Estratto dell'intervento di Poletti
Seduta n. 14 di Mercoledì 11 marzo
2015
Questo tema è
particolarmente rilevante perché, a partire dalla scelta assunta e
definita dal Governo per quello che riguarda la necessità di
lavorare intensamente in direzione di politiche attive, la
strumentazione e la rete dei servizi sono una condizione
indispensabile rispetto alle misure che eventualmente possono essere
assunte, ossia agli strumenti economici che possono essere messi a
disposizione di queste politiche. Se non c’è un'infrastruttura
gestionale capace di produrre le condizioni, anche le stesse misure
che possono essere adottate rischiano di perdere molto valore e
significato. Pertanto, il tema dei servizi per l'impiego e della
relativa strumentazione è particolarmente rilevante.
Da
questo punto di vista, peraltro, va detto che questo tema è
particolarmente presente anche nella dimensione europea. Posso
confermarlo a seguito del lavoro svolto con gli altri ministri del
lavoro nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea,
perché intorno, in particolare, al tema della Rete europea dei
servizi per l'impiego c’è stata una discussione importante. Ci
sono stati interventi nel corso del semestre che hanno fatto sì che
questa rete venisse rinnovata nei propri impianti e nei propri
servizi.
Questo tema è riferibile anche alla mobilità
delle persone. Nella vita dei lavoratori e nella dimensione europea
questa è, dunque, una questione particolarmente rilevante. C’è
anche un tema molto forte relativo alle banche dati e agli elementi
di informazione europei su questo versante, proprio perché si
innesca questo dato.
C’è, dunque, un primo elemento
nelle politiche europee che chiede di sviluppare la Rete europea dei
servizi pubblici per l'impiego e poi c’è EURES, la rete europea
che eroga servizi nella dimensione europea. Abbiamo, quindi, un dato
nazionale, ma anche un dato europeo particolarmente rilevante.
C’è
poi una problematica di tipo istituzionale, che credo non sfugga a
nessuno. Noi partiamo, in questo momento, da una situazione piuttosto
particolare e relativo al Titolo V e all'articolo 117 della
Costituzione, perché abbiamo in essere una condizione di fatto, a
Costituzione vigente, che che prevede competenze regionali e
nazionali per quanto riguarda le politiche attive e competenze
nazionali per quanto riguarda le politiche passive.
Qui c’è
già un primo significativo problema che va affrontato e risolto,
perché, se non si produce un dialogo sistematico e una capacità di
co-agire delle politiche attive e delle politiche passive, la storia
ci insegna che tendenzialmente finiscono per prevalere le politiche
passive. Producendo fondamentalmente trasferimenti monetari pressoché
automatici, o comunque connessi a indici e a parametri, esse non
hanno bisogno di una lavorazione particolarmente significativa.
Pertanto, c’è una propensione a far sì che alla fine prevalga la
logica degli interventi di politiche passive.
Siamo di
fronte a una storia istituzionale piuttosto particolare, perché noi
veniamo da una rete nazionale che era il collocamento pubblico. Poi
c’è stato un passaggio alle regioni, con la trasformazione del
collocamento pubblico nei centri per l'impiego. Su questomonopolio
pubblico, si è innescata una modifica normativa, che ha consentito
la realizzazione e l'accreditamento delle agenzie per il lavoro.
Questo è, stato, quindi il primo mix di collaborazione tra
pubblico e privato su questo versante.
Poi c’è stata una
parte che abbiamo considerato, io credo, in maniera non ancora
sufficiente, cioè l'intervento del decreto legislativo n. 276 del
2003 che, in sostanza, ha fatto sì che gli istituti scolastici, le
università e i consorzi universitari, ai sensi dell'articolo 6,
siano autorizzati a svolgere attività di intermediazione di lavoro e
a sviluppare al loro interno attività di orientamento al lavoro, di
vero e proprio career service, sfruttando la posizione
privilegiata nell'indicare le aziende e i giovani in possesso dei
curricula scolastici e universitari più adatti al profilo
ricercato.
In quella fase, quindi, noi abbiamo allargato
l'ambito dei protagonisti potenziali di quest'attività a soggetti,
come appunto le università, che in alcuni casi hanno realizzato
questi centri di servizio, ma che, in molti altri casi, non l'hanno
fatto.
Qui si propone un problema. Io credo, per esempio,
che sia giusto, in prospettiva, che ogni università si organizzi per
gestire e promuovere, per quanto possibile, la relazione tra i propri
laureati, le persone che studiano in quegli istituti e il mondo
dell'impresa. Questo dialogo bilaterale tra impresa, sistema della
formazione e sistema universitario, si realizza anche attraverso
questa modalità.
Pertanto, abbiamo una norma, che forse è
la più recente da questo punto di vista, che ha visto un gruppo
importante di università cogliere l'opportunità e utilizzarla e
altre università farlo in maniera meno incisiva. Si propone
potenzialmente un problema di sviluppo ulteriore.
Da questo
punto di vista noi sappiamo che la gestione dei centri pubblici per
l'impiego e, quindi, delle politiche attive gestite in quella sede è
stata delegata dalle regioni alle province. I centri pubblici per
l'impiego, quindi, di fatto, in termini di operatività, nella
stragrande maggioranza dei casi sono stati gestiti e assegnati alle
amministrazioni provinciali. Oggi si pone, quindi, una condizione di
problematicità, perché all'interno della dinamica della modifica
normativa si riapre una fase per la quale è necessario rideterminare
una prospettiva futura per quanto riguarda i servizi per l'impiego e
la responsabilità e la competenza in materia.
Tornando al
ragionamento che avevo avviato intorno al tema della riforma della
Costituzione, ieri è stato approvato alla Camera il disegno di legge
di riforma costituzionale, il cui articolo 31 riassegna a livello
centrale la competenza per quello che riguarda le politiche attive,
oltre che la sicurezza sul lavoro. Siamo in un divenire che, da
questo punto di vista, ci propone sicuramente un problema di gestione
della transizione. Siamo, cioè, in una fase, da una parte, di
passaggio istituzionale che prevede il superamento delle province e,
dall'altra, di passaggio costituzionale.
In terzo luogo,
nel momento in cui noi riorganizziamo il sistema delle tutele e
vogliamo puntare sull'impianto dei servizi per l'impiego, diventa
molto delicato garantire la continuità, l'efficacia e, per quanto
possibile, l'ammodernamento e il potenziamento dei medesimi servizi.
Il quadro, dunque, è oggettivamente piuttosto complesso. Stiamo
lavorando su questa materia con la volontà di preservare l'attività
in essere e di potenziarla, per quanto possibile.
L'ultima
considerazione che posso fare su questo versante riguarda l'assetto
attuale che prevede il coinvolgimento di operatori pubblici, privati
e delle istituzioni scolastiche e sociali, perché anche le
associazioni degli imprenditori e i sindacati sono, secondo
l'articolo 6 del decreto legislativo n. 276 del 2003, soggetti
potenzialmente in grado di svolgere attività per favorire il
matching, ossia l'incontro tra lavoratori e imprese.
Pertanto, oggi il parco dei soggetti pubblici, privati e
del privato sociale potenzialmente in grado di agire su questo
versante è significativamente largo. Il problema vero è trovare i
punti di nesso, i collegamenti e la capacità di far sì che ogni
soggetto, nell'ambito della propria competenza, possa sviluppare al
meglio la propria azione. Direi che questo è un punto di partenza
assolutamente importante.
Passiamo ai dati
sull'intermediazione dei servizi pubblici e privati. Credo che voi
avrete sicuramente avuto l'opportunità con altri soggetti di avere
qualche elemento di informazione sul punto, ma, pur molto
velocemente, vorrei proporvi una riflessione.
Noi sappiamo
che l'intermediazione e, quindi, la possibilità di trovare
un'occupazione è, per larga parte, affidata all'informalità, ossia
a sistemi relazionali che sono al di fuori della strumentazione
istituzionalmente competente. Anche se sommassimo ciò che viene
intermediato dai servizi pubblici, quello che viene intermediato
dalle agenzie private e ciò che passa attraverso le università e le
scuole, arriveremmo sempre e comunque un numero significativamente
più basso di quello relativo alle situazioni che vengono «risolte»
in una relazione bilaterale tra il cittadino, il giovane, il
lavoratore e sistemi relazionali o altri meccanismi che intervengono.
Oggi ha assunto un significato non banale la strumentazione
posizionata sulla rete e, quindi, i siti specializzati, i soggetti
che intermediano per via telematica queste attività. Anche se
mettessimo insieme tutti questi strumenti, comunque saremmo sempre a
una quota limitata rispetto alla «relazione» diretta e informale.
Detto questo, però, c’è un dato interessante: i centri
pubblici per l'impiego hanno, nell'ultimo periodo, dentro la crisi,
mantenuto un livello di presenza coerente con la loro storia e, se
vogliamo, si sono leggermente rafforzati. Abbiamo avuto una risposta
secondo cui un numero piuttosto significativo di cittadini ha
comunque utilizzato la strumentazione pubblica.
Infatti, i
dati ci dicono che quattro cittadini su dieci dichiarano di aver
utilizzato anche i centri per l'impiego durante la fase di ricerca
del lavoro. Quando diciamo «anche», questo significa che molti
cittadini che cercano lavoro usano una pluralità di strumenti, non
si affidano a un unico strumento. Usano, quindi, la rete, ma usano
anche il centro pubblico per l'impiego, l'agenzia per il lavoro
interinale e tutto quello che hanno a disposizione. Nell'ambito di
questa pluralità di strumenti il centro pubblico per l'impiego
continua a essere un soggetto che ha un suo significato e una sua
affidabilità, dal momento che quattro cittadini su dieci ci
confermano che al centro per l'impiego pubblico ci vanno.
Questo
non può essere certamente considerato soddisfacente, anche perché
stiamo parlando, in ogni caso, del 4 per cento circa dei lavoratori
che sono intermediati e collocati dai centri pubblici per l'impiego.
Tuttavia, questa presenza ha ancora una sua significatività. Siamo
più o meno nella stessa media degli altri strumenti.
Peraltro,
anche le Agenzie non collocano chissà quanti lavoratori:, collocano
anche loro il 3,5-4,5 per cento dei lavoratori intermediati. I centri
pubblici per l'impiego non sono lontanissimi dalle performance
degli altri soggetti, tuttavia, poiché si tratta di centri pubblici,
noi continuiamo a pensare che dobbiamo fare del nostro meglio e tutto
ciò che è possibile perché migliorino le proprie performance.
Comunque, il dato sul loro funzionamento è confermato.
Abbiamo
poi un dato che riguarda la situazione dei servizi sul territorio.
Secondo l'ultima analisi, che risale al 2013, ci sono circa 550
centri per l'impiego distribuiti nel nostro Paese. Questa
distribuzione non è omogenea. Ovviamente, ha alcuni punti di
concentrazione specifici e anche una situazione piuttosto peculiare
in termini di dimensione.
Quando sono partiti i centri per
l'impiego, c'era più o meno un parametro di 100.000 utenti. Il dato
di fatto è che la realtà si è incaricata di creare una
distribuzione molto diversa: ci Pag. 9sono molti centri – la
maggioranza – che hanno un'utenza più bassa dei 100.000 previsti e
c’è una quantità più ridotta che, invece, ha un numero di utenti
significativamente più alta.
Naturalmente, questa
situazione è figlia anche delle concentrazioni urbane,
classicamente. È chiaro che il centro per l'impiego posizionato a
Roma o a Milano ha un potenziale palesemente diverso da quello di
comunità distribuite territorialmente su ambiti territoriali vasti,
ma con un basso numero di popolazione e, quindi, anche di popolazione
attiva. Comunque, questo è il dato che abbiamo sotto gli occhi: ci
sono quindi oltre 550 centri per l'impiego.
Dall'altra
parte, per quello che riguarda le agenzie per il lavoro, noi abbiamo
un dato che ci consegna 2.361 agenzie, comprese le filiali. Voi
sapete che qui c’è l'accreditamento. Sono tutte cose note. Da
questo punto di vista, però, dobbiamo rilevare che la stragrande
maggioranza delle 2.361 agenzie è registrata come somministrazione
di lavoro di tipo generalista.
Se andiamo a vedere alcune
specializzazioni di ricerca e selezione del personale, invece,
notiamo che ne abbiamo meno di 700. Se andiamo a guardare qualcosa
che ci interessa molto in termini di supporto alla ricollocazione
professionale, ne troviamo un numero significativamente più basso,
222.
Pertanto, anche nella rete delle agenzie per il lavoro
c’è un numero molto largo di strutture generaliste e un numero
significativamente più ristretto di sezioni specialistiche,
funzionali, per esempio, ad alcune delle logiche che noi sosteniamo
in termini di collaborazione alla collocazione o alla ricollocazione
del lavoro.
I numeri sono importantissimi, perché parliamo
di migliaia strutture. Probabilmente, però, in prospettiva futura,
esisterà anche per le agenzie per il lavoro un tema di
rifocalizzazione della propria missione, perché il passaggio dalla
missione generica alla missione specialistica pone il tema delle
competenze, delle capacità, dei sistemi relazionali e dei modelli
organizzativi.
Da questo punto di vista abbiamo un dato che
è noto, ma che io credo possa essere opportunamente segnalato. È il
dato secondo cui le agenzie hanno una fortissima concentrazione in
alcune aree del Paese, in particolare Lombardia, Veneto,
Emilia-Romagna e Piemonte, per citare le quattro regioni, di cui la
Lombardia è quella che fa la parte del leone, che hanno il massimo
di concentrazione delle agenzie.
È chiaro che siamo di
fronte a una relazione diretta con le dinamiche e con la dimensione
di quei mercati: sono agenzie che vanno a cercare il mix, il
matching, la relazione tra fabbisogno dell'impresa e
opportunità di collocazione e si posizionano laddove il mercato
consente loro di trovare uno sbocco economicamente efficiente.
Questo, però, produce un effetto problematico, da un certo
punto di vista, se guardiamo la. Tale effetto va corretto, perché
rischiamo di avere una concentrazione specifica di strumenti in
alcune aree del Paese, in cui effettivamente la dimensione
dell'impresa e i problemi dell'occupazione hanno una specifica
caratura – mi riferisco all'Italia settentrionale – e, invece, di
avere un'inadeguata presenza di strumentazioni sia pubbliche, sia
private in un'altra parte del Paese.
Prima di sostenere che
abbiamo un buon mix pubblico-privato dobbiamo anche andare a
vedere dove si realizza e come, perché rischiamo di avere
un'iperconcentrazione di servizi in alcune aree e di avere, invece,
un'insufficienza in altre. Tutti questi elementi vanno, quindi,
tenuti contemporaneamente in considerazione per evitare di trovarci
di fronte a una situazione di problematicità.
Da questo
punto di vista va segnalato un dato. Le politiche regionali intorno
al tema delle agenzie per il lavoro non sono state tutte uniformi.
Abbiamo avuto regioni che hanno spinto e utilizzato con molta forza
questa possibilità e altre che l'hanno fatto molto meno. Un'altra
delle ragioni per lo sviluppo più o meno forte di queste
strumentazioni è correlato al fatto che in loco ci sia
stata una volontà esplicita di utilizzare tali strumentazioni o
meno.
Da questo punto di vista io credo che si possa dire
che il programma Garanzia giovani ha aiutato nella direzione di
estendere e utilizzare queste strumentazioni in maniera più diffusa
a livello nazionale. I dati ci dicono che alcune regioni che non
avevano regolato o costruito accordi con le agenzie l'hanno fatto per
gestire il programma Garanzia giovani. Il fatto che si sia ampliato
il ricorso a questi strumenti e che, quindi, oggi sia praticamente
quasi completata la copertura a livello nazionale da questo punto di
vista è un elemento positivo, perché quantomeno l'infrastruttura
c’è.
Quanto possa produrre e come è un altro problema,
ma fino a ieri non avevamo neanche l'accreditamento regionale, o non
avevamo neanche la disponibilità o la volontà di agire su questo
versante. Io credo che questo sia un elemento che va colto e che oggi
ci indica di fatto che in tutta la dimensione nazionale il tema è
stato affrontato.
Svolgo due rapidissimi commenti nella
comparazione tra la situazione del nostro Paese e le scelte degli
altri Paesi europei.
I dati evidenziano in termini molto
chiari come molti Paesi europei abbiano da tempo fatto la scelta dei
servizi per l'impiego e delle politiche attive. Se si guardano i
dati, si può verificare che ci sono situazioni diverse da un Paese
all'altro. Cito un caso in maniera preliminare: la Germania. Se si va
a vedere il dato sulla spesa per le politiche attive sul PIL, Pag.
12notiamo un numero relativamente basso, ma dentro quel numero basso
la spesa per i servizi per l'impiego è molto alta.
C’è,
quindi, una sorta di effetto collaterale. Nei Paesi in cui c’è una
spesa molto alta per i servizi, è necessaria una minore spesa per le
politiche dirette, ossia per i sussidi e per altri strumenti.
Ci
sono altri Paesi che spendono una percentuale di PIL più alta della
Germania, come Francia e Inghilterra, ma questi hanno percentualmente
meno spesa sui servizi e più spesa sulle politiche.
Anche
all'interno del dato sulla spesa di un Paese per le politiche attive
è interessante, quindi, andare a vedere su una quota pari a 100
quanto è speso per politiche, ossia per incentivi e strumenti, e
quanto per i servizi. Rileviamo anche qui una differenza piuttosto
significativa.
Questa tendenza a lavorare sugli strumenti è
piuttosto omogenea a livello europeo e su questo versante il nostro
Paese non sta bene. L'Italia è praticamente penultima in Europa
rispetto alla spesa per i servizi per il lavoro nel periodo
2007-2012. Siamo in una situazione che ha bisogno di essere
ribilanciata in maniera assolutamente molto forte perché, da questo
punto di vista, il dato non può essere assolutamente considerato
adeguato.
Noi abbiamo, peraltro, anche qui un dato di trend
che non è positivo. Se si guarda la relazione tra gli addetti ai
servizi per l'impiego e gli utenti, vediamo, infatti, che il numero
degli utenti rispetto alle persone impiegate nei servizi nel nostro
Paese tende ad aumentare, ma non perché abbiamo più gente occupata,
più gente da occupare o più gente che usa i servizi, bensì
semplicemente perché nel tempo si riduce gradualmente il numero
degli addetti ai centri per l'impiego. Quindi, un Pag. 13centro per
l'impiego che ha uno, due o tre dipendenti in meno e ha gli stessi
utenti produce, in esito automatico, che quelli che restano abbiano
un numero più alto di utenti.
Da questo punto di vista
vediamo, invece, che in alcuni altri Paesi è successo l'opposto,
ossia c’è stato un investimento sui centri e i servizi per
l'impiego per cui l'incremento di personale operato sui centri per
l'impiego ha prodotto l'esito opposto, ossia che per ogni addetto il
numero dei potenziali utenti si sia ridotto.
Qui c’è una
conferma indiretta della considerazione che facevo prima, ovvero che
c’è stata strutturalmente nel tempo una riduzione del peso, del
significato e del valore dell'attività dei centri pubblici,
confermata da questo dato.
L'ultima questione che vi vorrei
proporre, l'ultimo approfondimento, riguarda il tema specifico della
legge-delega per l'istituzione dell'Agenzia nazionale per
l'occupazione e il collegamento di questa scelta alle politiche e
alle scelte che abbiamo fatto e che faremo nei decreti delegati per
l'attuazione della delega.
La legge n. 183 del 2014
prevede, per rafforzare il coordinamento e l'efficienza dei servizi
per l'impiego, l'istituzione di un'Agenzia nazionale per
l'occupazione con competenze specifiche in materia di servizi per
l'impiego, politiche attive e ASpI, ossia per le politiche passive.
In termini di impianto, guardando l'Europa, vediamo che
quasi tutti i Paesi hanno un modello di organizzazione che prevede,
da un lato, un istituto che si occupa della previdenza e, dall'altro,
un istituto che si occupa delle politiche attive e delle politiche
passive.
Il nostro Paese non è organizzato in questo modo.
Oggi l'istituto che si occupa di previdenza si occupa anche delle
politiche passive, mentre delle politiche attive si occupano le
regioni, con la competenza che conosciamo e con la corresponsabilità
nazionale per quello che riguarda alcuni elementi relativi alla
pianificazione nazionale.
Questa è una prima diversità
che va tenuta in considerazione, soprattutto perché esiste un primo
problema di infrastruttura informativa. Oggi nel nostro Paese il
massimo di informazione è concentrato nelle banche dati di tipo
previdenziale e assicurativo. Per immaginare un nuovo assetto che
riguardi le politiche attive abbiamo bisogno di costruire una
strumentazione che sia capace di farci leggere tutte le dinamiche che
si realizzano. Qui si rileva, dunque, questo primo elemento di
eccentricità.
Rispetto agli altri Paesi, quindi, noi
abbiamo una situazione diversa, che oggi è costruita in questo modo.
Nel ragionare sulla nuova Agenzia, dovremmo, dunque, interrogarci su
come affrontare questo tema, perché è lì, è un dato di fatto. Noi
dovremmo chiederci come affrontarlo e risolverlo, avendo chiaro per
noi che è solo dalla capacità di co-agire delle politiche passive e
delle politiche attive dei servizi che si può ottenere un buon
risultato. Dobbiamo trovare il modo per produrre questa condizione.
Passiamo alla legge n. 183 del 2014 e a ciò che prevede.
Rapidamente, vi ricordo quello che ci dice la delega: in buona
sostanza, quest'Agenzia dovrà essere partecipata da Stato, regioni e
province autonome e sarà sotto il controllo e la vigilanza del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
È chiaro
che la stesura della delega è avvenuta in un contesto costituzionale
che è quello attuale. Per esempio oggi ci si potrebbe chiederci
perché ci sia una previsione che riguarda le regioni nell'Agenzia
nazionale. Nel momento in cui questa norma è stata scritta, la
Costituzione italiana, come è oggi, continua a prescrivere che le
politiche attive siano di competenza delle regioni. Se si pensa di
fare un'Agenzia nazionale che si occupi di politiche attive, è del
tutto ovvio che sia prevista una collaborazione e una partecipazione
delle regioni.
In una situazione diversa si potrebbero fare
valutazioni diverse, ma queste sono coerenti con l'impianto
normativo, e doverosamente tali. Faccio questa sottolineatura solo
perché ogni tanto questo tema ritorna, ma è figlio di questo
contesto, ossia del fatto che noi facciamo questa discussione in
itinere rispetto a una riforma costituzionale che ha aperto
un punto di riflessione su questo punto. Quest'Agenzia presenta,
dunque, queste caratteristiche.
Nella definizione delle
linee di indirizzo di azione dell'Agenzia è previsto il
coinvolgimento delle parti sociali. Naturalmente, devono essere
previsti meccanismi, come dicevo prima, di raccordo, per un verso,
tra l'Agenzia e l'INPS, sia a livello centrale, sia a livello
territoriale, al fine di integrare maggiormente le politiche attive e
le politiche di sostegno al reddito, e, per un altro verso, tra
l'Agenzia e gli enti che a livello centrale e territoriale esercitano
competenze in materia di incentivi all'autoimpiego e
all'autoimprenditorialità. Si pone, quindi, il tema della
connessione da questo punto di vista.
La legge n. 183 del
2014 stabilisce, inoltre, il potenziamento dei servizi per l'impiego
pubblici valorizzando le possibili sinergie con le agenzie per il
lavoro private al fine di rafforzare la capacità di incontro tra
domanda e offerta di lavoro, in piena continuità, peraltro, con
quanto delineato dalla legge n. 30 del 2003.
In questo
senso si prevede l'introduzione di strumenti e forme di remunerazione
proporzionati alla difficoltà del collocamento, a fronte
dell'effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di
fondi regionali a ciò destinati. In Pag. 16buona sostanza, si
ipotizza in termini espliciti nella delega che i soggetti che
agiscono in questo campo abbiano una «remunerazione», per una quota
quantomeno, connessa al risultato prodotto. Si ipotizza, quindi, che
per una parte siano costi «collegabili» all'erogazione di un
servizio, ma, per un'altra parte particolarmente rilevante, essi
siano connessi al risultato: se si produce un esito, si ottiene una
remunerazione e, se non si ottiene l'esito, quella remunerazione non
c’è. Siamo, quindi, in un contesto di collaborazione-competizione,
da questo punto di vista.
Al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali viene assegnato, infine, il compito di verificare e
controllare il rispetto della fruizione dei livelli essenziali delle
prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio
nazionale.
Non torno sul tema della riforma costituzionale,
perché ne abbiamo già parlato. Debbo dire che in questa fase, anche
in conseguenza del passaggio di tipo istituzionale di cui parlavamo –
mi riferisco alla questione delle province e alla fase di interregno
che in qualche misura si produce – la legge di stabilità del 2015
prevede, al fine di consentire, da una parte, la continuità del
regolare svolgimento dei servizi per l'impiego e, dall'altra, la
piena attuazione del piano Garanzia giovani, una disciplina speciale
per il personale degli enti adibito a servizi per l'impiego e
politiche attive del lavoro, attraverso il finanziamento della spesa
per il personale a tempo indeterminato e per le proroghe per i
contratti a tempo determinato e per le collaborazioni coordinate e
continuative.
In particolare, viene previsto, che le città
metropolitane e le province, a seguito o nelle more del riordino
delle funzioni fondamentali previste dalla legge, da deliberarsi da
parte delle leggi regionali, continuino a esercitare le funzioni e i
compiti relativi ai servizi per l'impiego e le politiche attive del
lavoro. La disciplina speciale per il personale dedicato a queste
funzioni va messa in interrelazione con il riordino della normativa
in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, così come
prevista dalla legge-delega.
Naturalmente, non riprendo il
fatto che questa legge prevede l'istituzione dell'Agenzia, per il
funzionamento della quale si prevede, peraltro, la possibilità di
utilizzare e di far confluire in via prioritaria nei ruoli delle
amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale proveniente
dalle amministrazioni o dagli uffici soppressi o riorganizzati.
Questo personale, come sottolineato dalla circolare del Dipartimento
della funzione pubblica, seguirà il percorso di ricollocazione
separato, da definire in sede di attuazione della legge n. 183 del
2014, secondo i criteri di delega precedentemente citati.
La
legge di stabilità per il 2015, infatti, autorizza le città
metropolitane e le province a finanziare, a valere sui piani e sui i
programmi nell'ambito dei fondi strutturali, le seguenti fattispecie:
rapporti di lavoro a tempo indeterminato, rendendo possibile
finanziare le spese per il personale di ruolo adibito ai servizi per
l'impiego e le politiche attive del lavoro, il che determina, nelle
more del riordino delle funzioni, un effetto positivo sul bilancio
degli enti in questione; la proroga dei contratti di lavoro a tempo
determinato e la prosecuzione dei contratti di collaborazione
coordinata e continuativa che siano strettamente indispensabili per
la realizzazione di attività di gestione dei fondi e interventi da
essi finanziati. Si tratta di rapporti di lavoro finanziati a valere
sui fondi dell'Unione europea a cui gli enti fanno ricorso per
garantire la continuità del servizio.
Il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali ha adottato, per quanto di sua
competenza, gli atti collegati con la parte della norma che autorizza
lo stesso dicastero, nei limiti di 60 milioni di euro, a valere sul
Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al
Fondo sociale europeo, a concedere anticipazioni delle quote europee
di cofinanziamento nazionale dei programmi a titolarità delle
regioni cofinanziati dall'Unione europea con i fondi strutturali. Per
la parte nazionale le anticipazioni sono integrate al fondo a valere
sulle quote di cofinanziamento nazionale riconosciute per lo stesso
programma a seguito della relativa rendicontazione di spesa.
In
buona sostanza, abbiamo cercato di produrre una condizione per la
quale in questa fase intermedia ci sia comunque la possibilità di
mantenere economicamente coperti i costi per la gestione dei servizi
per l'impiego.
Nei prossimi giorni avvieremo un confronto
con le regioni e le province autonome, allo scopo di analizzare le
residue problematiche relative al mantenimento in esercizio dei
centri per l'impiego, nonché alla definizione di un'ordinata
transizione verso il nuovo assetto delle politiche attive del lavoro
delineate dalla legge n. 183 del 2014 anche dentro il contesto
normativo e costituzionale che si propone.
Concluderei il
mio intervento formulando un'osservazione che fa riferimento al
lavoro svolto in questi mesi dai centri per l'impiego in connessione
con la realizzazione del programma Garanzia giovani.
È
stato fatto un lavoro molto importante. Alla data del 5 marzo 440.000
giovani si sono registrati. Rappresentano il 78 per cento del target
su cui abbiamo la possibilità di intervenire. Girano dati di diverso
tipo – 1,7 milioni, 2,5 milioni e via elencando – ma il Piano
operativo nazionale Garanzia giovani ha un suo target di
riferimento e ha una quantità di risorse pari a 1,5 miliardi di
euro, che è in grado di coprire la domanda di 560.000 giovani. Noi
oggi, quindi, abbiamo 400.000 giovani registrati e ancora dieci mesi
di registrazioni possibili. Abbiamo un flusso sistematico di circa
10.000 giovani a settimana che entrano nel programma Garanzia
giovani. Se questo ritmo venisse mantenuto fino alla fine del
periodo, noi avremmo circa 800.000 giovani registrati.
Pertanto,
il rischio che viene paventato e che, secondo me, è giusto tenere in
grande attenzione, relativo al fatto di non usare le risorse europee
che ci sono assegnate, se guardo questi dati, mi pare non sia un
rischio concreto. Probabilmente abbiamo esattamente il problema
opposto, ossia avremo bisogno di ulteriori risorse se vorremo
concedere a tutti i giovani la stessa opportunità – avendo fatto
questa scelta, è ciò che dovremmo fare – al punto che oggi
possiamo dire che, dal punto di vista del programma di attuazione,
950 milioni di euro di risorse, che corrispondono al 63 per cento del
totale, sono già stati impegnati nei programmi attuativi delle
regioni. Questi programmi sono già stati deliberati e i bandi sono
stati emessi. Ad oggi la situazione è questa.
Teniamo
conto che la chiusura delle registrazioni è prevista alla fine del
2015 e che poi il progetto ha altri due anni davanti per realizzare
le politiche previste dal Piano. Io non credo che noi impiegheremo
due anni. Credo che realizzeremo il nostro obiettivo
significativamente prima, ma, per essere tutti consapevoli delle
quantità e dei tempi, quelli sono le quantità e i tempi che
l'Europa ci consegna.
Noi abbiamo un problema diverso. Come
Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel corso del
semestre di presidenza europea, abbiamo chiesto agli altri ministri e
all'Europa di rendere strutturale questo programma e di rifinanziarlo
anche negli anni futuri, perché, di fronte a questa situazione, la
possibilità che abbiamo è forse quella di non avere tutte le
risorse eventualmente necessarie.
Aggiungo le ultime due
informazioni su Garanzia giovani. Ci dicono che sui 440.000 giovani
che si sono registrati sono 210.000 quelli che sono stati presi in
carico dai servizi, accreditati, già profilati e avanti di questo
passo. I dati che abbiamo negli ultimi mesi ci dicono che il lavoro
di profilazione e, quindi, di prestazione di servizio cresce più di
quanto non crescano i soggetti che si registrano. Gradualmente, si
sta, quindi, svuotando il bacino che si era costituito all'inizio,
nel momento in cui è partito il progetto. Le regioni e gli uffici
non erano ancora pronti a fare il lavoro che poi, invece, sono stati
in grado di fare.
Le ultime due informazioni fanno
riferimento al fatto che con due decreti direttoriali abbiamo
cambiato alcune caratteristiche di Garanzia giovani. Abbiamo
introdotto come misura possibile il sostegno all'apprendistato, che
non era stato previsto in partenza, in ragione di una motivazione che
aveva una sua logica: l'apprendistato aveva già una decontribuzione
per legge e, quindi, si reputava che fosse sufficientemente promosso.
I dati di fatto ci hanno fatto capire e i numeri ci dicono
che, ciononostante, l'apprendistato continua a non essere
adeguatamente utilizzato. Pertanto, ci è parso corretto introdurre
la possibilità che anche l'apprendistato utilizzi gli elementi di
incentivo previsti per Garanzia giovani.
Inoltre, abbiamo
previsto la cumulabilità dei sostegni all'occupazione di Garanzia
giovani con gli altri previsti da varie altre normative. Questo per
evitare uno spiazzamento che di fatto si sarebbe realizzato. Garanzia
giovani è il tentativo di dare un «punto di vantaggio» ai giovani
NEET che si presentavano al mercato del lavoro. Con la norma sulla
decontribuzione per gli assunti nel 2015 per i prossimi tre anni il
rischio era di avere uno spiazzamento tale per cui quel tipo di
incentivo avesse più peso e valore di quanto non ne avesse il bonus
di Garanzia giovani.
Si rischiava, quindi, un effetto
paradossale, per cui chi aveva il bonus Garanzia giovani era
meno favorito di chi utilizzava il bonus ordinario per la
decontribuzione. Aver ammesso la possibilità di cumulare questi due
incentivi produce l'esito che, comunque, un giovane iscritto a
Garanzia giovani mantiene sempre un suo differenziale positivo
rispetto alla scelta che un'impresa può fare decidendo di prendere
una persona che viene da Garanzia giovani o che non viene da Garanzia
giovani. Questo differenziale c'era prima e continua a esserci
adesso, a fronte di questa tipologia di intervento.
L'ultima
questione che vi rappresento è lo sforzo di monitoraggio sistematico
che stiamo facendo su questo programma per ogni singola regione, per
cercare di costruire strumentazioni che ci aiutino a far bene questo
lavoro. Dobbiamo dire che, da questo punto di vista, la risposta che
abbiamo avuto, a mio avviso, è assolutamente significativa, perché
credo che il fatto che i nostri centri per l'impiego, nell'arco di
sei mesi, incontrino, profilino e inseriscano in un progetto più di
200.000 giovani credo sia un'esperienza che in questo Paese non si è
mai fatta.
Detto questo, va tutto bene ? No. Ci sono
delle cose da cambiare, le stiamo cambiando, ma io credo che occorra
avere l'oggettività di valutare gli elementi di problematicità e i
dati sui risultati che si producono. Da un lato, è vero che abbiamo
dei problemi, ma, dall'altro, dovremmo anche riconoscere alle
regioni, ai centri e agli uffici che hanno fatto questo lavoro il
valore e il merito che hanno avuto.
In questo momento
abbiamo i giovani registrati, abbiamo i giovani presi in carico e
abbiamo i giovani a cui viene proposta un'azione. Questa è la fase
che sta crescendo più rapidamente in questo momento. Siamo oltre i
30.000 catalogati, con riferimento a qualche settimana fa. Stiamo
facendo le verifiche in questo momento. Le cose stanno migliorando
significativamente, per una ragione piuttosto ovvia: le regioni prima
hanno costruito la strumentazione per fare la registrazione e la
presa in carico e poi hanno emesso i bandi.
Oggi i bandi
sono stati emessi, ragion per cui le imprese possono usare gli stage
e possono prendere le persone di cui hanno bisogno. Teniamo conto del
fatto che noi, nell'arco di quest'anno, per citare un dato soltanto,
saremo in condizione di promuovere il servizio civile per circa
50.000 giovani, una parte importante dei quali saranno anche giovani
di Garanzia giovani. Il servizio civile è una delle azioni che il
progetto propone per aumentare l'occupabilità di questi giovani e
per far avere loro più opportunità.
Io ho colto, quindi,
l'occasione per fornirvi anche questa informazione aggiornata sulla
vicenda di Garanzia giovani, perché Garanzia giovani è stata anche
un'occasione per mettere alla prova e assestare meglio il
funzionamento dei centri per l'impiego. Questo progetto è appoggiato
su questi centri, oltre che, naturalmente, sulle agenzie per
l'impiego, sulle università e su altre strutture. La prima parte, la
prima base, però, è essenzialmente poggiata sui centri per
l'impiego.
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