necessita un incremento
di risorse a disposizione.
Si prende atto delle segnalazioni fatte in
particolare da parte dei lavoratori e delle lavoratrici di Empoli, a
tal proposito si comunica che, a seguito dell’assegnazione delle
risorse all’Unione dei Comuni, la situazione è risolta. Verrà
comunque fatta una verifica con il Presidente.
Serena Sorrentino (segreteria nazionale Cgil)
Ha fatto un'analisi puntuale del servizi al lavoro, ha chiarito come
tagliare la spesa pubblica abbia due ricadute immediate: taglio
dell'organico e spostamento della possibilità di avere quel servizio
sul mercato.
Lei ritiene che i servizi per il lavoro siano i più
innovativi tra i servizi pubblici.
Secondo analisi economiche si prevede che il 2014
sarà peggiore del 2013, e avremo una perdita ancora maggiore di
posti di lavoro. Investire sul servizio pubblico è il primo fattore
anticiclico, cioè permette di iniziare ad invertire le crisi.
Le politiche di incentivi alle assunzioni
non hanno prodotto niente, la disoccupazione sarà ridotta solo da un
aumento della domanda di lavoro. Il problema di oggi è la
costruzione di politiche che invertono la tendenza in atto e c’è
un disorientamento generale a questo proposito, si parla di tagli
senza pensare a come poi saranno organizzate le funzioni. I servizi
per il lavoro sono politiche articolate, per questo si parla di
governance: vanno dalla presa in carico, all’orientamento, alle
politiche formative ecc, una gamma di servizi che presuppone il
possesso di tutta una serie di competenze.
La CGIL intende inoltre parlare di livelli
essenziali, non di livelli minimi. Rispetto ad un’Agenzia nazionale
la CGIL chiederà degli standard sui livelli di accreditamento, sulla
garanzia di finanziamento (non soltanto dalla programmazione FSE), su
i livelli essenziali.
A livello ministeriale si hanno idea poco
chiare su come “gestire” i servizi soprattutto in previsione
della “Garanzie per i Giovani”, che l'Europa ha vincolato al
servizio pubblico, per ora sono previste due azioni da proporre i
Tirocini e la Carta del Lavoratore, cioè una specie di Libretto
Formativo, non è possibile estendere a tutta Italia la
sperimentazione del Libretto (che stiamo facendo anche in Toscana)
perchè i sistemi operativi sono completamente diversi, visto che in
Italia ci sono 110 modelli di servizi al lavoro e solo in Toscana
sono 10.
L’UE dà indicazioni sul fatto che chi
sperimenta la “Garanzia per i Giovani” ha l’obbligo di
potenziare i servizi per il lavoro e l’idea del Governo è che su
tale programma si va a misurare la riorganizzazione dei servizi per
il lavoro, ma si tratta piuttosto di un segmento minimale che fa
riferimento a risorse straordinarie che non potranno essere
continuative nel tempo.
È necessario ampliare l’offerta dei
servizi pubblici per il lavoro, aumentare la qualità del pubblico
farà aumentare anche la qualità del privato concorrente. Ed è
necessario convincere le imprese: i servizi per il lavoro sono
servizi qualificati, innovativi e sono rivolti a lavoratori ed
imprese.
Coordinamento Precari in Provincia
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