Dall'articolo “Alla fine l'esperienza maturata dalle cooperative specializzate potrebbe persino tornarci utile” pubblicato su Nove giornale online fiorentino
...Orientamento lavorativo. "Parliamo di persone con grandi qualifiche alle spalle, ma anche di chi è totalmente analfabeta. Ci siamo praticamente sostituiti ai Centri per l'Impiego: il progetto Polis, Percorsi di orientamento per l'inclusione sociale, ci ha fornito un background per il reinserimento lavorativo che abbiamo sviluppato presso il Centro Polifunzionale Paci e nel 2014 abbiamo collocato oltre 60 persone su 130 partecipanti, parliamo del 50%. Tutti hanno fatto un percorso nei tirocini Giovanisì, curriculari o sanitari. Siamo arrivati ad una efficienza tale che non stento a classificare il nostro operato 10 volte superiore a quello del classico Centro per l'Impiego e dovrebbe essere un esempio per far ripartire l'orientamento lavorativo per tutti, non solo per i migranti" in piena crisi economica le istituzioni hanno investito nei progetti di inserimento al lavoro, ma al tempo stesso abbiamo visto chiudere i Centri per l'Impiego senza che ci fossero alternative tranne i percorsi offerti dalle Agenzie di Lavoro private, ma non tutte suggeriscono le opportunità offerte dai bandi pubblici, perché non ne conoscono l'esistenza o preferiscono rapporti esclusivi con le aziende che a loro volta non sapranno mai degli incentivi per loro esistenti...
LA NOSTRA RISPOSTA A QUESTE AFFERMAZIONI:
In un articolo, sulla rivista “Nove”, che riporta l'esperienza del Centro Polifunzionale Progetto P.A.C.I. di Firenze sull'accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo, descritta dal direttore Roberto Ermanni, si affrontano le iniziative intraprese per l'inserimento dei migranti nella società italiana. Tra queste, alla fine dell'articolo, viene affrontata la questione lavoro e formazione mirata all'inserimento lavorativo. Riguardo a questo argomento, si afferma, in modo altisonante, che il progetto PACI si è sostituito al Centro per l'Impiego per quanto riguarda l'orientamento al lavoro e l'inserimento in tirocinio, citando anche dei dati.
La cifra di queste affermazioni, per chi conosca sia il progetto e le strutture che vi partecipano sia il lavoro dei Centri per l'Impiego, è la sproporzione. Sproporzione fra i numeri gestiti dai due soggetti messi a confronto. Sproporzione tra le competenze nell'orientamento che vengono attribuite agli uni e agli altri e infine sproporzione nel pretendere di assurgere a modello.
Prima sproporzione: nell'articolo si parla di 130 casi di candidati in un anno ai tirocini di cui 60 andati a buon fine. 130 è circa il numero di utenti che ciascun operatore del Centro Impiego di Firenze tratta settimanalmente e calcolando la proporzione con risorse non certo superiori.
Poi la bontà degli inserimenti lavorativi con borse lavoro o di forme di apprendimento esperienziale come i tirocini si valutano oltre che sul parametro dell'efficienza e quantità anche su quello dell'efficacia e qualità. Ossia, una volta terminate le esperienze in percorsi protetti e agevolati (rimborsi totali o parziali alle aziende delle somme erogate al tirocinante da parte della Regione) presso aziende “convenzionate”, qual è la ricaduta occupazionale dei soggetti messi a quel punto a confronto col tessuto produttivo non protetto?
Gli immigrati che escono dai progetti come questi, si recano al Centro per l'impiego per cercare lavoro ed è in quel momento che emergono le lacune dei percorsi lavorativi/formativi che hanno svolto. Infatti, per la ricerca lavorativa sarebbe utile almeno una buona competenza linguistica e una consapevolezza di ciò che si è in grado di fare. Questi progetti non sono, spesso, in grado di lavorare su nessuno di questi due aspetti tanto meno sul rendere capaci queste persone di essere competitive nel mercato del lavoro. Certo obbiettivo difficile da raggiungere per tutti gli operatori del settore nelle attuali condizioni di mancanza di risorse e frammentazione dei servizi.
Altra sproporzione “essere un esempio per far ripartire l'orientamento lavorativo per tutti”, un motto dell'orientamento recita “se non si sa dove si vuole andare non ha alcuna importanza quale strada si intraprenda”. Questa, dal punto di vista lavorativo, è la situazione degli immigrati che arrivano sulle coste italiane. I loro bisogni sono primari ed il lavoro, qualunque esso sia, è lo strumento per garantirne la soddisfazione ed emanciparsi dalle strutture di accoglienza. La pratica dell'orientamento - regolarmente svolta dai Centri Impiego - inteso come lavoro su di sè per individuare quale sia il proprio percorso lavorativo è un'attività che va, per questo, oltre le necessità dei rifugiati. Non si comprende quindi in che modo il Centro P.a.c.i possa sostituirsi per questa attività al Centro Impiego.
Così, sostenere che le pratiche, per l'orientamento e il lavoro, messe in atto dal P.a.c.i. siano “un esempio per far ripartire l'orientamento lavorativo per tutti” ci pare eccessivo, sarebbe almeno opportuno circoscrivere attentamente le condizioni sotto le quali questa affermazione può assumere un significato realistico, evitando di ingenerare una lode eccessiva quanto ingiustificata. Ci chiediamo anche cosa intendano in questa struttura per orientamento, la mera informazione o un percorso completo che ha come obbiettivo la focalizzazione delle proprie competenze e la modalità per acquisirle?
L'intento dell'articolo è sicuramente nobile, si vuole tranquillizzare “gli italiani” sulla capacità di gestire il fenomeno dell'immigrazione e del dramma delle persone che stanno arrivando sulle nostre coste in questi mesi. Questa emergenza è un dovere a cui è giusto rispondere, nel miglior modo possibile, senza perdere la misura delle proprie capacità, mezzi e fini, e soprattutto senza ergersi a modello per l'orientamento e l'inserimento lavorativo.